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OLIVETTI: DAL MITO ALLA STORIA

INTERVISTA A GIACOMO GHIDELLI x VOLUME SU OLIVETTI

Su Adriano Olivetti è stato scritto molto: industriale, filantropo, innovatore, visionario, incubatore intellettuale della psicologia del lavoro. Tutto è già stato detto? Forse no. Ne parliamo con Giacomo Ghidelli, raffinato copywiter che per la Olivetti ha lavorato firmando alcune delle più importanti campagne pubblicitarie dell’azienda di Ivrea (inclusa quella del primo personal computer progettato al mondo) e che ci accompagna in un volume di recente pubblicazione alla ri-scoperta dell’insegnamento profondo lasciatoci dal pensiero di Adriano Olivetti.

Prendo spunto dalla domanda che si pone Pietro Bordoli aprendo la presentazione del volume: “Ma era necessario un altro libro su Olivetti, dopo tutto quanto è già stato scritto?”.

Si, perché le molte cose che sono state scritte e dette da tanti dei protagonisti olivettiani hanno in realtà  creato una “vulgata mitica” intorno a questa azienda: un racconto diventato di moda, che ha però contribuito a occultare quello che ritengo essere il più profondo insegnamento di Adriano Olivetti. Per recuperarlo, con questo libro invito a uscire dal mito per andare alla storia.

Qual’è la “vulgata mitica”?

Che cè stato un fondatore, Camillo, che oltre a trattare i propri dipendenti come un buon padre di famiglia, ha dato il via a una comunicazione elegante e raffinata che sarà sviluppata nel tempo. Il figlio Adriano ha sistematizzato e ampiamente integrato in molti modi – welfare aziendale, design, cultura etc. – ciò che aveva fatto il padre. A spingerlo fu un afflato che mantenne la propria forza propulsiva per quasi vent’anni dopo la sua morte, sino all’arrivo di De Benedetti il quale, dopo aver salvato l’azienda, stravolgendone però l’identità, fu il vero responsabile dell’olivetticidio finale.

Non è andata così?

Dal mio punto di vista, no. Innanzitutto Camillo non fu un “padrone-filantropo-paternalista”: fu un imprenditore di idee socialiste, alla ricerca di una giustizia sociale che se non era garantita dallo Stato poteva almeno in parte essere favorita da lui e dalla sua impresa. Lo testimoniano ampiamente scritti e azioni. Per quanto riguarda la comunicazione, inoltre, Camillo si mosse nel solco del tempo, senza inventare nulla di nuovo ma affidandosi semplicemente a creativi che seppero ben cogliere le novità da lui introdotte. Per Adriano le cose sono diverse: lui pone alla base di tutto il suo agire il tema della costruzione di una comunità formata da persone consapevoli, che diventano tali grazie al continuo accrescimento dei valori morali dell’individuo, vale a dire dei valori umani, culturali, sociali ed estetici. Da qui il suo lavoro per costruire quello che nel libro ho definito il “design globale”, articolato lungo quattro direttrici: il design della giustizia sociale, della cultura, della bellezza e della comunicazione. Accanto a questo “lavoro di una vita”, negli ultimi anni vengono in primo piano le ricerche nel settore elettronico, che portarono alla nascita del primo calcolatore al mondo: un risultato che sembrò anticipare il mutamento della stessa missione aziendale: da produttore di strumenti per l’ufficio a produttore di strumenti per il benessere di tutti.

Con la sua morte, però, tutto cambiò: il nuovo AD portò l’azienda verso un indebitamento così profondo che alla fine, di fronte a insanabili disaccordi nel CDA, viene costituito sotto la guida di Visentini un “gruppo di intervento” capitanato da Fiat e Mediobanca…

Si, è sotto la guida di queste entità vengono compiute tre mosse importanti. Il tema della costruzione della comunità, centro propulsivo dell’azione di Adriano, viene dimenticato: l’azienda prosegue a vivere non per costruire comunità di persone ma solo per produrre profitti. Poi, la Divisione elettronica venne malamente liquidata, e la Olivetti si concentra di nuovo sui prodotti meccanici, destinati però inevitabilmente all’obsolescenza tecnologica. Infine, venne sviluppata un’immagine aziendale fondata sul design, sulla cultura e sulla comunicazione, in un certo senso in continuità con il passato, ma solo a fini di marketing. L’insieme di queste mosse, anche se non sembra, cambiò tutto e ci portò al mito Olivetti. All’obiettivo della costruzione di una comunità subentra quello del profitto; al centro dell’azione non c’è più la persona ma il consumatore; la cultura non è più ciò che deve contribuire alla formazione di una persona che fa parte consapevolmente di una comunità, ma diventa elemento fondante per la costruzione del posizionamento aziendale; infine, la bellezza non è più – come diceva Adriano – il “valido elemento dello spirito”, ma è un valido elemento solo per le vendite dei prodotti. Contestualmente viene in primo piano un’immagine aziendale che copre i radicali cambiamenti in favore di una continuità che in realtà non esiste: la prevalenza della forma è ciò che riscrive la storia della Olivetti.

Il libro discute poi il periodo di De Benedetti che, dopo aver sfruttato in modo ancora più forte dal punto di vista marketing l’immagine aziendale, concluderà la sua parabola – come confessa lo stesso ingegnere –nel vuoto di idee. La forma, quando è solo forma, conduce al nulla?

Corretto. E anche grazie a questa ultima parte di analisi, mi auguro che l’aver dato valore alla reale storia aziendale consenta di cogliere l’insegnamento più profondo di Adriano, che fu quello di indicare la via verso una CSR radicale dove il profitto è in funzione dell’etica e non viceversa; dove la persona è realmente messa al centro e viene trattata kantianamente “come fine”, constatando come la sua crescita porti anche alla crescita della comunità e complessivamente a quella dell’innovazione, della partecipazione e, alla fine, alla crescita di quel profitto che serve, oltre che per soddisfare in misura adeguata l’azionista, anche per far crescere le persone, per creare un clima interno benefico all’azienda e soprattutto a chi vi lavora.


Il volume “Comunicazione Olivetti: dal mito alla storia”, Libraccio Editore, di Giacomo Ghidelli è disponibile in libreria e online