Lego sta facendo fatica a trovare un’alternativa alla plastica
Nonostante le ricerche, non ha ancora trovato una formula adatta perché i suoi mattoncini rimangano quelli che conosciamo
Da ormai sette anni Lego sta studiando un modo per produrre i suoi mattoncini con la plastica di origine vegetale. È un progetto ambizioso: la società danese lo ha adottato perché la sua storia e il suo immaginario le impongono, in un certo senso, di posizionarsi come attenta alle questioni ambientali. Ma è anche molto complicato, come ha raccontato di recente il Wall Street Journal, e finora non ci è riuscita se non nel caso di alcuni pezzi secondari. Nello specifico alberi, cespugli e foglie, introdotti sul mercato lo scorso anno e derivanti dalla canna di zucchero coltivata in Brasile. Il resto dei 50 miliardi di mattoncini che Lego produce ogni anno continua a essere prodotto con la plastica tradizionale.
Definire le “bioplastiche” non è semplice, perché al momento sono diversi i materiali che ricadono in questa categoria, più o meno impropriamente: sono in generale quelle plastiche prodotte completamente o in parte con biomasse vegetali, che possono essere biodegradabili ma possono anche non esserlo, e che possono essere prodotte a partire da fonti rinnovabili ma anche fossili. In genere derivano dalla canna da zucchero, ma possono anche essere ricavate da amido di mais, grano, scarti alimentari o fecola di patate. Sono generalmente considerate un’alternativa molto più ecosostenibile della plastica tradizionale, anche se non sono – perlomeno non ancora – un materiale propriamente a basso impatto ambientale. Anche per questo è sconsigliato utilizzare il termine “bioplastiche”, a cui viene spesso preferito “polimeri a base biologica”.
Soprattutto, i problemi delle plastiche di origine vegetale riguardano le loro capacità di sostituire le plastiche tradizionali, derivanti dal petrolio. Lego ha infatti bisogno che i suoi mattoncini si incastrino bene tra di loro, che facciano CLACK, ma che possano anche essere separati facilmente; che siano sufficientemente robusti e che mantengano il loro colore e la loro forma a diverse temperature e soprattutto a lungo. «Se costruisci un castello con i Lego vuoi che sia ancora in piedi dopo cinque anni, dopo dieci, senza che i mattoncini cambino forma o che le torrette cadano», ha spiegato Tim Guy Brooks, a capo del dipartimento di Lego che si occupa di sostenibilità ambientale.
Nel 2012 Lego si impegnò a trovare un modo per iniziare a impiegare alternative sostenibili alla plastica tradizionale entro il 2030, e per farlo investì 150 milioni di dollari in ricerca e sviluppo. Finora ha testato oltre 200 materiali diversi, ma a oggi soltanto il 2 per cento dei suoi prodotti è di origine vegetale. Ha provato a partire dal mais, ma i mattoncini uscivano troppo morbidi; quelli a base di grano non assorbivano come si deve il colore; altri ancora erano troppo difficili da separare, troppo fragili o si “allentavano” col tempo negli incastri. «È un po’ come andare sulla Luna», ha spiegato Brooks. «Quando Kennedy disse di voler mandarci l’uomo, molta della tecnologia e delle attrezzature necessarie non esistevano ancora». Ricorrere alla plastica riciclata per ora non è un’opzione, visto che Lego ha bisogno di mantenere un certo standard di qualità – alto, e soprattutto omogeneo – nelle materie prime.
Lego non è sola in questo tentativo. Coca-Cola, per esempio, nel 2013 aveva promesso di includere una percentuale di materie prime vegetali in tutte le sue bottiglie (in parte lo fa già, fin dal 2009), ma ha poi dovuto spostare gli obiettivi sull’utilizzo di plastica riciclata. Quattro anni fa l’azienda aveva sviluppato una bottiglia di origine vegetale, ma non ha trovato il modo di portarne la produzione ai livelli necessari per metterla sul mercato, spiega il Wall Street Journal. Per sviluppare nuovi materiali industriali su questa scala serve che le aziende investano moltissimi soldi, e perciò Lego ha coinvolto altri gruppi come Nestlé, Procter & Gamble e McDonald’s per unire le forze e trovare materie prime che siano sostenibili non solo a livello ambientale, ma anche economico. La stessa Coca-Cola ha iniziato a condividere le sue tecnologie nel settore con altre aziende, sperando di trovare un modo per rendere l’utilizzo di polimeri biologici sostenibile.
