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Politici in internet

I tempi del Web 0.0 della politica italiana

Con le scuse ai più moderati per la tensione che traspare da questo articolo, ma l’irritazione è tanta, dopo che il governo Berlusconi – controtendenza rispetto agli esecutivi di tutto il resto del mondo, tranne i paesi a regime totalitarista come la l’Iran, Cina, la Corea, Cuba e la Birmania – ha dichiarato di preparare una nuova stretta su internet: tra emendamenti inseriti nel pacchetto sicurezza, articoli del Disegno di Legge sulle intercettazioni telefoniche e clausole restrittive contro il Wi-Fi ed il livestreaming, sono già sette i tentativi di questo Governo – per fortuna non andati a buon fine – di censurare o bloccare la Rete.
Tradizionalmente, si cerca di controllare ossessivamente ciò che non si conosce, e questa storia ne è l’esatta conferma, come potremo apprezzare da questa breve carrellata tratta dall’articolo “Giù le mani da internet” recentemente pubblicato da Alessandro Gilioli, la cui morale in sintesi è: il web contiene già al proprio interno tutti gli anticorpi necessari per garantire l’intervento contro siti o blog offensivi, fuori legge, di istigazione alla pedofilia, etc, e per vigilare con fermezza ed attenzione bastano le norme ordinarie ed i poteri già conferiti all’eccellente staff tecnico-informatico della Polizia Postale, senza bisogno di restrizioni che non farebbero che rallentare la Rete, soffocandola e relegando l’Italia a paese di serie B – oltre quanto già è adesso – sul tema della libera circolazione delle informazioni. Chiaro che per manipolare qualcosa – in senso costruttivo –ed utilizzarne con profitto gli anticorpi già presenti, bisognerebbe appunto conoscerla: è l’ignoranza che spaventa e porta ad innalzare barriere difensive.
Ecco alcune chicche, raccolte a seguito della recente deprecabile aggressione al Premier in Piazza Duomo a Milano…
“Facebook è più pericoloso dei gruppi eversivi degli anni ‘70” (Renato Schifani, Presidente del Senato)
“Facebook andrebbe chiuso, è un luogo di paranoia e violenza” (Emilio Fede, iscritto all’Ordine dei Giornalisti, dipendente/collaboratore delle reti Mediaset e portavoce delle istanze del Popolo della Libertà)
“L’aggressore del Presidente Berlusconi è vicino ad ambienti del social network” (Bruno Vespa, iscritto all’Ordine dei Giornalisti, dipendente/collaboratore RAI e intrattenitore televisivo)
“Ormai i social network sono armi in mano a pochi delinquenti che sfruttando l’anonimato incitano alla violenza, all’odio sociale ed alla sovversione” (Gabriella Carlucci, ex show-girl televisiva delle reti Mediaset ed oggi Parlamentare del Popolo della Libertà)
“Internet è un’abaradan, un luogo di confusione e di disordine” (Pierluigi Bersani, Segretario del Partito Democratico)
Cosa possa mai significare “vicino ad ambienti del social network” resta un mistero, come anche l’identità dei “pochi delinquenti” (20 milioni di italiani, sic!) che controllano – proteggendosi dietro l’anonimato – i social network nel nostro paese. Inutile ricordare a questa galassia di ignoranti che il “mondo del social network” è talmente variegato da non essere “mappabile”, andando dall’adolescente tredicenne su Netlog all’universitario su Facebook all’anziana signora informatizzata che dal suo blog dispensa golose ricette di cucina. Ne sarebbe utile far riflettere questi personaggi circa il fatto che se due amici si trovano al bar per discutere di un attentato, la strategia dovrebbe essere quella che prevede di arrestare i due amici, non di chiudere tutti i bar per evitare che la gente possa ritrovarsi a parlare. La libertà comporta sempre dei rischi: permettere ai cittadini di circolare liberamente di notte senza controllo darò modo a qualche fanatico squilibrato di scrivere a caratteri cubitali sui muri frasi pedo-pornografiche, offensive, diffamanti e volgari. La soluzione però è garantire a Polizia e Magistratura strumenti efficaci per dare la caccia al pazzo, non abbattere tutti i muri della città. La “guerra al contenitore” è un vecchio vizio fascista e comunista: rassicura la coscienza del borghese medio sapere