DALL’ARTE SITUAZIONISTA ALLA GESTIONE DELLA REPUTAZIONE
Nel mio ultimo volume, “Apri la tua mente”, stimolo il lettore a riflettere sull’importanza di saper unire i punti, facendo tesoro delle lezioni di Edward De Bono sul pensiero laterale, irrinunciabili – ancorché troppo spesso trascurate – per chiunque abbia interesse per il dominio delle relazioni pubbliche e del governo della reputazione.
Da anni, a tal proposito, riservo una delle mie lezioni in università a quelle che i miei collaboratori etichettano come “contaminazioni di saperi”: cos’hanno a che fare le leggi della termodinamica e l’entropia con la comunicazione di crisi? Perché la conoscenza della disciplina matematica della Teoria dei giochi di John Von Neumann potrebbe tornare utile a un relatore pubblico? L’epigenetica ha – o può avere – ha che fare con la produttività delle aziende e con la loro capacità di raggiungere i propri obiettivi di business? La letteratura del ‘900 può avere punti di tangenza con la moderna comunicazione digitale?
La verità è che ho sempre fortemente creduto a un approccio “circolare” e non binario-sequenziale alla nostra professione: solo mantenendo, appunto, la mente aperta a stimoli esterni afferenti a discipline apparentemente lontane dal dominio delle relazioni pubbliche, è possibile acquisire quell’attitudine alla creatività, alla flessibilità e alla resilienza che sono, a mio avviso, caratteristiche imprescindibili del lavoro di chi ha la pretesa di voler e saper costruire il perimetro reputazionale di un’organizzazione o di un individuo.
Nel campo di ricerca della filosofia e della sociologia, ad esempio, da sempre mi stimola il corpo di conoscenze sviluppato dal movimento Situazionista.
L’Internazionale Situazionista fu un fenomeno cultuale con radici nelle avanguardie artistiche del secolo scorso, connotato a tratti come movimento anarchico di sinistra, il quale tuttavia – è bene sottolinearlo – attaccò e criticò a più riprese i regimi totalitari come quelli sovietico e maoista. Figure di spicco del movimento, furono il francese Guy Debord, il danese Asger Jorn, il belga Raoul Vaneigem e l’italiano Giuseppe Pinot-Gallizio.
Il Situazionismo nacque il 28 luglio del 1957, proprio in Italia, in provincia di Imperia, dalla fusione di movimenti culturali preesistenti come la Bauhaus Immaginista e il Comitato psicogeografico di Londra, con una missione – apparentemente – semplice e insieme provocatoria: creare situazioni nella vita reale costruite mediante l’organizzazione collettiva di un “gioco di eventi”, cercando di valorizzare al massimo la parte non-mediocre della vita, e diminuendone, per quanto possibile, i momenti creativamente improduttivi e non fecondi, mantenendo centralissima l’idea del potenziale rivoluzionario del tempo libero.
Ho trovato alcuni punti di contatto tra questi stimoli e il considerare che alcune delle più innovative idee produttive e feconde per la messa a terra dei miei progetti di reputation management siano state da me elaborate non già durante ingessati meeting in ufficio, bensì nel tempo libero: durante lunghe camminate in mezzo al deserto durante un viaggio in nord-Africa, in un giardino, riflettendo dinnanzi a un tramonto al mare, stimolando i neuroni mentre leggevo non già corposi saggi tecnici di settore, pur indispensabili per l’aggiornamento professionale, ma magari banali riviste divulgative.
Tonando ai situazionisti, una delle strategie cognitive proposte dal movimento era la “psicogeografia”, ovvero l’esplorazione pratica del territorio attraverso le cosiddette “derive”. Partendo dallo studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico su noi esseri umani, in grado di agire direttamente sul comportamento anche affettivo degli individui, i situazionisti proponevano – tra le altre cose – un preciso esercizio consistente nel cosiddetto Détournement, che si articolava in varie pratiche artistiche: partendo dal presupposto che potrebbe essere l’ambiente a modellare l’individuo, la Deriva situazionista si configura come pratica di liberazione dai dispositivi ambientali tipici del vivere moderno, percepiti come “dispotici”, liberazione da raggiungersi grazie a un volontario smarrimento dell’orientamento.
In poche parole, un vagare senza meta e scopo all’interno di un ambiente: sia esso di tipo cultuale, modificando oggetti estetici noti tramite l’innesto di linguaggi diversi e inusuali, solo apparentemente incompatibili tra loro e fuori contesto, mescolando citazioni dotte con elementi della cultura popolare, come ad esempio personaggi dei fumetti nel cui balloon vengono riportate citazioni afferenti la lotta di classe contro il consumismo, con un effetto finale inatteso e generatore di nuovi significati, allo scopo – in definitiva – di scuotere le certezze dell’acritica comunicazione di massa e generare un vero e proprio scarto di senso; sia, perché no, di tipo geografico e fisico, “perdendosi”, ad esempio, nell’esplorazione di un ambiente urbano e facendone propri tutti gli stimoli, senza un progetto di movimento precostituito.
