Fred Perry ha un problema di neonazisti
Il marchio di moda Fred Perry, fondato negli anni Cinquanta da un celebre tennista inglese e per decenni associato alle sottoculture britanniche e in una certa misura alla sinistra, ha dovuto fare l’ennesimo comunicato per prendere le distanze dai Proud Boys, un gruppo neonazista americano che ha adottato una sua polo nera e gialla come uniforme. Sono alcuni anni che Fred Perry convive con questo problema, ma nell’ultimo comunicato spiega di aver sospeso le vendite di quel modello di polo in Nord America dal settembre del 2019, fino a che «non riterremo che la sua associazione con i Proud Boys sarà finita».
Fred Perry ha definito «incredibilmente frustrante» la situazione, chiarendo che il gruppo di estrema destra non ha niente a che vedere con l’azienda e rivendicando i valori che – a dire della società – sono stati rappresentati dalle sue polo per 65 anni: «inclusività, diversità e indipendenza». La società ha poi rivendicato le sue origini: fu infatti creata negli anni Cinquanta dall’omonimo tennista, tra i più vincenti della storia dello sport, che dominò uno sport elitario cominciando da «figlio di un parlamentare laburista della classe operaia», e che fondò l’azienda «insieme a un imprenditore ebreo dell’Europa orientale».
I Proud Boys esistono dal 2016, quando li fondò Gavin McInnes, un autore e commentatore canadese che fu tra i fondatori di Vice Media e che negli anni ha provato a negare l’affiliazione del gruppo con il neonazismo. In realtà è uno dei movimenti più attivi dell’alt right, la nuova estrema destra americana che da diversi anni porta avanti idee razziste e misogine appellandosi alla libertà di espressione. I Proud Boys, tra le altre cose, sostengono la superiorità della civiltà occidentale, sono islamofobi, incoraggiano l’utilizzo della violenza nella lotta politica, e hanno una visione dei rapporti di genere simile a quella degli “incel”, il movimento online di maschi misogini. In diverse occasioni negli ultimi anni membri del gruppo hanno minacciato, picchiato o accoltellato manifestanti e politici progressisti oppure dei cosiddetti movimenti “antifa”.
Fin dai primi tempi, McInnes ha incoraggiato i membri del gruppo a indossare una polo Fred Perry gialla e nera. Dietro alla scelta ci sono varie ragioni. Al sito The Outiline, McInnes aveva spiegato che come uniforme dà l’idea di un movimento “duro e puro”, radicato nella classe lavoratrice, come i mod e gli skinhead britannici degli anni Sessanta. In quegli anni, una generazione di giovani inglesi figli della classe lavoratrice ed esposti alle influenze culturali degli immigrati provenienti dalle isole caraibiche diede origine a vari movimenti, caratterizzati da un grande spirito di ribellione e che misero le basi per la successiva esplosione del punk.
Ricercando e costruendo una propria estetica, i movimenti della sottocultura inglese di quegli anni scelsero dei capi d’abbigliamento che fossero abbordabili economicamente ma che fossero anche prerogativa delle classi borghesi. Le polo e i maglioni Fred Perry furono tra gli elementi più importanti della loro immagine, insieme ai jeans attillati e agli scarponcini Dr. Martens.
Dopo un inizio fortemente radicato negli ambienti proletari dell’Inghilterra operaia, e quindi alla sinistra, negli anni Settanta il movimento skinhead divenne sempre più collegato al tifo calcistico e agli ambienti della nuova estrema destra britannica, rappresentata dal National Front, a cui ancora oggi è generalmente associato. In parte, in questo spostamento politico, gli skinhead portarono con sé le polo Fred Perry, che però almeno nel Regno Unito rimasero perlopiù collegate ai movimenti di sinistra.
L’emulazione di questa estetica da parte dei Proud Boys non è comunque una scelta isolata, ed è stata analizzata da alcuni studiosi. Secondo Alice Marwick della Fordham University è un modo di creare «l’immagine di movimento ribelle e audace, contro lo status quo», che sganci il suprematismo bianco dal bagaglio storico del Ku Klux Klan e lo associ a qualcosa di nuovo e alternativo, come appunto l’alt right. Mantenendo però un’immagine aggressiva e quasi militaresca, come quella degli skinhead.
Sebbene siano state un capo d’abbigliamento adottato da diverse sottoculture del Novecento, le polo Fred Perry sono anche diffusissime nella cultura mainstream e delle classi sociali più alte. Sono state scelte anche per questo, ha spiegato sul Guardian la docente di sociologia Cynthia Miller-Idriss. I leader dell’estrema destra americana «sapevano che il pubblico avrebbe faticato ad associare una piattaforma d’odio con uno stile che ricordava più quello del vicino di casa che quello dei nazisti». Già in occasione della grande manifestazione neonazista “Unite the Right” a Charlottesville, Virginia, nel 2017, i leader raccomandarono ai manifestanti di vestirsi “decorosamente”.
La trasformazione nell’estetica e nello stile fa parte di una strategia deliberata e proveniente dall’alto, nel tentativo dell’estrema destra di apparire più mainstream per predisporre meglio il pubblico alle proprie idee. Questo cambiamento normalizza e stravolge l’idea delle persone su come appaia un estremista, e rende più difficile interpretare e riconoscere le idee dell’alt right come estreme.
Non è la prima volta che un marchio di moda internazionale diventa, suo malgrado, associato ai neonazisti. Negli anni Ottanta e Novanta, tra i movimenti skinhead di estrema destra tedeschi diventarono molto popolari le maglie del marchio inglese Lonsdale, che era stato fondato decenni prima e che era stato vestito tra gli altri da Muammad Alì e Paul McCartney. Ma qualcuno si era accorto che indossando una maglietta Lonsdale sotto a una giacca aperta, rimanevano leggibili le lettere NSDA: le prime quattro della sigla che identificava il Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, il partito nazista di Adolf Hitler.
Quando questa moda si consolidò, Lonsdale decise di impegnarsi attivamente per sganciare il proprio marchio dai neonazisti. Sospese le vendite nei negozi che sapeva essere associati all’estrema destra, sponsorizzò società sportive associate alla sinistra e – negli anni Novanta – lanciò una campagna inclusiva basata sullo slogan “Lonsdale ama tutti i colori”. Tra gli effetti ci fu che il marchio Lonsdale fu adottato e promosso da alcuni attivisti antirazzisti, che volevano sostenere la contro-campagna dell’azienda.