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Autore: Luca Poma


 

Ambiente, sostenibilità ed eco-mafie: il punto di vista dello Stato

AMBIENTE, SOSTENIBILITÀ ED ECO-MAFIE: IL PUNTO DI VISTA DELLO STATO, Massimiliano Corsano

Comandante Corsano, qual è il ruolo dei Nuclei che lei dirige e più estesamente dei Reparti dell’Arma impegnati a difesa dell’ambiente?

Il Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale assolve principalmente funzioni di polizia giudiziaria con la finalità di vigilare, prevenire e reprimere i reati a danno del patrimonio ambientale, e pone in essere attività di rilevanza strategica nel settore del controllo della sicurezza ambientale. Per “criminalità ambientale” si intende un fenomeno di preoccupante estensione in quanto dotato di una intrinseca trasversalità che coinvolge ambiti di interesse sempre più variegati oltre che soggetti o consorterie sempre più evoluti e, pertanto, si fa riferimento all’insieme di condotte contrarie alla legge e direttamente lesive di un superiore diritto della persona che comprendono anche l’integrità fisica e psichica, oltre che la salvaguardia della qualità della vita.

A quali risultati ha portato questa vostra attività?

A confermare il coinvolgimento non solo della criminalità organizzata di tipo mafioso, quanto invece l’attivo operare di gruppi imprenditoriali di spessore (con interessi commerciali diversificati) che, per la materia specifica, si avvalgono della consulenza e delle prestazioni di figure di elevata professionalità, evitando spesso i contatti diretti con esponenti mafiosi. Tale ruolo appare vieppiù consolidarsi nel contesto della gestione illecita del ciclo dei rifiuti ove è frequente l’intervento diretto di “imprese criminali” le quali perseguono, attraverso l’esercizio di attività economiche, illeciti profitti, acquisendo ingenti quantitativi di rifiuti – ignorando scientemente quanto previsto dalle autorizzazioni – anche a prezzi fuori mercato, omettendo successivamente di sottoporli ai necessari trattamenti. L’esame delle attività investigative mostra come il traffico illecito dei rifiuti rientri tra le scelte d’impresa volte alla indebita riduzione dei costi e conseguente alterazione dei vprezzi di mercato, in spregio alle leggi che tutelano la libera concorrenza e loperato delle aziende oneste. È ormai noto il ruolo diretto delle grandi organizzazioni criminali nel “business ambiente” soprattutto a causa dei molteplici ambiti nei quali è possibile diversificare le infiltrazioni illegali, nonché per l’imponente quantità di denaro che gravita intorno al patrimonio ambientale del Paese. Il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l’inquinamento dei corsi d’acqua e delle sorgenti, l’abusivismo edilizio ed il settore delle energie rinnovabili sono i principali settori nei quali le imprese criminali e la malavita organizzata hanno intravisto la possibilità di ingenti guadagni, anche per mezzo di connivenze eccellenti. Attratta dai grandi flussi di denaro e dai menzionati appoggi, la criminalità che opera anche nel settore ambientale ha avuto modo di diffondersi rapidamente su tutto il territorio nazionale e, sempre più frequentemente, di trovare validi riferimenti per proseguire oltre frontiera i propri traffici.

È cambiato qualcosa durante l’emergenza Covid?

Le attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti sono state negli anni agevolate da una serie di congiunture nazionali e sovranazionali come la cronica difficoltà di reperire siti di stoccaggio o l’inadeguatezza della legislazione di alcuni paesi esteri, che hanno determinato implicitamente “condizioni favorevoli” all’insorgere ed al consolidarsi di atteggiamenti criminali. Un esempio di queste congiunture è stata la chiusura del mercato cinese all’importazione di imballaggi e materiali riciclabili in genere – sono 24 le tipologie di materiale inizialmente bandite – che con il conseguente intasamento dei magazzini delle ditte operanti nel settore, private di sbocchi sul mercato, situazione che è stata ulteriormente aggravata dai cali dei livelli produttivi globali derivanti dalla pandemia da COVID-19. Senza entrare nel dettaglio di ciò che sta emergendo, si può certamente affermare che, come spesso avviene, in situazioni di crisi di carattere economico si creano degli spazi che vengono occupati dalla criminalità, ed è ciò che si sta verificando anche in materia ambientale.

Di quali strumenti disponete nel concreto per intercettare, sanzionare e bloccare attività criminose sul fronte ambientale?