che la gente malintenzionata non ha più – apparentemente – un luogo dove ritrovarsi a tramare, fatto salvo specificare che oscurati tutti i siti internet sospetti in Italia nulla impedirà a chi lo desidera di attivare un dominio all’estero per il proprio “blog sovversivo”, e – premesso che i filtri automatici sul web sono inefficaci su larga scala ed hanno dimostrato tutti i propri limiti – lo scenario cinese, che prevede oltre 40.000 esperti impegnati giorno e notte a setacciare il web, per tappare falle che continuamente poi si riaprono, lo vedo davvero impraticabile in Italia, foss’anche solo per questioni di costo. Questo non dev’essere certo un alibi per non fare nulla, ma fare stupidate è certamente peggio che non fare nulla, e lezioni su come rendere più civile la blogsfera potremo accettarle da chi almeno un minimo la blogsfera la conosce…
L’ignoranza informatica della nostra classe politica è superiore a quella della classe politica di alcuni paesi sud- Americani: pochi Parlamentari hanno un propria casella e-mail, ancor meno quelli che usano quotidianamente la casella e-mail fornita d’ufficio dalla Camera e dal Senato, normalmente presidiata dal segretario part-time di turno o dallo stagista sottopagato. Antonio Di Pietro, che una cima certamente non è, si è limitato semplicemente a copiare l’esistente: se Beppe Grillo ha un blog, e se quel blog è il 10° al mondo per accessi (nonostante sia in lingua italiana, pressochè sconosciuta sul web), anch’io voglio un blog. Risultato: il blog di Di Pietro è la vetrina informatica più frequentata sul web politico nazionale. Sempre L’Italia dei Valori fu la prima ad aprire un proprio spazio su Second Life – piattaforma virtuale surclassata poi dai nuovi social network – dimostrando così una notevole propensione all’innovazione sotto il profilo informatico. Il PD, nonostante le dichiarazioni confuse al riguardo del proprio neo-eletto segretario nazionale, è ben presente su internet – ed infatti ha catturato l’attenzione di nuove fasce di giovani elettori, riportandoli al voto – mentre la PdL latita pesantemente, se non altro come strategia generale di partito: le uniche iniziative sulla Rete degne di nota nel centro-destra si devono a singoli giovani del movimento, che tentano di governare la propria area di web senza esserne intimoriti. Ciò non deve stupire, ricorda con grande lucidità il collega Gilioli, se riflettiamo sulle origini dell’impero Berlusconi: un medium di massa ma unidirezionale, verticale e chiuso, con contenuti preconfezionati e mai condivisibili ed interagibili, esattamente l’opposto del web, che è anch’esso un medium di massa ma aperto, orizzontale e pluridirezionale, sempre condivisibile e “contaminabile” con propri contenuti, anzi, frutto della sommatoria di contenuti terzi fusi assieme a creare nuova conoscenza.
E – si sa – le origini sono radici, tradizione e cultura: il passato inevitabilmente tende a condizionare il nostro futuro, lasciando così mano libera alla sensibilità di sinistra, alla quale si riferiscono i più frequentati blog e siti del web nostrano: il già citato blog di Beppe Grillo, L’Antefatto, Giornalettismo, e molti altri ancora.
E mai possibile che l’Italia sia uno dei pochi paesi del mondo occidentale nel quale stentano moltissimo a decollare autostrade superveloci per la Rete, nel quale il Wi-fi è raro e quando esiste è a pagamento, contrariamente a quanto accade ovunque nel mondo occidentale, nel quale non esiste un piano nazionale per la banda larga, e dove la tensione ideale della classe politica in tema di libertà d’informazione è indirizzata verso il “fermare” invece che verso il “facilitare”?
Come per l’Iran e gli altri paesi citati all’inizio di questo articolo, internet forse fa paura, perché la verità rende liberi ed internet a differenza della televisione – con tutte le pecche che ha il web – è un luogo di libertà, dove la verità prima o poi emerge sempre.
A noi, invece, iniziano a far paura loro: i nostri politici, con il loro bagaglio pesante di non-conoscenza, la loro fatua saccenza, ed il loro desiderio di controllo che rischia di trascinare l’intero paese dritto verso un “internet 0.0”