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Lovemarks ovvero passione e rispetto

Un capitale immateriale ma preziosissimo, che va al di la del marketing.
Il marketing, in questi ultimi anni assai burrascosi, ci racconta con sempre maggiore insistenza che i marchi sono a corto di energie. Una fascia crescente di persone nel mondo si aspetta grandi performance da prodotti e servizi, alla ricerca di esperienze che diventano emozioni, e sempre più spesso le brand impegnano le proprie forze per tentare di rispettare queste aspettative, al punto che ormai dire che le automobili partono al primo colpo, le patatine sono croccanti e i piatti brillano che di più non si può, è cosa assai scontata, e non fa più breccia nei cuori – e soprattutto nel portafogli – di quelli che una volta si definivano come “consumatori”.
Ma le “Lovemarks” trascendono i marchi, perchè le loro performance superano le aspettative. Come tutti i grandi marchi, godono dei più alti livelli di rispetto, ma le similitudini finiscono qui. Ce lo racconta una ricerca[1] di Saatchi & Saachi[2], datata ma sempre interessante, che riacquista straordinaria attualità in questo periodo di affermazione della CSR come dimensione strategica della vita d’impresa.
Le Lovemarks raggiungono il cuore – come la mente – creando una connessione intima ed emotiva senza la quale il consumatore non potrà più vivere. Può sembrare assurdo utilizzare termini così assoluti per degli oggetti, ma questa è la verità, specie per le nuove generazioni, che fanno dell’identificazione con il proprio marchio un vero e proprio problema identitario.
Elimina un marchio e le persone ne troveranno un altro con cui sostituirlo; elimina una Lovemark e la gente si lamenterà per la sua assenza. Le Lovemarks sono una relazione d’amore, non una mera operazione commerciale. Tu non acquisti semplicemente una Lovamarks, la abbracci appassionatamente. Ecco perché non la lascerai mai.
In un grafico ad assi cartesiani, Saatchi pone le caratteristiche dell’ “Amore” sul piano orizzontale, e del “Rispetto” sul piano verticale.
I Marchi, comunemente intesi, sono conosciuti e apprezzati, e ricevono quindi rispetto: saranno posizionati in alto, ma a sinistra, perchè non li “amiamo” veramente.
In fondo alla scala a sinistra troveremo i “Prodotti”: sono oggetti, consumi, cose “che servono”, e solo per questa ragione li acquistiamo. Ricevono poco amore e non sembrano meritare più di tanto “rispetto”.
Al loro fianco, sempre in basso, ma a destra, le “mode”: ricevono molto amore, sono infatuazioni di un momento o di una stagione, follie collettive, per qualche mese non ne possiamo fare a meno, ma… sono in basso rispetto all’asse del “rispetto”, e fra tre mesi ci dimenticheremo di loro, saremo passati oltre.
Il riquadro in altro a destra, infine, caratterizzato da molto amore e un alto grado di rispetto, è proprio quello delle Lovemark, le relazioni di lungo termine che un individuo stringe con le proprie brand del cuore, nei quali si riconosce e dalle quali probabilmente non si separerà mai.
Il grande amore per una Lovemark  è infuso attraverso tre intangibili  – ma allo stesso tempo reali  concreti – ingredienti: mistero, sensualità e intimità.
Il mistero porta con se storie, metafore, sogni e simboli. È il punto in cui presente, passato e futuro diventano uno, e aggiunge qualcosa alla complessità di relazioni ed esperienze, perché le persone sono sistematicamente attratte da ciò che non conoscono del tutto.
La sensualità mantiene i cinque sensi in constante allerta per nuovi gusti, intriganti profumi e sapori, musica meravigliosa. Vista, udito, odorato, tatto, gusto: i nostri sensi lavorano insieme per informarci, sollevarci e trasportarci verso nuove esperienze. Quando i sensi sono stimolati contemporaneamente, i risultati sono indimenticabili, ed è proprio attraverso di essi che creiamo e immagazziniamo i nostri ricordi. Gli esempi sono infiniti, ma se come me siete amanti di tutto ciò che è marchiato con una mela[3], penso condividerete quella piccola carica di emozioni che accompagna l’apertura della confezione del nuovo I-Pad: una promessa mantenuta ancora prima di accendere il device!
Intimità – infine – significa empatia, legame e passione. Legami stretti che ottengono intensa lealtà e piccoli gesti perfetti: sono loro ad essere spesso ricordati molto dopo che i compiti e i benefici dei prodotti acquistati sono svaniti. Senza intimità, le persone non possono avere la sensazione di “possedere” un marchio, e senza questa convinzione da parte dell’utente un marchio non può diventare una Lovemark.
Saatchi & Saatchi, che ha creato il termine Lovemark, lo accompagna con una serie di dati statistici molto interessanti, ottenuti intervistando diversi focus groups di pubblici potenziali. Il 61% degli intervistati ama interagire con la propria Lovemark attraverso una community, e senza necessità di aspettare il Web 2.0: da quando esistono Vespa o Harley-Davidson, in tutti e cinque i continenti si organizzano affollatissimi raduni di amanti di questi mezzi, ed è solo un esempio tra i tanti possibili.