L’apparato di norme utili per questo fine è imponente e articolato, tanto che alcune fattispecie di reato riguardanti la c.d. “ecomafia” sono state inserite tra le materie di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia. Parliamo spesso in questi casi di veri e propri “delitti d’impresa”, dove l’ingiusto profitto ottenuto mediante la violazione delle normative ambientali rappresenta in un certo senso lo spread tra un’impresa produttiva in termini economici ma fondata sul malaffare e un’impresa non così concorrenziale, poiché onesta. Stante la rilevata poliedricità del fenomeno della criminalità ambientale, la expertise investigativa dei Carabinieri che si occupano di tutela dell’ambiente deve dunque necessariamente estendersi ad ulteriori settori quali la conoscenza delle dinamiche e della normativa di funzionamento della Pubblica Amministrazione, degli appalti, dell’esecuzione di Grandi Opere Pubbliche e delle fonti rinnovabili non fossili (eolico, fotovoltaico, geotermico, biomassa, biogas, etc.). Un’ulteriore sfida contemporanea è costituita dalla “misurazione” degli impatti ambientali, aspetto che tra l’altro ha un’influenza notevole anche sulle modalità gestionali in ambito aziendale.

Può illustrare brevemente, come esempio, una tipologia di inchiesta realmente seguita dai vostri uffici e che “faccia scuola” sul fronte del contrasto alla criminalità ambientale?

Il settore che ci ha maggiormente impegnati di recente, e non solo da un punto di vista investigativo ma anche e soprattutto da un punto di vista analitico, è certamente quello degli incendi, argomento particolarmente sensibile. In tutta Italia infatti, a partire dal 2016, ha assunto sempre maggiore rilevanza il fenomeno degli incendi di natura dolosa ai danni di impianti dediti – a vario titolo – alla gestione dei rifiuti, la cui incidenza è apparsa fin da subito come evidentemente sintomatica di una diffusa speculazione criminale inerente al business dei rifiuti. La diffusione del fenomeno ha infatti fatto sì che l’attenzione di tutti i soggetti attivi nella difesa della legalità ambientale sia passata dal tema “classico” della combustione illecita, oggetto di provvedimenti legislativi ad hoc, al tema dell’interdipendenza tra eventi incendiari e mancata corretta chiusura del ciclo dei rifiuti. Dal punto di vista operativo le attività condotte dai NOE del Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale hanno dimostrato – in linea con quanto più volte sostenuto dalla Procura Nazionale Antimafia – come tali fenomeni possano essere inquadrati, più che nell’ambito di dinamiche riconducibili alla criminalità organizzata di stampo mafioso, come spia della sussistenza, a monte, di importanti traffici illeciti di rifiuti. Le (criminali) imprese di settore, infatti, per evidenti ragioni connesse con lo spregiudicato perseguimento dell’illecito profitto, acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti – ignorando scientemente quanto previsto dalle autorizzazioni – anche a prezzi fuori mercato, omettendo successivamente di sottoporli ai necessari trattamenti, avviando così a smaltimento e/o riciclo materiali “intonsi” ai quali, attraverso la nota tecnica del girobolla vengono assegnati codici EER (I codici dell’Elenco Europeo dei Rifiuti) del tutto fasulli. La illecita esasperazione di simili condotte comporta, al fine di tagliare a monte la filiera dei costi nonché di evitare i controlli delle autorità preposte ed il rischio di essere soggetti – oltre alle conseguenze penali – agli oneri di bonifica, l’eliminazione a mezzo fuoco dei materiali giacenti.

Strettamente connesse agli incendi (ma palese anticamera di possibili ulteriori episodi) sono anche le condotte delittuose di alcuni soggetti spregiudicati che – allo scopo di far perdere la tracciabilità dei rifiuti – sono alla spasmodica ricerca di capannoni industriali in disuso, al cui interno stipare migliaia di tonnellate di materiali di cui disfarsi ad ogni costo. Siti che diventano così delle vere e proprie bombe ecologiche, i cui futuri costi di smaltimento ricadono interamente sulla collettività. A questo proposito, la pressione investigativa – scaturita dal monitoraggio eseguito sul fenomeno degli incendi – esercitata nel settore da parte dei NOE del Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale è stata davvero incessante, con esecuzione di un gran numero di ordinanze di custodia cautelare e sequestri di beni in tutta Italia, a carico di soggetti responsabili di “attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti”, nell’ambito di manovre investigative coordinate dalle DDA territorialmente competenti.

