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Coinvolgere una parte ostile… conviene

Coinvolgere una parte ostile… conviene

È abbastanza comune per chi opera nell’area della leadership e dei conflitti trovarsi a dare consulenza a imprese che han bisogno di avviare un dialogo costruttivo con stakeholders ostili per risolvere relazioni tese, opposizioni e situazioni di blocco o conflitto aperto. Tipicamente si tratta di rapporti con le comunità attorno a una sede produttiva, con associazioni ambientaliste o di consumatori.
È segno di un’impresa lungimirante e saggia approcciare i conflitti in modo aperto e trasformativo (molto diverso dalla “gestione”, che presuppone l’inevitabilità della loro continuazione). Ci vuole coraggio e un’ottima leadership. Tuttavia bisogna ammettere che, a causa della diffusione di approcci comunicativi legati alla sostenibilità e alla Responsabilità Sociale d’Impresa, sono sempre di più le organizzazioni che prendono la via del dialogo con i propri portatori d’interesse, i cosiddetti stakeholders, con un approccio proattivo anche in caso di situazioni conflittuali o comunque di relazioni tese.
Ma recentemente mi è capitato qualcosa di veramente molto diverso: direi una forma di “iper-prevenzione”, molto, molto intelligente. Un collega americano – un airport manager – mi ha chiesto una consulenza su come consigliare la popolazione residente nell’area circostante un aeroporto al fine di coinvolgere le autorità aeroportuali in un dialogo costruttivo quando vi siano problemi (rumore, traffico, inquinamento; paura di questi…) che eccitano gli animi e creano conflitti. Una situazione, lo riconosciamo tutti, tutt’altro che improbabile. Il collega stava cercando di sviluppare un modello da proporre ai propri colleghi al fine di evitare le frequenti situazione di “muro contro muro” che si verificano intorno a installazioni fortemente impattanti sul territorio.
Confesso che, dopo un momento di difficoltà iniziale per adattare i miei processi di pensiero al contesto, mi sono divertito a pensare “alla rovescia” e sviluppare una lista di azioni ispirate dal Metodo CASE© e dalla mia esperienza nel campo della trasformazione dei conflitti. Ho trovato geniale l’idea di passare da un semplice approccio proattivo nell’avviare il dialogo con la controparte, restando sempre nei propri panni, a quello di sostegno alla controparte stessa per aiutarla a partecipare al dialogo in modo costruttivo ed efficace, in vista dello sviluppo di soluzioni mutualmente sodisfacenti. L’idea del collega americano era veramente visionaria, ma basata su solido buonsenso: quante volte ci sarà capitato di tentare di raggiungere un risultato importante in un dialogo e trovarci frustrati perché l’interlocutore non riusciva ad afferrare le nostre proposte, oppure comprendere la nostra visione? Oppure: quanto è frustrante trovarsi con un fronte di interlocutori spezzettato, contraddittorio e conflittuale al suo interno? A me è capitato spesso. L’idea di educare i propri interlocutori a divenire negoziatori più affidabili e ragionevoli è davvero rivoluzionaria e può portare a risultati eccezionali se portata con coraggio e leadership fino in fondo.
La lista che segue è stata rivista e collaudata con l’autorità aeroportuale che aveva commissionato la consulenza e possiamo dire che la sua efficacia è stata testata: mi fa perciò molto piacere poter ora condividere questo progetto con i lettori di Leadership&Management Magazine. Prima di passare ai consigli pratici, mi preme ricordare che le indicazioni sono rivolte a cittadini, associazioni o simili che siano stakeholder di un soggetto il quale (almeno apparentemente) svolge un’attività che impatta negativamente sulle loro vite. Quindi, se sei un manager o un imprenditore, tieni presente che la lista “parla” al comitato di zona che esprime preoccupazione per le emissioni della tua fabbrica, oppure all’associazione ambientalista che si oppone all’ampliamento del tuo stabilimento. Dovrai trovare il modo di passare queste informazioni ai tuoi interlocutori. I colleghi americani, in qualche caso, hanno offerto una formazione ai comitati. In altri è circolato un piccolo manualetto; si sa che gli statunitensi hanno la mania degli “handbook”.
Lo fai nel tuo interesse, anche se potrebbe a prima vista sembrarti che stai favorendo l’organizzazione e l’efficacia del tuo “nemico”. Nell’approccio alla trasformazione del conflitto partiamo dall’idea che non esistono “nemici” ma solo parti che hanno per il momento una percezione divergente degli obiettivi. E l’obiettivo del processo è di riallineare gli obiettivi verso prospettive mutualmente soddisfacenti.
Perciò, quello che ci si attende se darai una mano ai tuoi oppositori suggerendo loro questi passi di trasformazione, è che divenga molto più facile il dialogo con loro e l’individuazione di piani e progetti che possano soddisfare i bisogni sia della tua organizzazione sia dei suoi stakeholders. Ecco dunque cosa consigliamo di suggerire:

  • individuare tutte le voci simili alla loro nel contesto (altri gruppo, associazioni…);
  • se possibile, mettersi insieme e coordinarsi: la dispersione di energia genera il fallimento, quantomeno perché la controparte non può ascoltare un numero infinito di voci (resisti alla tentazione del “divide et impera”: dal tuo punto di vista è un’illusione. Moltiplichi solo le rotture di scatole e allunghi i tempi all’infinito);
  • trasformare i loro conflitti interni per individuare un portavoce (o più) equilibrato e autorevole. Gestire continuamente le relazioni interne e le ondate emotive (già questo non è facile… ma possibile);
  • raccogliere più informazioni possibili: informazioni dirette – non pettegolezzi – le più accurate che sia possibile. Ignorare quelle evidentemente orientate e quelle intenzionalmente distorte. La verità è sempre più forte;
  • distinguere i fatti dalle emozioni: i fatti sono necessari per sviluppare azioni efficaci; le emozioni sono motivanti, ma spesso portano fuori strada quando non sono individuate come tali;
  • scoprire cosa muove le emozioni: qual è il pericolo percepito a causa della controparte? È reale? Cercare di stabilirlo con obiettività;
  • quali sono i bisogni essenziali VERI che si sta cercando di soddisfare (fatti, non emozioni)?;
  • considerare anche i “pro” di avere la controparte nell’area: non sono lì solo per arrecare danno. Se sono veramente dei delinquenti, normalmente ci sono leggi da applicare (e la campagna può diventare dura, ma le istituzioni possono essere alleate). Ma nel 99% dei casi non lo sono, perciò non considereremo quell’1 per cento;
  • stabilire obiettivi ragionevoli, definire i punti negoziabili e quelli no con buonsenso, essere flessibili per quanto possibile;
  • considerare la controparte un interlocutore legittimo e un partner nel trovare soluzioni. Rispettarla (anche l’1 per cento, per il caso che ci si sia sbagliati sul loro conto…);
  • MAI lavorare CONTROSEMPRE impegnarsi PER qualcosa di diverso (una situazione, un accordo, un’operazione…) che migliorerà la situazione per tutti, e scoprire come;
  • scoprire chi è il vero interlocutore, dotato di potere decisionale(uno o più, in una o più occasioni) per vere discussioni costruttive e per la ricerca di soluzioni Win/Win;
  • sedersi al tavolo con una vera volontà di conoscere, comprendere e trovare soluzioni Win/Win;
  • essere aperti ai suggerimenti, condividere i propri dati apertamente, considerare quelli della controparte attentamente e onestamente;
  • essere cooperativi nel lavoro per raggiungere gli obiettivi (secondo gli accordi), in buona fede e flessibili per adattarsi a circostanze mutevoli.

Come puoi vedere, non considero la possibilità di un fallimento! Come cantò John Lennon, “Puoi dire che sono un sognatore”… ma, in verità, ho molta comprovata fiducia nell’approccio alle negoziazioni onesto, rispettoso ed equilibrato. Se ti trovi in una situazione di conflittualità, latente o attuale, con uno o più stakeholders apparentemente ostili hai solo da guadagnare a farne degli interlocutori lucidi, onesti e capaci.
Provare per credere.