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Attacchi hacker e insulti su Facebook, la crociata online dei nazionalisti cinesi

La brigata Little Pink combatte su web e social network. Dal Dalai Lama a Hong Kong, nel mirino i «nemici di Pechino»

Alcuni li dipingono come Guardie Rosse 2.0. Rispetto ai tempi della Rivoluzione culturale i metodi sono certamente meno cruenti: per difendere la Cina e il Partito comunista sono armati di uno smartphone e di tanta retorica nazionalista. I Little Pink – xiao fenhong, in cinese – hanno scelto la Rete come campo di battaglia e il loro zelo patriottico è infarcito da un tocco pop, fatto di e-moji e meme che si scambiano online. Il nome di questa brigata di agit-prop digitali deriva dallo sfondo rosa del forum di letteratura Jinjiang, dove sono comparsi anni fa. Quando dai romanzi si è passati alla discussione politica, i toni si sono infiammati: invettive anti-giapponesi, proclami contro l’indipendenza di Taiwan, del Tibet e di Hong Kong, l’attacco al sistema democratico.

Anche lo sport è non è sfuggito all’attenzione dei Little Pink. Nel corso delle Olimpiadi di Rio, quando il campione olimpico di nuoto Mack Horton accusò il collega cinese Sun Yang di doping, la rete della Repubblica popolare non la prese bene: le pagine social del nuotatore australiano furono riempite da una galleria di insulti. Subito dopo essere stata eletta presidente di Taiwan, in poche ore anche la bacheca Facebook di Tsai Ing-wen fu sommersa da oltre 40 mila post contro l’indipendenza dell’isola. Secondo alcune ricerche, i Little Pink sono soprattutto ragazze tra i 18 e i 24 anni. «Figlie, sorelle, la ragazza di cui ci siamo presi una cotta», le definì in un post la Lega della gioventù comunista. Altri identificano i troll cinesi più motivati tra gli studenti delle Università Usa o europee: dove possono accedere con più facilità a Facebook, Instagram e Twitter, bloccati nella Repubblica popolare. «I media occidentali attaccano continuamente la Cina», lamenta Zhang Xiaolin, che però ritiene i metodi dei Little Pink un po’ estremi. Per anni, la propaganda di Pechino sui social è stata alimentata da un esercito di funzionari pagati per sostenere il Partito comunista o per far cambiare argomento quando le conversazioni online viravano su temi sensibili. Secondo le stime contenute in uno studio dell’Università di Harvard, il cosiddetto esercito-dei-cinquanta-centesimi inonda ogni anno la rete di 448 milioni di post.
Nei giorni scorsi anche il Vietnam ha annunciato di aver reclutato 10 mila uomini per combattere le «idee sbagliate» che si diffondono online. A differenza dell’esercito-dei-cinquanta-centesimi, i messaggi dei Little Pink sono più autentici: un segnale che tra questi giovani cresce la percezione dell’ascesa della Repubblica popolare e del declino delle democrazie occidentali. All’ultimo Congresso del Partito comunista, Xi Jinping aveva spronato la Cina a diventare più sicura di sé, molti lo stanno prendendo alla lettera.