L’ornitorinco, ovvero come l’architettura dell’informazione influenza la User Experience
I primi esemplari arrivarono imbalsamati dall’Australia. E molti credettero a un fake. Abili imbalsamatori cinesi avevano infatti la capacità di creare animali immaginari assemblando parti di animali diversi. Becco d’anatra, corpo di talpa, zampe palmate… c’è voluto quasi un secolo perché gli etologi si accordassero sulla collocazione da dare all’ornitorinco – sì stiamo parlando proprio di questo simpatico animale. Che sembra effettivamente un puzzle di altri animali. Scoperto in Australia sul finire del Settecento, l’ornitorinco ha rappresentato per più di ottant’anni un vero e proprio rompicapo per gli studiosi di mezzo mondo.
Oggetti ornitorinchidi
L’ornitorinco è una specie di mascotte per chi si occupa di organizzazione dell’informazione. Anche molti prodotti, servizi, documenti con cui abbiamo a che fare quotidianamente si comportano come l’ornitorinco, anche se il loro aspetto appare meno bizzarro. Difficile trovare una collocazione univoca che metta tutti d’accordo. Vuoi per l’intrinseca complessità dell’oggetto da classificare, vuoi per la molteplicità dei punti di vista da cui si può considerare l’oggetto stesso.
Come dire che l’ornitorinco è negli occhi di chi guarda. E così ciascuno tenderà a privilegiare un aspetto anziché un altro: chi vedrà più l’anatra chi più la talpa. Questo perché i nostri diversi bisogni e modelli mentali determinano modalità altrettanto diverse di ricercare l’informazione.
Quando usare cosa
Per questo non esistono classificazioni giuste o sbagliate, ma solo più o meno appropriate agli obiettivi, al contenuto, al pubblico. Sono questi che dovrebbero guidarci nella scelta del criterio di organizzazione. Tuttavia, anche in assenza di regole assolute, possiamo individuare alcune linee guida di massima.
Le tassonomie
Se c’è un bisogno prevalente (o pochi bisogni prevalenti), le tassonomie possono funzionare bene. Le tassonomie sono alberi gerarchici formati da classi che si ramificano progressivamente a partire da una classe principale. In questi sistemi, ogni oggetto ha una collocazione univoca, appartiene a una classe soltanto: ciò rende le tassonomie molto rigorose, ma anche molto rigide.
Esempi: ne sono un esempio la classificazione di Linneo usata in scienze naturali; la classificazione decimale Dewey adottata da gran parte delle biblioteche e degli OPAC europei; il file system del computer a cartelle e sottocartelle.
Le faccette
Se invece i bisogni o i modelli mentali da soddisfare sono molteplici, allora occorre guardare a sistemi di organizzazione a faccette. Le tassonomie considerano l’oggetto da classificare come un tutt’uno indivisibile, e come tale lo collocano all’interno di un’unica classe-contenitore. Viceversa, la classificazione a faccette scompone l’oggetto da classificare in molteplici proprietà, ciascuna delle quali riflette un aspetto/faccia dell’oggetto. In tal modo le chiavi di accesso all’informazione sono plurime, capaci di soddisfare altrettanti modelli mentali.
Esempi: Gran parte dei cataloghi e-commerce è strutturata a faccette, proprio per l’estrema versatilità di questo sistema.
Le poligerarchie e i sistemi misti
Tassonomie e faccette sono i due estremi di uno spettro che comprende altre forme di organizzazione. Come le poligerarchie o i sistemi misti. Le poligerarchie condividono le stesse caratteristiche delle tassonomie salvo che qui l’oggetto classificato può appartenere a più di una classe. Le poligerarchie correggono così l’eccessiva rigidità delle tassonomie assicurando anche maggiore elasticità.
Esempi: sono poligerarchici i primi livelli dei cataloghi Amazon, eBay, Yoox e molti altri. Ma i primi livelli soltanto. Perché la struttura di questi siti di e-commerce è mista: poligerarchica nei livelli superiori, a faccette in quelli inferiori (una volta che si è selezionata una categoria merceologica relativamente omogenea). Nel caso di cataloghi molto ampi, le tassonomie aiutano a fare una prima scrematura di massima, le faccette a raffinare la ricerca all’interno del comparto selezionato.
Organizzare l’informazione è stabilire una “visione del mondo”
Non esistono classificazioni giuste o sbagliate, ma soltanto più o meno aderenti a un certo scopo. Molti studi confermano che l’idea di una classificazione scientifica, definita come tale sulla base di una serie di regole a-priori è un’utopia. Viceversa ogni classificazione è sempre inevitabilmente una commistione di razionale ed empirico. Più che a una coerenza aprioristica essa risponde alla salienza: cioè alla capacità di essere funzionale allo scopo per cui è stata concepita.
Ne consegue che nessuna organizzazione dell’informazione è neutra. Organizzare in un certo modo uno spazio informativo significa dare forma a quello spazio, attribuirgli un’identità e un senso. Significa modellare l’esperienza di chi attraversa quello spazio. Così ogni architettura dell’informazione crea una visione del mondo, influenza la nostra percezione della realtà, e plasma inevitabilmente la nostra esperienza.