Come ci ricorda la sempre pratica enciclopedia online divulgativa Wikipedia, “Il senso di questa perdita dell’orientamento, da parte di chi la pratica, è quello di abituare il soggetto a un’apertura mentale verso nuovi, inattesi e magari anche estranianti aspetti della realtà, tecnica questa che si rivela efficace soprattutto se effettuata nei luoghi geografici che abitualmente si abitano”.
Un vero e proprio continuo training sensoriale, che apre a nuove percezioni ed esperienze estetiche, attraverso le quali i soggetti si arricchiscono, riconfigurando il proprio mind-setting e aumentando la propria consapevolezza di se stessi e di ciò che li circonda.
Un’altra delle importanti prese di posizione del movimento Situazionista è stata – non a caso – la riflessione sul diritto d’autore: su ogni loro opera (libro, video, volantino etc.) era ben specificato che essa poteva essere fotocopiata in parte o per intero, modificata e distribuita, sempre a patto che ciò non venisse fatto a scopo commerciale; una forma di valorizzazione dell’opera creativa ripresa solo decenni dopo dal modello Creative Commons, caro a chiunque si occupi professionalmente di comunicazione e di Reputation management.
Il movimento Situazionista terminò per auto-scioglimento, nel 1972 a Parigi, ma la sua eredità sotto il profilo dei contenuti, delle riflessioni e delle provocazioni, è a mio avviso assai attuale tutt’ora, per i motivi che vado ad esporre.
Come ho scritto nella precitata monografia, lo psichiatra Cloude Robert Cloninger, direttore del Centro di psicologia della personalità della Washington University di St. Louis, ha apportato contributi rilevanti per lo studio dei meccanismi cerebrali coinvolti nel funzionamento e nello sviluppo della personalità: sul suo lavoro, denominato “teoria biosociale”, esiste tra gli altri una breve ma significativa tesi di ricerca, quella di Giorgia Grandoni, giovane e valida laureata del Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologie dell’Università del L’Aquila.
Cloninger ha definito la “personalità” come un complesso sistema dinamico composto da sistemi psicobiologici individuali i quali modulano l’adattamento ai cambiamenti ambientali. Egli distingue due componenti della personalità, una a carattere biologico, il temperamento, e una cognitiva e relazionale, il carattere. Il temperamento è definito come la componente della personalità ereditabile, che si basa sulle risposte emotive automatiche di tipo stimolo-risposta, ed è una componente stabile per tutta la vita dell’ individuo; il carattere, riguarda invece l’ azione individuale intenzionale, e risulta modificabile e modulabile nel tempo da esperienze rielaborate e interiorizzate, e in questo processo il tema del rapporto tra essere umano e ambiente – come ci insegna l’epigenetica – ha un peso enorme.
È bene anche ricordare un importante citazione di Cloninger: un limite evidente dell’approccio riduzionistico alla salute mentale delle persone, che ha imperato per tutto il secolo scorso, è dato da un grave errore, ovvero il mancato tentativo da parte delle scienze di studiare il bisogno naturale di felicità che alberga in ogni uomo e le varie tappe che portano a una vita felice.
L’idea di Cloninger è quindi quella di mirare a una scienza del benessere che studi nel complesso come l’uomo può raggiungere una vita soddisfacente, piena e serena: la salute non è infatti solo assenza di malattia, bensì è uno stato di benessere fisico, mentale e sociale complessivo. Il lavoro è certamente per gli esseri umani parte di questa equazione, e la disciplina della responsabilità sociale delle imprese, parte del più ampio corpo di conoscenza del reputation management, si inserisce certamente in modo armonico e congruente in questa visione evoluta del rapporto tra l’Uomo e l’ambiente che lo circonda.
Inoltre, Emilia Costa, professore di Psichiatria dell’ Università “La Sapienza” di Roma, per molti anni titolare della 1^ Cattedra di Psichiatria di quell’università, nel suo saggio “Il cervello e la mente: dal neurone al comportamento”, conferma che il sistema nervoso simpatico e vegetativo – un tempo ritenuto “passivo esecutore” del sistema nervoso centrale, e successivamente invece riqualificato come un sistema interconnesso con il cervello e funzionalmente interdipendente, in grado di operare entro certi limiti anche in autonomia – raccoglie impulsi sensitivi dagli organi del corpo umano a contatto con l’ ambiente, inclusi quegli stimoli che non raggiungono il livello discriminativo di coscienza. Questo sistema nervoso esprime in termini somatici la nostra condizione psico-emotiva, garantendo un controllo sulla risposta allo stimolo, mediante un feedback basato sul rilascio e metabolismo di ormoni, neurotrasmettitori, endorfine e altri mediatori chimici.
