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Il mercato del consenso: come tornare dall’inferno di Cambridge Analytica

Il mercato del consenso: come tornare dall’inferno di Cambridge Analytica

Il nuovo libro di Christopher Wylie e la politica al tempo degli algoritmi.

Un ponderoso studio della società di ricerca KP16 dimostra che la politica sta separandosi da Twitter. Forse aveva ragione l’ex premier conservatore David Cameron qualche anno fa a rispondere ai suoi più giovani contendenti che “il Regno Unito e Twitter non sono la stessa cosa”. Christopher Wylie, il talento pentito che ha elaborato i dispositivi di ricerca di Cambridge Analytica, ha scritto un lucidissimo e documentatissimo libro intitolato Il mercato del consenso (Longanesi) per spiegare che la politica e la rete sono oggi inevitabilmente la stessa cosa. Il testo è molto sfaccettato e composito, tutto e sempre attraversato dal tormento del giovane sociologo informatico che s’è trovato, come dice lui stesso, ad attraversare l’inferno. Lo dice uno che, nonostante la sua ancora giovane età, neanche trent’anni, ne ha viste e fatte di tutti i colori, come i suoi capelli che passano dal rosa shocking al pervinca. Nasce nel paradiso canadese dell’isola di Vancouver, della British Columbia: a sei anni bullizzato, a dodici cacciato da tutte le scuole del regno, fa outing a quattordici dichiarandosi gay, a ventuno, ammesso alla London School of Economics per chiari meriti. Una vita senza zone grigie, come si comprende meglio proprio negli ultimi capitoli del libro dove si lascia andare a una a volte persino commovente confessione delle contorsioni di un giovane gay, nel vortice del successo, che s’accorge di “essere cresciuto in un armadio”. 

L’armadio – scrive – non è uno spazio letterale; è una struttura sociale che noi omosessuali interiorizziamo e alla quale ci conformiamo. L’armadio è un contenitore i cui limiti sono imposti dagli altri che vogliono controllare come ti presenti e come ti comporti.

Questa sua esperienza esistenziale l’ha aiutato a capire meglio a cosa stava lavorando e che mostro aveva concorso a creare: Cambridge Analytica è stato l’armadio della politica occidentale per vari anni, costruendo e imponendo una tendenza che ha mutato gli equilibri del mondo.

Leggere questo libro nel pieno della campagna presidenziale americana, e anche nel gorgo della pandemia, ci offre uno straordinario punto di vista, a cui abbiamo ammiccato più volte, ma che non abbiamo mai realmente organizzato e strutturato in termini di reale fattibilità dei pericoli che paventavamo.

Da tempo stiamo dicendo che la rete manipola il consenso, crea bolle che alterano la percezione, sbilancia il dibattito annientando la dialettica nell’opinione pubblica, perché isola ognuno di noi, separandolo dal resto della comunità. Ma tutto questo come si fa? E soprattutto come e chi l’ha fatto?

Christopher Wylie s’alza in piedi e dice: Io.

Nella prima parte del robusto volume – 332 pagine – meticolosamente dispone gli strumenti sul tavolo. Esattamente come un chirurgo che prepara un intervento delicato, Wylie mostra tutte le opzioni, le risorse, gli strumenti con cui si poteva interferire sul cervello di milioni di persone, e come lo si è fatto. Spiega il passaggio dal marketing alla politica, e passa in rassegna quell’umanità rapace, ambiziosa, luciferina, che s’è raccolta attorno a questa bacchetta magica del consenso. Racconta concretamente, con riferimenti espliciti ai contratti, alle modalità operative, alle tecnicalità adottate con cui Alexander Nix, il cattivo del racconto, brillante e debosciato rampollo di Eton che, ignorandone i saperi, trasforma il microtargeting esperienziale in una trappola infernale per la democrazia. La versione più amorale e avida di un moderno Rudyard Kipling, che utilizza l’Africa per saggiare la sua potenza d’intervento: Gabon, Nigeria, Ruanda. La SCL, la società di Nix che ha incubato Cambridge Analytica, comincia a costruire i suoi leader a tavolino. Il procedimento è sempre lo stesso: un ministro paga la parcella e mette a disposizione ingenti dati sulla popolazione, poi intervengono gli algoritmi che il gruppo di Wylie comincia ad affinare e s’inizia a “cambiare la cultura e il vocabolario delle persone, di molte persone, di tutte le persone”.