Nonostante se ne parli da decenni, le plastiche di origine vegetale costituiscono meno dell’1 per cento dei 359 milioni di tonnellate di plastica che produciamo ogni anno, secondo European Bioplastics, l’associazione che rappresenta il settore in Europa. Anche se in futuro potrebbero arrivare incentivi e obblighi imposti dai governi, per ora Lego si sta impegnando di sua iniziativa. Come dice Brooks, «non possiamo dire che ispiriamo i costruttori di domani, se distruggiamo il pianeta».
Definire le “bioplastiche” non è semplice, perché al momento sono diversi i materiali che ricadono in questa categoria, più o meno impropriamente: sono in generale quelle plastiche prodotte completamente o in parte con biomasse vegetali, che possono essere biodegradabili ma possono anche non esserlo, e che possono essere prodotte a partire da fonti rinnovabili ma anche fossili. In genere derivano dalla canna da zucchero, ma possono anche essere ricavate da amido di mais, grano, scarti alimentari o fecola di patate. Sono generalmente considerate un’alternativa molto più ecosostenibile della plastica tradizionale, anche se non sono – perlomeno non ancora – un materiale propriamente a basso impatto ambientale. Anche per questo è sconsigliato utilizzare il termine “bioplastiche”, a cui viene spesso preferito “polimeri a base biologica”.
Soprattutto, i problemi delle plastiche di origine vegetale riguardano le loro capacità di sostituire le plastiche tradizionali, derivanti dal petrolio. Lego ha infatti bisogno che i suoi mattoncini si incastrino bene tra di loro, che facciano CLACK, ma che possano anche essere separati facilmente; che siano sufficientemente robusti e che mantengano il loro colore e la loro forma a diverse temperature e soprattutto a lungo. «Se costruisci un castello con i Lego vuoi che sia ancora in piedi dopo cinque anni, dopo dieci, senza che i mattoncini cambino forma o che le torrette cadano», ha spiegato Tim Guy Brooks, a capo del dipartimento di Lego che si occupa di sostenibilità ambientale.
Nel 2012 Lego si impegnò a trovare un modo per iniziare a impiegare alternative sostenibili alla plastica tradizionale entro il 2030, e per farlo investì 150 milioni di dollari in ricerca e sviluppo. Finora ha testato oltre 200 materiali diversi, ma a oggi soltanto il 2 per cento dei suoi prodotti è di origine vegetale. Ha provato a partire dal mais, ma i mattoncini uscivano troppo morbidi; quelli a base di grano non assorbivano come si deve il colore; altri ancora erano troppo difficili da separare, troppo fragili o si “allentavano” col tempo negli incastri. «È un po’ come andare sulla Luna», ha spiegato Brooks. «Quando Kennedy disse di voler mandarci l’uomo, molta della tecnologia e delle attrezzature necessarie non esistevano ancora». Ricorrere alla plastica riciclata per ora non è un’opzione, visto che Lego ha bisogno di mantenere un certo standard di qualità – alto, e soprattutto omogeneo – nelle materie prime.
Lego non è sola in questo tentativo. Coca-Cola, per esempio, nel 2013 aveva promesso di includere una percentuale di materie prime vegetali in tutte le sue bottiglie (in parte lo fa già, fin dal 2009), ma ha poi dovuto spostare gli obiettivi sull’utilizzo di plastica riciclata. Quattro anni fa l’azienda aveva sviluppato una bottiglia di origine vegetale, ma non ha trovato il modo di portarne la produzione ai livelli necessari per metterla sul mercato, spiega il Wall Street Journal. Per sviluppare nuovi materiali industriali su questa scala serve che le aziende investano moltissimi soldi, e perciò Lego ha coinvolto altri gruppi come Nestlé, Procter & Gamble e McDonald’s per unire le forze e trovare materie prime che siano sostenibili non solo a livello ambientale, ma anche economico. La stessa Coca-Cola ha iniziato a condividere le sue tecnologie nel settore con altre aziende, sperando di trovare un modo per rendere l’utilizzo di polimeri biologici sostenibile.
Nonostante se ne parli da decenni, le plastiche di origine vegetale costituiscono meno dell’1 per cento dei 359 milioni di tonnellate di plastica che produciamo ogni anno, secondo European Bioplastics, l’associazione che rappresenta il settore in Europa. Anche se in futuro potrebbero arrivare incentivi e obblighi imposti dai governi, per ora Lego si sta impegnando di sua iniziativa. Come dice Brooks, «non possiamo dire che ispiriamo i costruttori di domani, se distruggiamo il pianeta».