Come è (in parte) mutata e come è percepita la pubblicità ai tempi del coronavirus
Quali cambiamenti si possono notare nella pubblicità ai tempi del coronavirus? E che percezione ne hanno gli italiani in questo periodo?
Dall’inizio della diffusione del coronavirus molte cose sono cambiate, per i consumatori tanto quanto per i produttori e i brand. Da un lato, non potendo uscire di casa ed essendo in isolamento, i consumatori hanno mutato le loro abitudini, dall’altro molte aziende hanno dovuto ripensarsi, reagendo con immediatezza alle esigenze imposte dal periodo, come hanno fatto, ad esempio, i brand di moda con varie iniziative per contrastare l’emergenza coronavirus.
Se produzione e consumo di prodotti e servizi si sono trasformati in risposta alle problematiche attuali, non potevano che adeguarsi anche le comunicazioni (personali e aziendali), nelle forme quanto nel contenuto: la pubblicità ai tempi del coronavirus, così, è inevitabilmente cambiata.
PERCHÉ E COME È IN PARTE CAMBIATA LA PUBBLICITÀ AI TEMPI DEL CORONAVIRUS: ALCUNI ESEMPI
onsiderando le diverse direttive che i cittadini sono stati chiamati a rispettare, infatti, alcuni brand si sono domandati se fosse opportuno continuare a diffondere le comunicazioni pubblicitarie, già realizzate e semmai anche lanciate in precedenza, basate su concetti quali la vicinanza fisica alle persone care, il viaggiare, il mangiare fuori casa, il fare la spesa in punti vendita, e così via.
Detto in altri termini, la domanda che si sono posti i brand sarebbe la seguente: la pubblicità che esprime una “vita normale” può suscitare un effetto straniante nei consumatori e addirittura infastidire oppure permette un’evasione momentanea, potendo sognare e desiderare di tornare alla “normalità”?
Ogni brand ha dato una propria risposta: c’è chi ha deciso di sospendere del tutto comunicazioni di tipo pubblicitario, chi ha provveduto a modificarle, chi invece ha mantenuto la linea seguita già in precedenza. Ovviamente, non c’è una risposta corretta in assoluto e la sola regola da seguire è di restare sempre coerenti al proprio tone of voice e al proprio target rispettando la situazione.
Hershey, ad esempio, ha optato per lo stoppare provvisoriamente spot pubblicitari che mostrano abbracci, per spostare l’attenzione sui prodotti, e Nike ha invitato ad allenarsi a casa, immettendosi nel flusso di iniziative del tipo #iorestoacasa. Anche altri brand hanno cercato di comunicare in modo chiaro la necessità di tenere una distanza sociale (fisica) e di non uscire di casa se non per urgenze, come ha fatto Audi in un breve video che stacca i tre cerchi solitamente uniti nel logo , mentre alcune campagne, come quella attribuita a Netflix e legata al claim «stai a casa o Netflix ti spoilera i finali» si sono rivelate non lanciate direttamente dal brand (in questo specifico caso la finta campagna è diventata velocemente virale, costringendo Netflix a pubblicare una specifica sui propri canali social ufficiali).
Focalizzato sulla possibilità di comunicare, lavorare, condividere a distanza è il nuovo spot realizzato da Vodafone con il coinvolgimento dei clienti della compagnia telefonica, ai quali è stato chiesto di registrare dei brevi video mentre svolgevano diverse attività in casa.
Barilla, invece, ha dedicato il suo spazio pubblicitario sul Corriere della Sera del 2 marzo 2020 ai propri dipendenti, che stanno continuando a lavorare anche in questo difficile periodo, ringraziandoli uno ad uno, con un lungo elenco di nomi e un messaggio breve e chiaro sintetizzabile in quel «siamo fieri di voi» evidenziato con maiuscole e grassetto.