Siamo nel 2013, da quel momento si comincia a pensare in grande: Nix raccoglie commesse da parte di aziende che vogliono rinnovare il proprio marketing, e soprattutto rispondere all’attacco dei concorrenti. Il giovane Wylie scopre le affinità fra politica e moda, e comincia a lavorare sui trend da predire e poi da imporre.

Le divise politiche, spiega, sono l’altra faccia del programma, a volte la prima faccia. Lungo questa strada che già incrocia psicologia, antropologie e calcolo del sentiment l’allegra brigata della SCL incontra la Darpa, l’agenzia analitica dei servizi americani, e il Defense Science e Technology Laboratory dell’M16, gli omologhi inglesi. I loro studi sull’uso dei social per controllare prima e organizzare poi il senso comune di interi gruppi e regioni richiede un contributo più creativo. L’intreccio porta soldi e coperture al nostro Alexander Nix. È la dimostrazione, come spiega Shoshana Zuboff nel suo topo Il capitalismo della sorveglianza, che le piattaforme predittive sono sempre il risultato di un connubio con il deep state anglo americano. Del resto anche Marianna Mazzucato ci dice che l’intera Silicon Valley diventa quella che oggi vediamo proprio grazie al supporto economico, ideologico e politico degli apparati pubblici americani. Qui forse qualcuno ha esagerato.

Nel 2014 appare il nuovo personaggio, Steve Bannon, il brutto. Come sappiamo si tratta dell’architetto della candidatura Trump, e soprattutto il teorico della radicalizzazione dei ceti poveri bianchi contro la base sociale multietnica dei liberal.

Il teorico del suprematismo bianco americano mette in campo il progetto massimo: conquistare la Casa Bianca. È molto interessante vedere attraverso gli occhi di Wylie come viene concepita, armata, annunciata e gestita la candidatura di Frankenstein. 

Una sequenza di forzature ideologiche supportate da una massa inesorabile di dati e soprattutto dalla catalogazione quasi lombrosiana dei linguaggi di ogni singola microcomunità, arrivando a censire nelle contee contendibili i singoli inquilini nei condomini di cerniera fra le diverse identità politiche. Uno spettacolo, dice Wylie, vedere come a un’azione – raccolta dati individuali e intimi, elaborazione e organizzazione di canali individuali di comunicazione con ognuno delle centinaia di migliaia di elettori contesi -immediatamente corrisponda una reazione: il bersaglio si muove, interagisce, risponde, diventa attivo e trascina i suoi contatti nel solco voluto.

La prova generale del dispositivo di interferenza viene fatta in Inghilterra, con la Brexit: operazione esemplare. Raccolti i dati, scannerizzati gli elettori, individuato il tema ideologico del rancore dei ceti medi per lo scintillante stile di vita delle élite si va a bersaglio. Il risultato, scrive Wylie, è quello di riuscire a riprodurre in vitro le dinamiche sociali. A quel punto hai tutto per cambiare l’esito finale.

In questa parte del libro è davvero copiosa la massa delle informazioni tecniche: come si fa a parlare con masse pulviscolari, disomogenee, individualizzate, rancorose e contrapposte le une alle altre. Wylie in questa parte del libro offre un saggio non dissimile, e non è davvero dissacrante il paragone vi assicuro, con il Che fare? di Lenin. Come sappiamo il leader della rivoluzione russa scrive il suo saggio nel 1905, alla fine dell’ennesima sollevazione fallita nella Russia zarista, e spiega come solo una macchina politica centralmente organizzata, in grado di legarsi ai punti alti del conflitto e capace di dirigere i movimenti sociali sulla base di un’affinità di linguaggio e di interessi con le aree che vuole rappresentare, potrà realmente ottenere un cambio di regime. 

