Avis e la campagna fake: come gestire la comunicazione quando c’è di mezzo una bufala?
Per un brand che comunica sui social media una crisi d’immagine può scatenarsi per molti motivi diversi: una campagna mal strutturata o una campagna che si trova a dover fronteggiare un contesto improvvisamente avverso.
O, ancora, una dichiarazione infelice di un personaggio di spicco legato al brand o l’associazione del brand stesso a un fatto percepito come negativo possono far scattare la molla di un “epic fail” che può colonizzare l’attenzione del pubblico per giorni.
Un po’ più raro, ma altrettanto possibile, è quando un brand diventa protagonista di una “bufala”: insomma, un fatto non vero o completamente inventato che però ha il potere di diventare virale e far parlare di sé, non necessariamente in termini lusinghieri.
È quello che è successo qualche giorno fa ad Avis – l’Associazione Volontari Italiani del Sangue – che si è ritrovata improvvisamente sotto i riflettori dopo essere diventata suo malgrado protagonista di una “falsa campagna” per incentivare le donazioni di sangue. Falsa campagna che, ovviamente, è stata presa per vera, con tutte le conseguenze del caso.
L’autore del poster diventato virale in rete è Ermes Maiolica, noto “bufalaro” famoso un po’ in tutto il web italiano per la sua incessante attività di pubblicazione di fake news – alcune particolarmente ben riuscite – che da anni porta avanti quella che definisce essere una “missione pedagogica” contro la disinformazione sul web. Naturalmente, come accade con la quasi totalità delle “creature” di Ermes Maiolica, anche il poster della finta “campagna” di Avis è stato preso per vero e in molti si sono riversati sulla pagina Facebook dell’Associazione per chiedere spiegazioni. A quel punto Avis risponde pubblicamente con un post dai toni ironici che esprime la lusinga per essere entrati nel “mirino” del “re delle bufale”:
Purtroppo per Avis, però, l’ironia non ottiene l’effetto sperato e il post volutamente “leggero” viene equivocato dagli utenti di Facebook ,che finiscono per pensare che Avis abbia “commissionato” a un personaggio come Ermes Maiolica una campagna virale. Il mood volgarotto e sessista del manifesto fa il resto. E la frittata è servita:
E al social media manager non resta che intervenire specificando che no, Avis non c’entra nulla con la “trovata” di Ermes Maiolica:
Ma il chiarimento non sembra essere sufficiente, sopratutto dopo che compare un secondo manifesto sempre ad opera dello stesso autore…
… che scatena commenti ancora più indignati:
A quel punto Avis deve per forza cambiare strategia: abbandona i toni scherzosi e si mette “a fare sul serio”, sia nei confronti di chi dimostra di apprezzare la bufala che dello stesso Maiolica, che si palesa nei commenti a mo’ di ringraziamento:
Inutile far finta che non sia vero: le bufale sono fatte apposta perché la gente ci caschi e, peggio ancora, per fare in modo che le persone continuino ad arrabbiarsi anche dopo che siano state svelate come tali. Nel caso di Avis, il social media manager probabilmente non poteva immaginare che “dare corda” all’autore della bufala anche solo per lo spazio di un post avrebbe causato una tale reazione negativa degli utenti.
In un periodo dove si parla sempre più spesso di fake news, colui che diffonde false notizie viene percepito quantomeno come un personaggio fumoso dagli scopi oscuri e un brand che si vede associato a una bufala rischia la propria credibilità nonostante non abbia nulla a che fare con la bufala stessa e nonostante ne venga svelato l’intento ironico. Tuttavia, quel primo post di ringraziamento al “re delle bufale” ha il potere di confondere molti utenti, forse poco avvezzi a quel sottobosco satirico del web a cui ci hanno abituato personaggi come Ermes Maiolica.
Avis mette un punto alla faccenda il giorno successivo con un post che, se da una parte vuole chiedere in qualche modo scusa a chi si è sentito offeso dal “gioco” e rinfrancare il rapporto di fiducia tra l’Associazione e i suoi donatori, dall’altra suona un po’ come una tirata d’orecchie nei confronti dell’autore della bufala:
Il problema, però, non è tanto chiedere scusa per essere stati oggetto di una “bufala” o perché il logo di un’associazione importante come AVIS sia stato associato a immagini denigratorie per la professione infermieristica, né strigliare chi si è impossessato di quel logo per scopi opinabili: a confondere gli utenti e a peggiorare la faccenda è stata l’assenza di una linea coerente da parte di Avis, che prima si dice lusingata per l’accaduto ma poi, vedendo che l’intento ironico non veniva compreso, ha dovuto cambiare strategia.
E se al team social di Avis va tanta solidarietà per una giornata che certamente non deve essere stata tra le più facili, la faccenda della “campagna fake” dimostra quanto sia importante non dare mai nulla per scontato quando si tratta di dialogare con gli utenti e che conoscere il proprio pubblico è una questione cruciale per sapere come impostare la propria social media strategy: la situazione peggiore in cui ci si può trovare è essere sul punto di pubblicare qualcosa e improvvisamente chiedersi se gli utenti capiranno i nostri scopi senza alcun tipo di fraintendimento. Quando poi ci si mettono di mezzo le bufale…
Lesson Learned: è impossibile prevedere le circostanze in cui può nascere una conversazione attorno al tuo brand, e la piega che può prendere. Fai però in modo di dimostrare di avere sempre il polso della situazione e di tenere una linea salda e coerente anche in caso di un’improvvisa ondata di “visibilità non richiesta”.