Seth Godin: «Gli influencer sono il passato, caduti nella trappola dei social»
«Il futuro degli influencer appartiene già al passato. Perché nella maggior parte dei casi coloro che vengono definiti influencer non lo sono affatto. Piuttosto sono hacker egoriferiti legati alle pubbliche relazioni, e per giunta spesso scarsamente remunerati. D’altronde raccontarsi sui social media è una corsa che non porta alcun vantaggio, perché nel lungo periodo non genera né attenzione e né fiducia. Nella stragrande maggioranza dei casi i social sono una trappola. Certamente ci forniscono un microfono, ma sta poi soltanto a noi decidere come utilizzarlo al meglio». Così sentenzia senza mezzi termini il guru del marketing contemporaneo Seth Godin. Il suo j’accuse non lascia spazio ad equivoci: messe al bando le degenerazioni social, ciò che resta è l’esperienza autentica del cliente, un mosaico di aspettative racchiuse nei suoi bisogni spesso disattesi e nel suo vissuto da ascoltare. Un percorso da intraprendere giorno per giorno, con costanza e senza sconti. Godin lo racconta nel suo nuovo libro “La Pratica”, edito per l’Italia da Roi Edizioni e in uscita da mercoledì 17 febbraio.
In questa intervista, rilasciata in esclusiva per l’Italia al Sole 24 Ore, Godin si schiera per la creatività, a patto che sia fatta di studio meticoloso, di preparazione costante, di pratica. «La creatività non ha niente a che fare con doti innate o spontanee, ma è un’abilità che tutti possono sviluppare nel lavoro. A condizione però che la si attui giorno dopo giorno. La pratica è a portata di mano soltanto se siamo disposti a impegnarci. E aprirà la porta al cambiamento e al successo. Perché diventiamo ciò che facciamo», afferma Godin, autore di diciannove best seller internazionali tradotti in 35 lingue e che hanno cambiato radicalmente il modo di pensare e fare il marketing. Il suo blog è il più seguito al mondo con oltre un milione di lettori quotidiani. Quindi giù dalla torre quelle scelte acchiappalike per le quali ci siamo assuefatti e spazio ad una visione nel tempo. Un ritorno alla concretezza, oltre i patinati effetti speciali degli stream.
«Oggi l’accesso per tutti a un microfono è un dato di fatto, la differenza la fanno però quelle persone che decidono di apportare cambiamenti reali nel mondo, lavorando generosamente e senza distrazioni. Ecco perché il vero creativo è il leader che crea la soluzione del problema. La creatività è una scelta ed è un’abilità, non un talento. È un’opportunità per migliorare l’arte dell’invenzione. È il lavoro di ascolto, di comprensione del cliente e del mercato. Questa visione affonda le radici nella tradizione italiana: la si coglie in Leonardo, in Michelangelo, in Dante. Quello che impariamo da queste figure è che essere pionieri e affrontare le difficoltà è il segreto per una leadership efficace», precisa Godin.
In questo tempo fragile dettato dalla pandemia il leader dove scova le soluzioni?
Intanto partiamo dal presupposto che i leader sono esploratori: scoprono volontariamente cosa c’è dopo. E non è una scelta facile, perché i leader spesso si sbagliano e hanno molte priorità con cui destreggiarsi. L’obiettivo non è adattarsi al contesto, bensì fare la differenza. Quindi essere controcorrente.
La creatività è una soluzione nella gestione della complessità?
I sistemi complessi non possono essere gestiti facilmente. Devono essere compresi. Troppe persone hanno paura di agire. Ma sta a noi cambiare i sistemi, e non viceversa.
Il marketing come dovrebbe affrontare questo tempo difficile?
Il marketing è ciò che facciamo ogni giorno, la storia che raccontiamo, le persone che serviamo. Non dovremmo perdere tempo a parlare e dovremmo impegnarci ad ascoltare, mostrandoci con empatia. Solo così si potrà generare il vero cambiamento.
Parla di empatia, ma con quale tono di voce oggi è meglio relazionarsi con i clienti?
Cercare di decodificare il tono di voce che i nostri clienti si aspettano è una sfida inutile. Perché quei clienti che ci danno attenzione e fiducia vorrebbero essere guidati, abbracciando i nostri valori. Nessuno vuole essere imbrogliato. La creatività permette di presentarsi ai clienti con una visione, un punto di vista associato ad un’azione.
A proposito di azione, uno dei concetti più sdoganati degli ultimi mesi è quel brand activism inteso come attivismo della marca: è un trend a cui crede?
Per me l’unico trend da seguire è quello di essere umani nella relazione e gestione del cliente. Quando facciamo un lavoro di cui siamo orgogliosi abbiamo una bussola che ci orienta. In fondo nell’eccellenza possiamo leggere in filigrana la storia di ogni grande azienda italiana. D’altronde il cliente non sceglie un brand perché è il più economico, ma perché si prende cura di lui, lavora indefessamente per lui, lo difende e per farlo ci mette la faccia.
Nel libro si oppone strenuamente alla manipolazione e alla persuasione e auspica che si possa scommettere sulla generosità: ma questo ragionamento come si concretizza nelle strategie di vendita?
Pensiamo soltanto ai marchi che ci interessano, agli articoli per i quali faremmo di tutto, alle proposte per le quali pagheremmo anche un extra: l’elemento che accomuna tutte queste situazioni è che riguardano aziende che non sono moleste nei nostri confronti. Ossia aziende che non infastidiscono. Oggi non c’è più spazio per gli squali.
Restiamo sulla generosità, alla quale dedica un intero capitolo: in che modo la creatività è un generoso atto di leadership?
Intanto la leadership è volontaria. È volontario guidare ed è volontario seguire. I manager usano l’autorità per imporsi, ma la leadership implica l’azione responsabile. Per troppo tempo siamo stati offuscati dalla vera natura del concetto di leadership. Non si tratta affatto di autorità. È piuttosto il coraggioso lavoro di inventare il futuro. I leader dipingono un quadro del domani e ci incoraggiano ad andare lì con loro. Che è ciò che sta facendo chiunque generi un cambiamento attraverso il proprio lavoro creativo.
Per i leader cosa è cambiato con l’emergenza della pandemia?
Nello scorso anno molti amministratori delegati si sono nascosti dietro maschere. Ma altri hanno deciso che era il momento migliore per incontrare in modo autentico la propria gente e per individuare nuove strade da percorrere insieme.
In Italia l’ultima intervista che ha rilasciato due anni fa sempre al Sole 24 Ore ha fatto scalpore perché ha dichiarato senza troppi giri di parole che “bisogna scendere dalla giostra dei social che va sempre più veloce e non porta da nessuna parte”. La pensa ancora così?
Ne sono ancora più convinto. Però stiamo vedendo sempre meno aziende che cercano di fare acrobazie social o che generano rumore di fondo. Aumentano invece quelle realtà che comprendono come l’ascolto faccia la differenza. Ed è una bellissima notizia.