Qual è lo stato dell’arte in Italia su questi temi dal punto di vista della cultura, dei cittadini e delle imprese? C’è ancora strada da fare, e su quali aspetti in particolare?

L’esperienza maturata nel settore delle investigazioni in materia di criminalità ambientale ha consentito di effettuare un innovativo risk assesment del settore e di acquisire una approfondita visione delle dinamiche di mercato che ne regolano il funzionamento. E l’utilizzo del termine “mercato” va opportunamente sottolineato. La visione del reato ambientale come “reato mezzo”, utilizzato per il raggiungimento di un “fine” essenzialmente economico comporta di fatto un approccio alla materia che si focalizzi non tanto su aspetti di natura meramente ed esclusivamente ambientalista bensì su dinamiche di natura – appunto – economica, giacché le forme di inquinamento che derivano dalle attività illecite degli eco-criminali rappresentano sovente degli effetti indiretti, si potrebbe dire collaterali, di condotte mirate a tutt’altro. In senso metaforico, sono manifestazioni sintomatiche di una patologia, rappresentata dalla criminalità ambientale, al punto che la definizione inglese di Pollution Crime appare riduttiva e non adeguatamente significativa rispetto alla più consona ed esaustiva Environmental Crime.

Anche la – ormai annosa – questione della equiparazione tra la c.d. “ecomafia” e la criminalità organizzata di stampo mafioso nostrana, in tutte le sue varie sfaccettature geografiche, va chiarita; sostenere che l’ecomafia è una forma di criminalità imprenditoriale ancor più e ancor prima che mafiosa, non significa sminuirne la portata. Una simile affermazione, che deriva da decenni di investigazioni mirate nel mondo ecocriminale, semmai amplifica la portata del fenomeno, accende un ulteriore riflettore sulla sua pervicacia e pericolosità, poiché significa affermare che la controparte non ha una fisionomia ben definita (come è appunto quella di stampo mafioso, per quanto poi ben integrata nel tessuto sociale) ma appare quanto mai sfuggevole. Ciò che la Camorra forse per prima scoprì, ossia le potenzialità economiche del mondo dei rifiuti ben definite dalla sintomatica affermazione di Gaetano Vassallo, “Ministro dei Rifiuti” dei Casalesi e braccio destro del boss Bidognetti, secondo la quale “i rifiuti meno li tocchi e più valgono”, è ormai patrimonio comune anche di una miriade di pseudo-imprenditori del settore, che avvelenano i tessuti economici tanto quanto i territori nei quali imperversano. E siccome spesso la criminalità economica è ben più pericolosa di quella di stampo mafioso (ovviamente quando non sono la stessa cosa) si comprende facilmente come in realtà, non limitandosi a parlare solo di “mafia” in senso stretto, si stia cercando di non ridurre ad una semplicistica equiparazione una fenomenologia ben più caleidoscopica, e dunque pericolosa. Anzi, talvolta tanto più pericolosa quanto più elegante è l’abito indossato da chi si macchia di certi crimini.

Ciò detto, non si vuole né si deve in alcun modo colpevolizzare l’intera classe imprenditoriale: si vuole semmai, enfatizzando la portata e la natura economica di tali reati, sottolineare le difficoltà di chi opera nel settore in maniera assolutamente lecita, trovandosi a dover fronteggiare la concorrenza spietata di chi agisce sul medesimo mercato a prezzi palesemente irragionevoli. E proprio i prezzi rappresentano un indicatore fondamentale nella valutazione del settore ambientale, che non a caso è stato definito più volte con il termine “mercato”. Molto spesso, infatti, ci si limita a valutare al massimo le dinamiche dei prezzi che regolano la tariffazione sui rifiuti – la nota TARI – tralasciando quasi completamente l’aspetto fondamentale in ogni settore economico: la profittabilità.

Comportamenti scorretti oltre che danneggiare l’ambiente possono anche danneggiare la reputazione delle imprese: le aziende, dal suo punto di vista, hanno questa sensibilità?

In un momento storico nel quale parole come circular economy, sostenibilità, green new deal sono di moda – e talvolta ahimè rappresentano esclusivamente un vezzo per aumentare la c.d. brand reputation in assenza di provvedimenti ed iniziative concrete ed effettive – è necessario affrontare il tema in maniera concreta, giacché – piaccia o meno – trattandosi di un mercato, non si può realisticamente credere che gli imprenditori della galassia ambiente e rifiuti possano rinunciare al profitto. Infatti dietro una miriade di annunci sulla sostenibilità e sulle scelte “green” c’è il concreto rischio che si celino in realtà attività meramente propagandistiche volte ad attirare investimenti e risorse attraverso una visibilità derivante da forme di pubblicità e di utilità sociale ingannevoli, e questa sarà una delle nostre prossime frontiere operative a tutela delle aziende sane.