Il giovane talento canadese, nel nuovo contesto del 2020, sull’onda delle esperienze vissute, ripercorre la stessa scaletta, con contenuti, interlocutori e soprattutto strumenti e valori sideralmente diversi.

Si costruisce un partito individuando una contraddizione, facendo crescere uno stato d’animo, interferendo sul senso comune, dando a ognuno la sensazione che stia guidando lui il cambiamento culturale.

Nel libro Wylie a un certo punto richiama il famoso saggio di Valerij Gerasimov, il capo di stato russo, che scrisse nel 2013 un testo assunto come bibbia dalle forze armate di Mosca: “si fa la guerra cambiando la testa e la lingua dei ceti sociali più deboli dell’avversario”. Come si legge nel libro “con i dati si rimodulano gli individui esattamente come con le vaccinazioni durante un’epidemia”.

Mosca è un altro grande protagonista del racconto. Al di là delle polemiche e delle accuse, Wylie racconta dettagliatamente circostanze, date, luoghi, personaggi, cifre e obiettivi dei suoi rapporti con gli apparati di Putin. 

Cambridge Analytica, scopriamo, nasce e si afferma sulla base di un’intesa con la Lukoil, la compagnia petrolifera che il Cremlino usa come bussola finanziaria dei suoi servizi segreti. È la Lukoil che mette in campo, insieme a Bannon e allo staff di Trump, la ragnatela che porterà alla sorpresa del novembre del 2016, quando contrariamente alle previsioni vince proprio il miliardario di New York.

Con i russi i legami sono strettissimi e lucrosi, si parla di oro e petrolio, in gran quantità. Ma Wylie nel suo libro non cede allo scandalismo. Pur documentando accuse gravissime, non insiste su quell’aspetto dell’operazione Trump. Esattamente come fece al suo tempo Lenin, cerca di seguire il filo dei bisogni e delle contraddizioni sociali reali. E racconta come si punti forte a ingigantire un trend inizialmente marginale: il disagio di un’area sociale culturale.

Questa è indubbiamente la parte più innovativa e culturalmente densa del libro. Wylie ci mostra i crateri che la cultura liberale ha scavato nel tessuto sociale americano: l’America orizzontale, delle pianure contro quella verticale degli snob che abitano nei grattaceli di Chicago e New York, il ceto medio bianco di provincia, umiliato dall’egemonia culturale multicolore e multirazziale, gli stessi neri usati dai liberal per mostrare il proprio progressismo ma poi ghettizzati in scuole periferiche e in poco pagati.

È una controprogrammazione che impegna, prima di ingegneri e informatici, sociologi e antropologi, che danno forma a una nuova maggioranza, a cui bisogna dare un’identità, una lingua e il coraggio di esibirsi. Il paradosso, che viene appunto coltivato e formattato dagli algoritmi semantici di Nix, è che i poveri pensano da ricchi, e considerano le proteste sociali solo un modo per rubargli spazio e speranze. Il mondo è giusto nelle sue gerarchie, spiega Bannon, bisogna solo eliminare quella cerchia di intriganti intellettuali che usa i disagi momentanei dei più poveri per volersi accaparrare una fetta maggiore. È proprio questo il leitmotiv che la rete incoraggia e consolida. Senza nessuna contronarrazione. Il risultato è che i rifiutati dal successo, scrive l’autore, si sentano attratti dai vincitori.

Questo è Cambridge Analytica. 