Come accennavo prima, le Lovemarks sono un veicolo per riaffermare e distinguere la propria individualità e la propria identità da quella di altri, e per incontrare quindi altre persone che condividono gli stessi valori. Come si spiegano altrimenti i ragazzi che – con il tam-tam sui social network – si ritrovano in occasione delle inaugurazioni di un nuovo Apple Store, campeggiando davanti al negozio per almeno 36 ore? A tal proposito sarebbe interessante andare al di là della definizione di Lovemark e dall’analisi delle “community di marca”, e cercare di comprendere come le diverse community s’incrociano tra di esse, al fine di definire le categorie di “innamorati” potenziali: chi compra Apple consuma anche Martini? Chi fuma Davidoff viaggia in Mercedes? Chi beve Lavazza compra anche Barilla? Nuovi orizzonti si aprono per un co-branding ragionato ed elevato a dimensione strategica.
Tornando alla ricerca, il campione esaminato dalla ricerca ha affermato nella metà dei casi di apprezzare di più le persone che scelgono le stesse proprie stesse Lovemarks; nove intervistati su dieci riferiscono che la propria Lovemark si adatta “al modo in cui sognano se stessi”, e due intervistati su tre definiscono la Lovemark come “qualcosa che difenderei”.
E non è una questione di prezzo: è rilevante solo per un intervistato su dieci, e – dato molto interessante – solo l’8% del campione coinvolto vede nella “competitività economica” la chiave di successo di un’azienda. Come dire: sono disposto a pagare di più per avere ciò che amo.
Il rapporto con la Lovemark, poi, è globale, totalizzante, e dell’azienda in questione si analizzano diversi aspetti, al di la delle caratteristiche del prodotto, visto che due intervistati su tre sono a conoscenza degli impegni nel campo della responsabilità sociale d’impresa della propria Lovemark di riferimento.
Lovemark significa quindi amore e rispetto – reciproci – percepiti dal cliente e ricambiati dalla brand. Se l’amore in una relazione commerciale era cosa nota, nel marketing questa del “rispetto” sembra essere un’incognita in più nell’equazione che regola una scelta di acquisto.
Oggi in particolare gli acquirenti nella fascia 15/30 anni chiedono rispetto: “ti do i miei soldi – sembrano dire i Clienti – ma tu dammi sincerità, trasparenza… dimostrami di meritare altrettanto rispetto da parte mia”.
Ecco perchè, come amo spesso ripetere, il greenwashing è devastante per un’azienda. Nell’era del web 2.0, in un mondo in cui una menzogna – qualsiasi menzogna – viene puntualmente e sempre più in fretta svelata da un blogger, rilanciata sui social network, e punita nelle corsie del supermercato, fare greenwashing significa fare finta CSR, prendere in giro i clienti, disseminare di bugie quelle “conversazioni” che sono divenuti i mercati. Greenwashing[4]: inscenare una pallida imitazione delle pratiche di CSR, e inserire preoccupazioni etiche nella vita d’impresa solo perchè è “cool”, di moda, senza crederci veramente. Abbracciare dei valori senza condividerli, e quindi senza rispettarli realmente. Punizione: crollo del rispetto e quindi crollo della brand-reputation, con serio pregiudizio alle vendite.
Citiamo ancora Kevin Roberts[5], che nel suo saggio ricorda: “i consumatori vogliono fidarsi di voi. Vogliono che rimaniate fedeli agli ideali e alle aspirazioni che condividete con loro. Attenetevi a ciò che predicate. Non traditeli.”
Paghiamo un biglietto per andare a teatro ad assistere a una rappresentazione, e sappiamo di avere di fronte degli attori che recitano, e godiamo dello spettacolo. Ma quando un grande attore “entra” veramente nella parte, e “vive” il personaggio, non è più una recita: è una magia. Quello spettacolo sarà memorabile, e quell’attore resterà nel nostro cuore, meritando appunto – oltre al prezzo del biglietto – il nostro rispetto.
Un capitale immateriale ma preziosissimo, che va ben al di la del marketing, da custodire con cura e capitalizzare, in poche parole la vera anima di un’azienda.
[1] “Lovemarks. Il futuro oltre i brands” – di Kevin Roberts (AD Worldwide Saatchi & Saatchi) – trad. G. Russo – Mondadori, 2005
[2] una tra le più importanti agenzie pubblicitarie al mondo, fondata a Londra nel 1970 dai fratelli Charles e Maurice Saatchi
[3] La mela rosicchiata, il simbolo della Apple, la casa di produzione Cupertino (Mac, iPod, iPhone, iPad, etc.)
[4] si veda anche il mio articolo “L’irresistibile tentazione del Greenwashing”, pubblicato su Ferpi News il 27/01/2010 http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/internazionale/lirresistibile-tentazione-del-green-washing/notizia_rp/40672/7
[5] CEO della Saatchi & Saatchi, autore, op. cit.