Il goal che manca all’Agenda 2030
Oggi è raro trovare un evento aziendale di qualsiasi tipo che non richiami in qualche modo la sostenibilità, vissuta come passe-partout in grado di comunicare al meglio con cittadini, istituzioni e mercato. Certo, in questa scelta ormai diventata prassi, ci può stare una buona dose di tattica per cavalcare l’onda dell’ambientalmente e socialmente corretto, ma in realtà le imprese, grandi o piccole che siano, si trovano trasversalmente impegnate a “transitare” da un sistema basato sull’acceleratore a uno fondato su freno e frizione. E dove la competitività passa davvero attraverso un utilizzo più consapevole di risorse e un cambio di marcia funzionale ad adattarsi alle istanze di legislatori e consumatori più attenti e rigorosi nei confronti della responsabilità aziendale.
Ecco, allora, che anche la comunicazione si fa responsabile. Al bando i valori di marca giocati su efficienza e performance, ci si focalizza su impegni, rispetto e tutele per (ri)creare una relazione di fiducia con i propri pubblici. E qui entra in gioco il ruolo cruciale dei professionisti della comunicazione, anch’essi impegnati ad abbandonare qualsiasi scorciatoia di pura immagine – che nell’epoca della sostenibilità assume i connotati del greenwashing – per ancorare saldamente il vocabolario aziendale ad azioni verificabili e comportamenti tangibili. Compito tutt’altro che facile nell’epoca dominata da fake news, infomedia e dal rischio crescente di un utilizzo inconsapevole delle applicazioni di intelligenza artificiale.
È in questo contesto che nasce l’iniziativa lanciata da Global Alliance – la federazione delle principali associazioni e istituzioni mondiali di relazioni pubbliche e comunicazione e che rappresenta oltre 320.000 professionisti e accademici – affinché venga presentata la richiesta alle Nazioni Unite di aggiungere un nuovo goal, il diciottesimo, agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030: l’obiettivo “comunicazione responsabile”. Un’iniziativa, adottata da FERPI in Italia, che intende mettere al centro il dialogo aperto sulle sfide globali, in grado di recuperare il rapporto con il reale, combattendo le diverse forme di propaganda che alimentano e inquinano il dibattito pubblico. Nella comunicazione responsabile il linguaggio si fa inclusivo e abbandona ogni forma di ostilità: questo vuol dire, ad esempio, allenarsi ad accogliere le critiche, a rispondere a dubbi e richieste di approfondimento sul merito, ad accorciare le distanze. Quante volte nella comunicazione d’impresa si cede ancora alla tentazione di rispondere in modo stizzito o presuntuoso, ignorando la regola basilare che se non siamo stati capiti la responsabilità va ricercata in noi anziché che nei destinatari?
Per compiere questo salto di qualità occorre innanzitutto comprendere come accanto alla transizione verso un’economia più sostenibile, le imprese devono organizzare una parallela transizione comunicativa. I diritti, il rispetto delle diversità, la sicurezza sul lavoro e la tutela della salute e dell’ambiente sono valori che richiedono la presenza e il supporto di comunicatori esperti, capaci di traghettare l’intera organizzazione aziendale, formando le persone a nuove competenze e sensibilità e facilitando l’ascolto e il dialogo con i pubblici interni ed esterni. E avendo ben chiaro come la portata della sfida sostenibile è tale da richiedere una parallela assunzione di responsabilità ai consumatori che devono essere accompagnati, proprio tramite la comunicazione responsabile, ad abbandonare abitudini consolidate, soluzioni facili e zone di comfort diventate oggi insostenibili.
C’è poi un ultimo ma fondamentale salto in avanti che deve compiere l’organizzazione che intende garantirsi un futuro in un mondo in profonda trasformazione: se la propaganda crea ad arte continue “emergenze”, è necessario recuperare il rapporto con il reale e affrontare le “urgenze”, quelle vere e in crescita, che affliggono la nostra società. Ecco che, ancora una volta, la comunicazione responsabile è la strada che aiuta l’impresa a mettere a fuoco le priorità e a dimostrarsi empatica nei confronti delle sofferenze. Che siano del pianeta o delle comunità, occorre in ogni caso ripensare il proprio scopo: vana, anzi potenzialmente assai rischiosa, diventa la presentazione dei risultati del proprio report di sostenibilità, se poi s’inciampa nell’indifferenza verso chi, tra i propri stakeholder, ti manifesta un disagio concreto o una richiesta d’aiuto.
Nella cornice della comunicazione responsabile, ovviamente, non possono mancare i media. E in questo caso occorre ricorrere a Italo Calvino per “cercare e sapere riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Nel mainstream la rincorsa ad “asfaltare” il prossimo appare una tendenza irreversibile ma persino in questa cornice i professionisti della comunicazione possono cogliere l’opportunità di costruire relazioni virtuose con chi (e non sono pochi, soprattutto tra chi sperimenta nuovi strumenti e linguaggi) è in grado di fare le domande giuste, valutare l’autenticità del racconto e allargare la platea dei destinatari. Ne è un caso emblematico la nuova direzione “RAI per la sostenibilità – ESG” che, in collaborazione con ASViS e FERPI ha portato i temi e le parole della sostenibilità nei programmi più pop della tv pubblica. A dimostrazione di come la comunicazione responsabile può svolgere appieno il suo compito solo se associata a un ruolo strategico all’interno delle organizzazioni. Ecco, per l’Agenda 2030 è forse arrivato il momento per attribuire “un posto al sole” anche al Goal 18.