Passaggi essenziali sono i dati di facebook, comprati, rubati, sottratti. I profili di 87 milioni di americani entrano nei server di Nix che Wylie insieme a Alexander Kogan, un ricercatore associato all’Università di Cambridge di origine Moldava, cominciano a ruminare. Ne esce una mappa dettagliata del territorio, in cui particella catastale per particella catastale si sa chi abita, cosa pensa e come parla. Il resto, dice Wylie, è logistica. Nei gironi danteschi descritti nel libro appare anche Julian Assange, al seguito dei russi, fornisce materiali fondamentali, come le famose email della Clinton su cui si balla per un anno, fino alla decisione dell’Fbi di riaprire le indagini a pochi giorni dal voto. Nel frattempo la nuova maggioranza reazionaria cresce, Wylie assiste al domino dei pezzi sulla scacchiera: finanzieri, sindacati, sindaci, religiosi, sportivi, ma soprattutto una marea di gente normale, che cerca un modo per esserci, e non solo votare.

Il tutto nell’indifferenza generale: è incredibile vedere come cresca il fungo senza che nessuno nemmeno l’intraveda. Persino i titolari dei dati, come Google e Facebook, non intuiscono che qualcosa sta cambiando nella loro pancia. Lo stesso Obama, che pure aveva costruito le sue due vittorie proprio sull’ascolto della rete, ignora il rimescolamento dei voti. È il segno, dice Wylie, che l’America verticale nemmeno si abbassa a guardare quella orizzontale. Ma è anche il segno che solo i proprietari, i mandanti, i veri programmatori del sistema possono avere un cruscotto di comando: come Lenin, ancora: solo il vertice del partito sa tutto. E come per le epidemie prima che lo sappiano tutti non lo deve sapere nessuno. Cerca uno sbocco nel Guardian, ma poi scopre che persino il prestigioso quotidiano londinese si fa intimidire, e dopo le prime puntate dell’inchiesta indietreggia. Allarga la portata della denuncia al New York Times che regge all’urto delle dure reazioni legali di coloro che sono esposti nello scandalo ma fino a un certo punto: gli avvocati sono più minacciosi dei killer negli Usa. Finalmente si apre il versante delle inchieste politiche. Negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Wylie diventa un whistleblower, un testimone oculare, un confidente che svela i misteri. Comincia a viaggiare fra le due sponde dell’atlantico con un bagaglio di pennette e computer con tutti i documenti dentro, e sempre guardandosi le spalle. Le inchieste inchiodano i responsabili, Cambridge Analytica si scioglie, Bannon è cacciato dalla Casa Bianca, ma nessuno paga realmente. Ognuno riesce a godersi i cospicui fondi accumulati con le parcelle alla Lukoil e a Trump. Soprattutto non cambiano i meccanismi: oggi è peggio, fa intendere il disilluso ragazzo con i capelli colorati. C’è indignazione ma non nuove leggi. Soprattutto non c’è mobilitazione politica e sociale: non c’è conflitto. 

Questo è un concetto a cui Wylie con la sua cultura angloamericana non arriva: la dinamica sociale, lo scontro di interessi, il conflitto li vede sempre relegati a livelli istituzionali. Per questo nelle ultime pagine chiede nuove norme, parla di un piano regolatore della rete, dove attribuire responsabilità proprio agli ingegneri, agli informatici, a quelli come lui, gli apprendisti stregoni. 

Senza la possibilità di individuare interessi e bisogni diversi da quelli che programmano la rete nessun governo potrà raggiungere il giaguaro. Siamo in un tempo in cui la società sta diventando più veloce della tecnologia, e se non si gioca proprio là la partita, ossia in quell’intreccio fra verticale e orizzontale, fra città e campagna, fra élite e ceto medio nessuna norma potrà impedire che Cambridge Analytica continui a ridisegnare la democrazia nell’indifferenza persino dei buoni. 

Come diceva Martin Luther King: non ricorderemo le parole dei nostri avversari ma i silenzi dei nostri amici.