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Perché Madrid ha un problema di comunicazione sulla questione catalana

Non sempre le immagini ci dicono la verità, ma in questa èra bisogna saperle usare

Comunica di più l’immagine o la parola? E’ più ingannevole l’immagine o la parola? La scorsa settimana Giuliano Ferrara, commentando le immagini iper-mediatiche e in alcuni casi taroccate delle violenze della polizia spagnola a Barcellona, le accusava di fornire una narrazione falsata e suggeriva di poggiare scelte e convinzioni sulla più completa e ricca narrazione legata alle parole, come da tradizione di questo giornale.
C’è molto di vero in tutto ciò, ma occorre qualche precisazione. Le parole sono simboli, croce e delizia dell’umanità. Sono il segno più specializzato e più duttile: con i simboli possiamo spostarci nello spazio e nel tempo parlando di epoche antiche e luoghi lontani, possiamo inventare mondi come quelli degli elfi, fabbricare concetti, costruire le sofisticate architetture giuridiche che, come nel caso menzionato, fanno stare in piedi o cadere interi paesi. Se poi intendiamo la parola come parola detta o scritta da qualcuno, essa mette in gioco un complesso insieme di capacità che ci fanno fidare o meno della persona che pronuncia o scrive. Non a caso le culture semitiche per indicare la verità preferivano utilizzare la metafora della roccia del testimone piuttosto che quella della luce che è condizione del vedere individuale. La parola è dunque all’origine di una comunicazione più forte, più incidente perché coinvolge la fiducia dell’ascoltatore o del lettore, più precisa e sofisticata. D’altro canto, l’inganno perpetrato attraverso la parola è più cruento, più stabile e più profondo. Le parole delle tremende ideologie del XX secolo e quelle più sofisticate del politicamente corretto di oggi dovrebbero esserne un monito.

Siamo in un’era iconica, soprattutto in politica, con vantaggi e svantaggi annessi e nonostante l’ammirevole resistenza dei lettori del Foglio. Si prende facilmente partito, irritandosi a seconda delle immagini che ci influenzano, ma si cambia più facilmente opinione. Per questo si fanno sondaggi tutti i momenti, nessun partito può essere certo del proprio elettorato. Si è più fragili e individualisti, ma gli inganni sono meno profondi. Più sentimentali, ma meno pronti ad accettare violenze in nome di cause astratte.

Il ruolo dei comunicazionisti

Inutile dire, poi, che da sempre l’utilizzo congiunto di tutti i tipi di segno (ce ne sono anche altri), è ancora più convincente dei segni singoli come dimostrano “gesti” comunicativi come manifestazioni, parate, liturgie, eventi. Sia le ère simboliche sia quelle iconiche della politica cercano questa completezza, con accenti diversi.
Quanto alla Catalogna, a prescindere dalla valutazione politica, il governo spagnolo ha sottovalutato la velocità dell’èra iconica della politica. L’intervento della polizia in alcuni seggi catalani ha mostrato iconicamente la faccia truce del potere, permettendo agli indipendentisti di completare la loro narrazione simbolica con immagini, trasformando la giornata in un “gesto” comunicativo. Ora, qualunque decisione Madrid prenda, deve trovare in fretta icone che trasformino in gesto la loro narrazione, adeguandosi alla civiltà iconica che stiamo attraversando, nel bene e nel male. Re Felipe aveva una grande occasione, potendo sfruttare il valore iconico che è sempre connesso alle monarchie. Ha buttato via una chance, sedendosi opacamente dietro una scrivania come qualsiasi primo ministro e attenendosi alla narrazione standard del governo. La manifestazione unionista di domenica scorsa è stata un inizio di ripresa ma non è sufficiente. Tuttavia, fossi nel re e nel suo governo, prima di quello dell’esercito, radunerei lo stato maggiore dei comunicazionisti.