Gli studi più recenti hanno recuperato, grazie a un modello di casualità circolare, un messaggio di integrazione tra i più importanti apparati che regolano gli equilibri all’ interno dell’organismo e le sue relazioni con l’ esterno: un’ intensa e continua “immersione” in un ambiente ricco di stimoli positivi e costantemente proiettato a immaginare scenari futuri – nell’ interesse della migliore sopravvivenza del maggior numero di stakeholder e quindi dell’ intero pianeta – influenzerà quasi certamente le memorie semantiche dell’ individuo, il mantenimento in buono stato delle quali è un efficace indice di controllo dell’ invecchiamento di ogni persona.
A tutto ciò, è bene aggiungere altro, con riguardo agli ultimi sviluppi delle ricerche scientifiche: il nostro destino non è inciso solo nel genoma, ma muta grazie alle buone o cattive abitudini. Ciò potrebbe significare che una elevata propensione al relazionarci positivamente con l’ambiente, all’ etica e al prendersi cura costruttivamente di ciò che ci circonda può entrare anche a far parte del nostro patrimonio genetico ereditario, e quindi essere trasmesso ai nostri figli.
Il team guidato dallo svedese Lars Olov Bygren, specialista di medicina preventiva al Karolinska Institute, ha studiato ad esempio l’ influenza degli stili di vita sul cervello in un campione di 12.000 individui, scoprendo che i comportamenti influiscono sulle istruzioni dei geni e, addirittura, su come questi possano essere ereditati. Il professore infatti spiega che:
“Gli stili di vita influenzano l’espressione genica, il destino non è del tutto scritto nei geni, ma dipende anche dalla “modulazione” dell’azione dei geni stessi. Pur possedendo solo circa 25.000 geni, il nostro genoma è in grado di produrre centinaia di migliaia di proteine: ogni gene può in una certa misura “scegliere” quale proteina sintetizzare, e la scelta dipende anche dai segnali chimici che il gene riceve dall’ esterno, indotti proprio dagli stili di vita individuali”.
Gli imprenditori, i manager e i consulenti realmente interessati al futuro della società della quale la loro organizzazione è parte integrante, è più facile che sviluppino strategie cognitive che consentono loro di padroneggiare “da protagonisti” con estrema disinvoltura gli scenari futuri, aggiornando continuamente i propri schemi mentali, e questo – dai dati scientifici in nostro possesso – ha un ruolo nella loro capacità di risolvere problemi complessi e – possiamo affermarlo con ragionevole certezza, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili – di influenzare anche dimensioni, plasticità e funzionalità della loro mappa cerebrale, in un continuo stimolo virtuoso del rapporto esistente tra interazioni sociali, estensione dello spazio di controllo dell’ individuo, intensità delle afferenze ambientali e strutturazione anatomico-biochimico-cerebrale.
Come ci ricorda la già citata Emilia Costa, infatti, “un ambiente ricco di stimolazioni positive fa aumentare lo spessore corticale delle cellule, migliora l’attività modulatrice degli impulsi nervosi e conseguentemente le prestazioni comportamentali”.
In definitiva, “sintonizzarci” più armonicamente, più efficacemente, con questa ampia “rete neurale” costituita dall’ambiente che ci circonda, mentre operiamo per creare scenari futuri positivi, non potrà che migliorare il grado di benessere e sanità mentale nostro, del nostro team lavorativo, della comunità alla quale apparteniamo, e quindi – come pezzi di un enorme puzzle – del pianeta intero.
Concludendo, quindi, l’approccio culturale Situazionista, a mio avviso, può avere piena dignità in questo discorso centrato sulle ultime scoperte dell’epigenetica e sul possibile ruolo virtuoso tra individuo e ambiente – culturale e fisico – che lo circonda, e dovrebbe essere riscoperto, apprezzato e fatto proprio da qualunque comunicatore e relatore pubblico, nell’interesse di se stesso, della propria rete di relazioni sociali e – non ultime – delle aziende e istituzioni pubbliche che esso eventualmente assiste con il proprio contributo di pensiero.
Breve bibliografia:
- Asor Rosa, A; Stile Calvino, Torino, Einaudi, 2001, cap. IV, pp. 63-134
- Ciarrochi, J., Forgas, J.P. Mayer, J.D., “Emotional intelligence in everyday life, Psychology Press, Taylor & Francis Group, 2001
- Costa, E; “Il cervello e la mente: dal neurone al comportamento”, in “La Formazione in Psichiatria e Psicologia Clinica”, di Emilia Costa e Maria Di Giusto – CIC Edizioni Internazionali, Roma 2004;
- Debord, G; La società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2008
- Debord, Vaneigem e altri; Situazionismo. Materiali per un’economia politica dell’immaginario, Massari, 1998.
- Poma, L; Apri la tua mente, Libreria Universitaria, Padova, 2019
- Poma, L; Epigenetica e aziende: una correlazione possibile?, EticaNews, Milano, 2015
- Vaneigem, R., Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni, 1967;
- Vaneigem, R.; Noi che desideriamo senza fine, Bollati Boringhieri, 1999, trad. e presentazione di S.Ghirardi