Dal Cile all’Australia la pandemia rilancia l’energia del sole e del vento
È l’estate della chiarezza climatica. Il pianeta sta lanciando segnali inequivocabili: gli incendi sono fuori controllo dalla California al Canada, dalla Turchia alla Siberia; il prosciugamento dei ghiacciai della Groenlandia rischia di mandare in tilt la Corrente del Golfo, portando il gelo sulle coste britanniche e la carestia in Asia; le alluvioni sono diventate parte dello scenario urbano; la deforestazione ha aperto autostrade a virus rimasti confinati per millenni.
È un messaggio talmente netto che tutti, potendo scegliere, preferiscono comprare un pomodoro, una maglietta, una lampadina che diminuiscano invece di aumentare le probabilità di disastro climatico. E infatti, durante la pandemia, il biologico è cresciuto, la green economy si è difesa bene e le fonti di energia rinnovabile sono state le uniche a registrare un aumento netto della capacità totale (+10,3%) stabilendo un nuovo record.
Il problema è che non tutti possono scegliere perché il sistema degli incentivi pubblici continua a penalizzare le scelte a basso impatto ambientale e a premiare quelle più inquinanti. Lo documenta il Rapporto REN21: “Gli investimenti in combustibili fossili delineati nei pacchetti di recupero dal covid-19 in tutto il mondo sono stati sei volte superiori al livello degli investimenti destinati alle energie rinnovabili. Per la prima volta, il numero di Paesi con politiche di sostegno alle energie rinnovabili non è aumentato rispetto all’anno precedente”.
Dunque, al momento della stretta imposta dalla crisi pandemica, nei governi la reazione pavloviana dell’arroccamento sul noto ha battuto la spinta verso l’innovazione. Il pianeta e il mercato spingono verso la sostenibilità, i sussidi, a livello globale, continuano a premiare con centinaia di miliardi di euro all’anno la causa del problema climatico, i combustibili fossili.
Nonostante questa zavorra, il mercato energetico si sta muovendo verso un cambiamento netto. E per avere grandi ambizioni non è necessario avere grandi economie. “Il Cile ha messo a punto uno dei piani più ambiziosi del mondo per le energie rinnovabili, sperando di trarre vantaggio dall’abbondanza di venti robusti nel sud della Patagonia e dalla forza del sole nel deserto di Atacama per generare elettricità verde a prezzi stracciati”, scrive il Financial Time aggiungendo che oltre il 40% degli investimenti diretti esteri in Cile l’anno scorso è andato alle energie rinnovabili e che il Paese è stato classificato al primo posto nel mondo per l’attrattiva dal Climatescope di Bloomberg.
Non è un fenomeno isolato. La Spagna nel 2020 ha installato 4,6 gigawatt di rinnovabili con un contributo importante dei parchi fotovoltaici costruiti senza sussidi, con contratti di vendite ad aziende di vari settori industriali interessati ad acquistare energia elettrica pulita (banche, telecomunicazione, grande distribuzione).
In Australia InterContinental Energy e CWP Global hanno lanciato il progetto di un hub da 75 miliardi di dollari: 50 gigawatt di energia solare ed eolica. L’energia verrebbe utilizzata per produrre annualmente 3,5 milioni di tonnellate di idrogeno verde o 20 milioni di tonnellate di ammoniaca verde.
“Le rinnovabili crescono impetuosamente in molti Paesi”, commenta Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. “In Spagna le aste di energia solare del dicembre scorso si sono chiuse a chiudono a un prezzo a megawattora che è meno della metà del prezzo medio Borsa elettrica in Italia. E negli Stati Uniti le tecnologie di accumulo dell’energia, nonostante lo shale gas costi un terzo del metano italiano, vanno alla grande sia nella California democratica che nella Florida trumpiana. In Italia invece la strategia di uscita dal carbone è tutta centrata sul gas, trascurando le possibilità che la crescita dello storage in molti Paesi, anche grazie ad aziende italiane, sta aprendo”.