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La svista (e le scuse) di Eataly. Una lezione per noi giornalisti

Premessa: sono un frequentatore assiduo di Eataly Roma, non foss’altro perché sta esattamente a metà strada del mio percorso casa-ufficio. Sub-premessa: sono assai poco interessato alle diatribe interne al Pd e non penso che il mondo oggi si divida in renziani (estimatori di Eataly tramite il link di Farinetti) e anti-renziani. Sub-sub-premessa: non appartengo a quella categoria di giornalisti che ritengono che i fatti propri possano minimamente fare notizia e se sto per derogare a questo comandamento è perché ne vorrei trarre una conclusione generale, in linea con i temi affrontati da questo blog.
I fatti. Domenica mattina, in previsione di un pic-nic con bimbi e amici in un noto parco romano, andiamo a far provviste da Eataly. Tra i prodotti acquistati, c’è una confezione di prosciutto cotto in offerta speciale che, al successivo assaggio sul prato del pic-nic, si rivelerà immangiabile.
A un’occhiata più attenta alla confezione, il mistero si svela in pochi attimi: quel prosciutto è scaduto da circa due settimane. Mentre consorte e amici meditano già reclami e fantascientifiche richieste di risarcimento, la mia mano ha già afferrato dalla tasca lo strumento della vendetta: l’iPhone.
Bastano pochi secondi: confezione con data di scadenza e prezzo in bella evidenza accanto allo scontrino che dimostra l’acquisto, il tutto inquadrato dalla fotocamera. Un colpo di polpastrello per scattare la foto, un altro paio per postarla su twitter con breve ma significativa didascalia

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il resto viene da sé: una quindicina di retweet, qualche commento, un’audience potenziale di qualche migliaio di utenti dei social network raggiunta dall’informazione e in grado di redistribuirla alle proprie reti sociali, con il suo carico di pubblicità negativa. Insomma, la mia piccola vendetta per la sòla si è consumata, posso considerarmi pari e patta con Eataly.
Le reazioni. Proprio dalle risposte ricevute al mio tweet comincio ad accorgermi che la vicenda, una volta affidata al flusso dei social, smette giocoforza di essere personale e assume caratteristiche paradigmatiche. Innanzitutto, il tipo di commenti.
C’è quello che la butta subito in politica

E quello che invece, manco fosse pagato da Farinetti in persona, ti fa il fact-checking a capocchia

Quello che ti dà i consigli della nonna

E quello che invece ti spiega che è colpa tua

@Aiannuzzi BISOGNA TENERE OCCHI APERTI QUANDO SI COMPERA MAI FIDARSI DI CONTROLLO VENDITORE
— viali2010 (@patatinapa) September 22, 2013

La lezione. Ed è a questo punto che mi sono accorto di quanto la svista di Eataly – e la mia successiva reazione di cliente non soddisfatto – siano emblematiche per spiegare le dinamiche legate all’impatto della professione giornalistica con la rete, con i device tecnologici “mobili” e con i social media. Provo a spiegare.
1) Nell’era analogica, di fronte a un episodio come questo, come si sarebbe comportato il cittadino desideroso di “dare una lezione” al commerciante distratto? Avrebbe cercato di contattare un giornale locale, gli avrebbe scritto una lettera, allegato una fotografia e chiesto la pubblicazione. Avrebbe insomma cercato la “mediazione” dei media, che stavano lì apposta per quello. E avrebbe poi dovuto sperare nella sensibilità / disponibilità dei media ad occuparsi della vicenda.
Oggi, quella mediazione non è necessaria, anzi forse è addirittura superflua, un ostacolo tra la vittima del “sopruso” e la vendetta, che è un piatto sì da mangiare freddo (come il prosciutto, possibilmente non scaduto) ma insomma anche se arriva rapida e indolore non guasta.
Cosa potrebbe fare allora un organo di informazione in questo nuovo scenario? Intanto, potrebbe rilanciare la segnalazione alla propria comunità di lettori (ma per farlo dovrebbe avere un attento monitoraggio territoriale e/o tematico della rete, insomma starci per davvero su sti “social-cosi”, viverli come luoghi di aggregazione e confronto, non solo come presunti megafoni della propria merce). Poi, potrebbe cercare altri episodi analoghi, infine – se la vicenda lo meritasse, e non è certo il caso in questione – costruirci un proprio approfondimento, coinvolgendo anche magari la controparte.
Ma tutto ciò, che è lavoro giornalistico, non può prescindere dalla presenza attiva in rete.
2) Come giornalisti, dobbiamo fare l’abitudine a essere trattati nello stesso modo. Ciascuno di noi è, potenzialmente, come Eataly. E il nostro utente insoddisfatto di un qualche nostro lavoro, sarà sempre più libero e desideroso di segnalarlo pubblicamente.
Perciò dobbiamo imparare in fretta le regole d’ingaggio e di interazione con quella particolare tipologia di consumatori che sono gli utenti delle notizie. Non ha senso snobbarli, deriderli, insultarli. Ci sarà chi la butta in politica, chi farà un fact checking sbagliato e chi ci darà consigli non richiesti. Prendiamo, incartiamo e portiamo a casa. Forse, dico forse, ci perdoneranno.
Aggiornamento. La sera di martedì 23 settembre mi ha contattato via twitter Nicola Farinetti a nome di Eataly

@Aiannuzzi Gentile Andrea, possiamo avere una sua email per scusarci dell’errore? Grazie Eataly Roma  September 24, 2013

 
Ed ecco la sua e-mail, ricevuta giovedì 26 settembre alle 13,37, per la quale lo ringrazio pubblicamente. Scuse accettate, è sottinteso (e grazie a twitter, luogo di vita reale nel quale si è svolta l’intera vicenda).
“Gentile Andrea,
Mi chiamo Nicola Farinetti e sono uno dei responsabili di Eataly Roma. Ci piacerebbe poterti incontrare di persona per discutere dell’accaduto. Siamo, sinceramente, sconcertati da quanto successo perché non si è mai verificato un fatto simile e ci vorremmo poterci scusare e cogliere l’occasione per analizzare meglio l’accaduto, magari davanti a due buone fette di Prosciutto arrosto non scaduto.
Grazie
Nicola Farinetti
“Se tutto è sotto controllo, vuol dire che stiamo andando troppo piano.”
Mangi Meglio, Vivi Meglio.
Eat Better, Live Better.”