Alcuni brand invece hanno deciso di sospendere la comunicazione pubblicitaria. Lo hanno fatto aziende che vendono prodotti di grandi dimensioni, come ad esempio Poltrone Sofà, che ha stoppato la messa in onda degli spot probabilmente proprio per l’impossibilità di comprare questo genere di prodotti senza recarsi in negozio, o le agenzie di viaggi, i cui servizi al momento non possono essere sfruttati dai consumatori. Lo ha fatto anche Coca Cola Italia, ritenendo più opportuno concentrare le attenzioni e le energie su aspetti più importanti in questo momento.
Non mancano brand però che hanno scelto di continuare a diffondere le comunicazioni pubblicitarie già realizzate o lanciate in precedenza, come vediamo in vari spot che sponsorizzano le uova pasquali.
QUAL È LA PERCEZIONE DELLA PUBBLICITÀ AI TEMPI DEL COVID-19 IN ITALIA?
È un errore quello di aziende che continuano a diffondere comunicazioni legate ad attività o situazioni che non possiamo vivere attualmente o eventi e festività che saranno inevitabilmente trascorsi in maniera diversa dal passato? Come si diceva sopra, non c’è una risposta valida in assoluto.
Possiamo però chiederci qual è la percezione della pubblicità ai tempi del coronavirus per meglio comprendere cosa si aspettano i consumatori.
Focalizzando l’attenzione sul panorama italiano e sulla fruizione televisiva, risultano interessanti a tal proposito i dati della ricerca realizzata da Conic e Hokuto, “La pubblicità vista dalla quarantena“, con interviste svolte dal 23 al 25 marzo 2020 e somministrate a un campione di 800 spettatori televisivi under 18, con quote campione per sesso, fasce di età e area geografica.
I dati, presentati in un webinar il 2 aprile 2020, sottolineano come il livello di preoccupazione per questo periodo sia molto elevato (solo l’11% si dichiara un po’ preoccupato e appena il 2% non preoccupato) e come dalla pubblicità non ci si aspetti affatto un accentuare ulteriormente questa sensazione o, più in generale, sensazioni negative.
Se la pubblicità non è ritenuta inopportuna in questo periodo solo dal 14% dei telespettatori vanno considerati altri dati che sembrano rendere non così consolidata questa opinione, perché la maggior parte degli intervistati ammette di divertirsi guardando la pubblicità (il 13% molto, il 43% abbastanza, il 33% poco e l’11% per nulla) e di ritenere che la pubblicità continui a svolgere il proprio ruolo, quello di aiutare nella scelta di prodotti e servizi (secondo il 12% molto e per il 53% abbastanza).
Il dato più interessante, comunque, è quello che evidenzia come i telespettatori ritengano che la pubblicità ai tempi del coronavirus dovrebbe comunque essere incentrata principalmente sull’intrattenere, con toni simpatici, leggeri. Va rilevato che tra gli intervistati le persone più adulte sono quelle che chiedono di essere più incluse nei messaggi pubblicitari sia da parte di marche che offrono prodotti diretti a loro, sia dalla comunicazione pubblica, anche con un messaggio adeguato allo specifico momento. In generale, però, le persone si aspettano che la pubblicità continui a raccontare storie, specie ambientate in una sorta dimensione da sogno e di “mondo ideale” che ha sempre caratterizzato la pubblicità: scene all’aperto o momenti condivisi con amici e famiglia, quindi, non risultano essere strane o fastidiose, al contrario continuano ad essere apprezzate, per il desiderio di poterlo fare presto; in questo caso, infatti, non si tratta di un qualcosa a cui alcuni possono accedere ed altri no – come è invece nella comunicazione relativa al settore del lusso –, perché si tratta di situazioni che con il tempo sarà possibile per tutti rivivere. Le aziende che fanno pubblicità ora sono ritenute essere soprattutto quelle che guardano al domani (per il 23%), che sanno adattarsi alla situazione (22%), che possono offrire sempre qualcosa di utile (per il 18%), per cui è probabile che ne guadagneranno in termini di reputazione anche in futuro.