A titolo esemplificativo, uno studio effettuato attraverso uno screening del web e pubblicato il 28 gennaio 2021 dall’UE ha acceso un importante riflettore sul tema del c.d. greenwashing arrivando a dimostrare come circa il 42% degli spot in materia di sostenibilità siano esagerati, falsi o ingannevoli. Le aziende al giorno d’oggi non possono più permettersi di nascondersi dietro al falso mito della scarsa conoscenza, in quanto la matrice ambientale è divenuta ormai un tema – fortunatamente – imprescindibile in primis in un’ottica di sostenibilità economica. Sono quanto mai centrati i criteri utilizzati dalla Suprema Corte nel declinare la c.d. “epistemologia dell’incertezza” in contesti di rischio incerto (es. utilizzo di sostanze chimiche “emergenti” come i PFAS o PFOA, oggi tristemente agli onori delle cronache per le attività investigative svolte dai NOE Carabinieri di Treviso ed Alessandria) secondo le seguenti tre categorie: orbita della prevedibilità; la figura dell’imprenditore-modello; l’evitabilità dell’evento. Inoltre, il “dovere di sapere” e quindi di acquisire informazione sui rischi è di pertinenza delle imprese ed è un dovere che va costantemente implementato nel contesto del più generale dovere degli Enti di auto-organizzarsi efficacemente sul terreno della prevenzione del rischio-reato. La diligenza esigibile dipende inevitabilmente dalla conoscenza del rischio, secondo il modello normativo consolidatosi nella materia della sicurezza sul lavoro. Si rende quindi necessaria – in fase di risk assessment – una “analisi endoscopica” della realtà e del contesto d’impresa, considerando in via prioritaria che il principio dell’azione ambientale, costituendo un obbligo gravante sulle organizzazioni complesse, impone la più ampia tutela ambientale, degli ecosistemi e del patrimonio culturale, secondo i principi “chi inquina paga”, di precauzione, di azione preventiva e di correzione prioritaria alla fonte dei danni ambientali.

Siete impegnati anche nella formazione delle nuove generazioni su temi ambientali?

L’Arma dei Carabinieri è da sempre particolarmente attenta al tema del contatto con le nuove generazioni, basti pensare alle iniziative che annualmente si tengono presso gli Istituti scolastici di ogni livello in materia di cultura della legalità e che vedono coinvolte tutte le componenti dell’Istituzione, a iniziare dalla fondamentale figura dei Comandanti di Stazione. In tale ottica, i temi ambientali stanno assumendo sempre maggiore rilievo e il confronto con le nuove generazioni, particolarmente attente all’argomento, rappresenta spesso anche un momento di arricchimento per chi opera in questo settore e lo vive in veste investigativa. Da diversi anni ormai prendiamo quindi parte a numerosi eventi anche al di fuori degli ambiti scolastici e accademici, per condividere il nostro patrimonio conoscitivo con i nostri stakeholders e allo stesso tempo per ascoltare le esigenze dei cittadini, verso i quali sentiamo la forte responsabilità di dover fornire le migliori risposte possibili in materia di tutela dell’ambiente e quindi della salute.

Analogamente, da tempo, il Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale è impegnato ad esercitare la propria leadership in numerosi consessi internazionali e progetti multilaterali (INTERPOL, EUROPOL, ENVICRIMENET, EMPACT, OPFA Waste), anche allo scopo di condividere su larga scala la propria expertise e consentire di fronteggiare adeguatamente la minaccia della criminalità ambientale oltre frontiera, sia direttamente che attraverso collaborazioni e progetti operativi con gli Stati aderenti. Sono sfide ambiziose, ma siamo fortemente ingaggiati in questi scenari, e ottimisti sui risultati, sia per quanto fin qui ottenuto, che per quello che riusciremo a fare in futuro, anche grazie alla dedizione ed alla straordinaria professionalità delle donne e degli uomini in divisa quotidianamente impegnati nella lotta contro le varie forme di criminalità.


Intervista a cura di Luca Poma, Professore in Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, per il Blog www.creatoridifuturo.it


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