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Digital Services Act: quali norme per la protezione dei minori online

Digital Services Act: quali norme per la protezione dei minori online

Per singolare coincidenza sabato 17 febbraio si sono verificate due “ricorrenze” che rientrano a pieno titolo nella tecnologia solidale.

Da un lato, dal 17 febbraio tutte le piattaforme digitali e non solo le grandi dovranno rispettare il Digital Services Act (DSA). Sono esentate solamente le aziende sotto i 50 dipendenti e i 10 milioni di euro di fatturato. 

Dall’altro, Parole O_Stili compie sette anni. “In effetti – mi dice Rosy Russo, presidente dell’associazione – la coincidenza tra l’entrata in vigore “totale” di questa normativa dell’Unione Europea che mira a regolare le piattaforme online e a proteggere i cittadini, a partire dai minori, e la presentazione del nostro Manifesto della comunicazione non ostile è singolare. La prendo come un buon auspicio per continuare con il nostro impegno per ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi online.”.

Digital Services Act: le principali misure

A questo proposito è utile ribadire quali sono le principali misure del DSA per proteggere i minori online e garantire un ambiente più sicuro e appropriato per il loro sviluppo e benessere coinvolgendo e responsabilizzando le piattaforme:

• Limitazioni sull’uso dei dati personali dei minori e verifica dell’età.

• Protezione da e misure più rigorose per rimuovere contenuti nocivi, come la pornografia infantile o l’incitamento all’odio o il cyberbullismo.

• Potenziamento degli strumenti per il controllo da parte dei genitori della attività online dei figli.

• Viene vietata la pubblicità mirata nei confronti dei bambini.

Sono naturalmente iniziative del tutto condivisibili. La domanda è se tutto questo basterà. Che ne pensi, Rosy?

“Come tu dicevi durante la tua attività parlamentare, una legge vale non solo per il suo contenuto, ma anche perché fa cultura, propone una visione di società e individua delle priorità. In questo senso il Digital Services Act è importante perché indica il principio che le piattaforme non possono disinteressarsi di quanto avviene online nei confronti dei più piccoli. Questa attenzione noi l’abbiamo iniziata molto prima di questa norma, promuovendo “dal basso” il Manifesto della comunicazione non ostile e andando nelle scuole a incontrare insegnanti e studenti. Un impegno che proseguiremo con ancora più convinzione e forza, adesso che anche le istituzioni hanno iniziato a impegnarsi concretamente.”

Le istituzioni europee lo hanno fatto coinvolgendo le piattaforme su una maggiore responsabilità. “In effetti il DSA – ci dice Stefano Pasta, docente e componente del CREMIT Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica, autore di “Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online – riconosce che nel web sociale non siamo tutti uguali, sia in termini di opportunità sia dunque di responsabilità: quindi rispetto ai comportamenti scorretti nel digitale ritiene che i grandi colossi del Web non solo ospitino gli utenti, ma debbano monitorare quanto pubblicano.“.

L’aver posto dei limiti legislativi può aiutare questa azione? 

Digital Services Act: le piattaforme devono vigilare sui discorsi d’odio

“Certamente sì, perché il DSA ci aiuta ad affermare che le piattaforme devono vigilare di più sull’evitare i discorsi d’odio e, se non ci riescono o non vogliono, possono essere sanzionate. La norma, anche nel digitale, serve a tutelare i diritti umani e a regolare lo spazio pubblico, a scegliere come vogliamo vivere insieme: è questo un principio giuridico cardine del diritto europeo, diverso dal liberismo giuridico statunitense che è il substrato culturale in cui sono cresciute le grandi società del web. Il DSA, in fondo, ci ricorda il sogno per cui sono nate le istituzioni europee.”.

È la strada giusta?

“È la strada  giusta per il contrasto dell’hate speech. La priorità rimane promuovere l’educazione degli “spettautori” – fruitori e produttori di contenuti digitali al tempo stesso – al pensiero critico e alla responsabilità, intesa come capacità di valutare la conseguenza delle proprie azioni nel digitale. 

Concorda con questa interpretazione anche Stefania Garassini, giornalista, docente alla Cattolica di Milano e tra i promotori di Patti digitali, iniziativa di coinvolgimento delle famiglie e degli enti locali per un uso corretto delle nuove tecnologie da parte dei bambini e delle bambine: “La norma è giusta, anche se viene sostanzialmente ribadita la neutralità delle piattaforme, quindi la responsabilità sui contenuti resta limitata. I servizi online non vengono considerati come editori e quindi si tratta per la maggior parte di un controllo che avviene dopo la  pubblicazione, con tutti i rischi del caso. Proprio la natura editoriale delle piattaforme è invece al centro della proposta di legge usa KOSA (Kids Online Safety Act). È un tema cruciale, ma credo che quella di responsabilizzare maggiormente le piattaforme sui contenuti sia l’unica strada per rendere davvero Internet più sicura per i minori”. 

Tuttavia una norma, neanche quella scritta meglio, può sostituire l’attenzione dei genitori e l’educazione al buon uso degli strumenti digitali…

“Assolutamente. Però l’impegno sul campo di realtà come la nostra e di altre che agiscono nel nostro stesso ambito è sicuramente più sostenuto da una norma che afferma comunque una responsabilità da parte delle piattaforme. Anche perché purtroppo aumenta la precocità nell’uso degli strumenti digitali da parte dei bambini.” 

I dati su minori e uso del digitale

In effetti i dati di “Tempi digitali”, la XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia, pubblicata da Save the Children lo scorso novembre, mostrano che in Italia si è abbassata l’età in cui si possiede o utilizza uno smartphone: il 78,3 per cento di bambini tra gli 11 e i 13 anni utilizza internet tutti i giorni e lo fa soprattutto attraverso lo smartphone. 

A questi dati si uniscono quelli della indagine “Alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori: comportamenti, opportunità e paure dei navigatori under 16” presentata il 15 febbraio a Milano e realizzata dall’Alta scuola in media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica e dal Ministero delle imprese e del made in Italy. Il 40% degli intervistati più piccoli parla di esperienze negative online. Il 53% degli adolescenti tra gli 11 e i13 anni, dice di esperienze negative “gravi e ripetute”.

Questi dati e gli altri contenuti in questa ricerca confermano che oltre e accanto alle leggi e ai regolamenti delle piattaforme, il primo punto resta sempre uno: non possiamo lasciare da soli online figli e nipoti. A ben pensarci è paradossale il fatto che non facciamo andare e tornare da scuola da soli i nostri figli alle elementari (e spesso anche alle medie) anche se la scuola è vicina a casa e poi lasciamo che vadano da soli per le strade del web, che non sono meno insidiose di quelle delle nostre città, perché la rete e le strade sono sempre “abitate” da esseri umani, quindi da persone che possono essere bene e male intenzionate. 

Stando così le cose, per noi genitori, per gli educatori, per i nonni, per tutti coloro che hanno a cuore il destino dei più piccoli, vale oggi più che mai la regola delle 3 A, quella che applichiamo a casa Palmieri: accompagna, argina, accogli. Valeva quando il mondo era “solo” analogico. Vale ancor di più ora che è diventato digitale.