La sentenza contro Apple e Google e la riformabilità del sistema digitale
La forte e irreversibile decisione dell’alta Corte di Giustizia di confermare le pesanti sanzioni per Apple e per Google, parliamo dei due padroni del 98% dei sistemi operativi della telefonia mobile sul pianeta, ci aiuta a ragionare sul merito della petizione di illustri pedagoghi e neuropsichiatri hanno rivolto alla politica per impedire ai giovani almeno fino a 14 anni l’accesso libero ai social e l’uso dei nuovi smartphone.
Il nodo che i due atti pongono alla discussione riguarda, infatti, sia l’immutabilità della società digitale, così come si è formata, e sia le forme di ostruzionismo, se non proprio di proibizionismo, da adottare per limitare i danni delle degenerazioni.
La sentenza della giustizia europea colpisce duramente sia Apple, imponendo la restituzione di aiuti ricevuti illecitamente dal governo irlandese per circa 13 miliardi di euro, e sia Google sanzionato per attività illegittima sul mercato pubblicitario che rappresenta circa 85% del suo fatturato.
Una doppietta, potremmo dire che segna un punto di non ritorno nella società digitale dove le istituzioni pubbliche riguadagnano il centro della scena, introducendo modalità e principi che aprono varchi consistenti per una negoziazione permanente da parte della società civile nei confronti dei giganti della Silicon Valley.
Persino negli Usa il governo federale, insieme a quello di molti singoli stati dell’Unione, sta mettendo sul banco degli accusati grandi corporation, come ancora Google o Amazon, per aver alterato le ragioni del mercato.
A questo punto non si può ignorare un aspetto che fino a ora abbiamo più o meno esorcizzato: la riformabilità del sistema digitale. Meglio ancora, una forma di continuo adattamento dei processi innovativi ai limiti e vincoli della società civile.
Questo ci porta a ragionare sulla struttura dell’intelligenza artificiale che non ci appare più come un’uniforme applicazione rigida da usare o rifiutare, quanto invece come una materia plastica da sagomare e riordinare. L’intelligenza artificiale non va mai citata al singolare ma sempre al plurale, sia per la molteplicità dei singoli prodotti, ma anche per le opportunità di adattamento e riformattazione.
A questo punto il quesito riguarda le modalità di intervento su una tale materia e soprattutto quali siano i soggetti in grado di mettere mano a questi adattamenti.
La petizione sul divieto dei social agli under 14 è un’utile occasione per aprire proprio questa discussione: dobbiamo continuare a procedere su una strada obbligata, in cui i sistemi digitali rimangono sempre e solo eguali a sé stessi, oppure è plausibile modificare ruoli e funzioni delle grandi agenzie sociali, dalla scuola alla famiglia per adeguare questi apparati tecnologici?
La deformazione, in alcuni casi si parla di vera degenerazione patologica, dei comportamenti e addirittura dello stesso funzionamento neurologico, riscontrata in varie tipologie di giovani per un uso sconsiderato dei social è il banco di prova di questi quesiti.
Davvero l’unico modo per preservare questi giovani è vietargli l’accesso a sistemi che ormai si identificano con i nostri linguaggi, diventando vere e proprie protesi della nostra vita, e in tal caso sarebbe utile anche capire con quali mezzi sorvegliare un tessuto cosi esteso e pulviscolare, o invece non si tratta di intervenire per punire e sanzionare eccessi e speculazioni, bonificando la rete e permettendo, con vincoli gestiti esternamente un uso consapevole ed equilibrato di questi vocabolari digitali? È evidente che la scorciatoia del proibizionismo afferma un principio e libera di molte responsabilità le infrastrutture sociali. Ma come nel campo terribile della droga abbiamo visto che si tratta di una metodologia controproducente e comunque fallimentare.
I social sono dannosi in una parte largamente minoritaria della rete, stiamo parlando di spazi inquinati e pericolosi valutati in non più del 2% dell’attività complessiva di Internet. La loro pericolosità sia per le forme di ingaggio e di aggressività, che per quelle di induzione a comportamenti minacciosi o estremi non sono un destino, ma una convenienza delle piattaforme.
Come gli stessi titolari di Facebook, o di X, o di Instagram hanno riconosciuto, direttamente o mediante rivelazioni di propri dipendenti, sono proprio i meccanismi gestiti dai programmatori dei proprietari ad accentuare ed eccitare queste forme di ingaggio. Così come sono gli stessi programmatori a facilitare relazioni e inciampi degli utenti più giovani con influencer o altre forme di malversazione psicologica.
Questo ci deve portare a sollecitare una maggiore vigilanza con forme di dure sanzioni per i trasgressori. Sono le piattaforme che devono cambiare la struttura dei loro comportamenti e linguaggi e non costringere i giovani a limitare le proprie relazioni. Se si possono perseguire le degenerazioni commerciali perché non si può bonificare il sottobosco rivolto ai giovani? Stati e istituzioni possono e debbono estendere il proprio controllo.
Dopodiché tocca ad altri soggetti intervenire. La scuola deve mutare da questo punto di vista le sue funzioni e attività, e diventare un sistema decentrato di controllo e bonifica della rete. Gli insegnanti di ogni ordini e grado devono poter, o direttamente o mediante professionisti di sostegno, avere sistemi che siano in grado di profilare i propri studenti, con una tutela progressiva della privacy inversamente proporzionali all’età dei giovani. Lo stesso dicasi della famiglia: come una volta i genitori erano un filtro per gli amici e i comportamenti devianti dei figli, oggi si deve praticare in famiglia una forma di mutua assistenza che possa orientare con leggerezza i giovanissimi che debuttano in rete.
Insomma non possiamo pensare che stia mutando la struttura genetica della nostra specie, come giustamente viene denunciato dagli esperti, e non prevedere che siano le grandi comunità sociali a ridisegnare i propri assetti organizzativi per rendere la cittadinanza digitale non un accidente ma una forma di sviluppo e potenziamento sociale.