Una convenzione internazionale per bonificare la rete
Richard Avedon, uno dei grandi della fotografia del ‘900, diceva che ogni istantanea è solo un’opinione, sottraendo allo scatto fotografico l’aura della prova incontestabile. Oggi possiamo dire che ogni riproduzione, video o fotografica, è solo una tecnica, a volte persino vera.
Siamo ormai nell’epoca della manipolabilità di ogni rappresentazione, direbbe Walter Benjamin. Un tempo in cui le istituzioni, ma forse sarebbe più preciso dire lo spazio pubblico, deve intervenire imponendo un codice e una modalità di comportamento che riduca la discrezionalità dei proprietari e aumenti le garanzie per gli utenti.
Una grande agenzia fotografica, che serve decine di migliaia di clienti, individuali o professionali, che possono attingere a un archivio con circa 740 milioni di istantanee, ha annunciato che ha avviato una linea di produzione di immagini con l’intelligenza artificiale. Una scelta che, proprio per la reputazione e il peso sul mercato dell’azienda, inevitabilmente renderà sempre più inestricabile reale e artificiale.
Si creeranno fenomeni di vero meticciato di immagini che con l’accelerare dei flussi di produzione e di domanda dei clienti, le due tipologie di documenti – quelli reali, prodotti professionalmente sul campo da un professionista, e quelli artificiali, che emergono dopo un dialogo con i sistemi di intelligenza artificiale – si mischieranno, ibridando irrimediabilmente la realtà.
Al World summit sull’intelligenza artificiale di Amsterdam, Lùì Amyth, responsabile della sezione di intelligenza artificiale generativa dell’agenzia Shutterstock, una delle più accreditate sul mercato globale, ha spiegato come il fenomeno stia oggi crescendo.
Shutterstock ha spiegato come si è trovato, quasi inconsapevolmente, sperimentando le diverse estensioni dei dispositivi intelligenti, a produrre immagini virtuali, che prima erano solo complementari di quelle reali, e che poi hanno cominciato a generarsi in maniera del tutto autonoma, sulla base di pochi input testuali.
Ora il primo problema che si è posto a un’agenzia commerciale riguarda proprio la gestione di questi file: quale tipo di copyright può disciplinare l’uso di questi documenti? E, secondo tema non certo minimmale, chi sono i titolari di questi artefatti? L’azienda che promuove la produzione? Il singolo intraprendente operatore? O ancora: qual è l’atto che determina il titolo di proprietà? L’iscrizione al dispositivo, o l’ideazione dei prompt? O ancora la finalizzazione dell’elaborato in un ciclo di produzione?
In questo ragionamento ci sono i primi elementi che intaccano il concetto di proprietà esclusiva, aprendolo a nuove figure e funzioni, come sono appunto gli architetti dei prompt, ossia le costruzione di domande articolate all’intelligenza artificiale per ricavare il risultato più efficace.
Sono tutti temi che, evolvendo insieme alla dinamica tecnologica, sono destinati a mutare radicalmente proprio i concetti di creatività, proprietà, e originalità. Ma la matrice di questi problemi è ancora un nodo più rilevante su cui è indispensabile che le istituzioni prendano posizione.
Un’agenzia come quella che abbiamo citato, ma anche una redazione, o una biblioteca, o un museo, si troveranno, spinti dalle sollecitazioni del mercato, o dalle necessità competitive, a elaborare sempre nuove suggestioni visive, di cui le immagini sono vettore. Via via che queste suggestioni si combineranno con fotografie reali o saranno inserite in flussi tradizionali, modificheranno la percezione sociale della documentazione fotografica, e, di conseguenza, l’idea di attendibilità del documento.
Siamo ormai sul crinale in cui le reti parallele di reale e virtuale si intrecciano.
È successo con la scrittura, dove la descrizione è diventata immediatamente immaginazione, è accaduto con tutte le forme di arte che dal realismo sono passate all’astrattismo, o alla riproduzione fantastica.
Persino i media freddi, come diceva MC Luhan, cioè quei sistemi di comunicazione che rendevano modificabili i contenuti mediante un’interazione con un utente, sia esso interlocutore di una telefonata, o ascoltatore di una radio, hanno trovato il modo di alterare la realtà con un uso fantasioso del mezzo, come per esempio la leggendaria cronaca dei marziani che atterravano negli Usa di Orson Welles nel 1938 rimane un capostipite.
E poi l’intero mondo della produzione di immagini, dalla fotografia appunto, al cinema e alla TV, sono diventati laboratori di effetti speciali, in cui il confine fra realtà e manipolazione tecnologica è diventato assolutamente indistinguibile.
Ma tutto questo fino a ora rimaneva delimitato da precisi perimetri di credibilità, con poche eccezioni, ogni alterazione della documentazione del reale era comunque riconoscibile o, in ogni caso, talmente distante da un uso diretto da parte del pubblico che ne isolavano l’eventuale effetto di mistificazione.
Rimanevano solo i contenuti, i concetti, a essere manipolati e condivisi direttamente con gli utenti, trasformando i reso conti giornalistici o la narrazione letteraria, da cronaca o letteratura in propaganda.
Ora invece ogni argine viene travolto, e persino l’ambito più attendibile e riconosciuto, come sono le immagini, le prove regine in un contesto giudiziario, o in un’inchiesta giornalistica, sono oggi semplicemente una proposta.
Ognuno di noi da tempo incontra contenuti realizzati da agenti artificiali, che ci assediano e allagano, diventando inevitabilmente più performanti nel processo di costituzione delle nostre opinioni. Ora questi contenuti, che al momento erano solo testi, pensiamo a Cambridge Analytica, saranno corredati da immagini, foto o video, del tutto artefatte, costruite a tavolino, dove un massacro diventa una scampagnata e viceversa, dove un personaggio potrà dichiarare cose che sono esattamente agli antipodi di quello che sostiene veramente. Tutto questo in un ambiente segnato dal real time, dove i tempi di verifica sono coincidenti con quelli di lettura o ascolto.
In questo scenario diventa indispensabile, urgente, tanto più in un tale clima bellico, che le istituzioni impongano un codice di garanzia, che renda tutti i file prodotti da un sistema non umano immediatamente riconoscibile. Non solo un bollino rosso, ma la tipologia delle immagini e la struttura del file deve essere immediatamente distinguibile da quanto prodotto da un umano.
È una battaglie dei giornalisti, dei giuristi, dei pubblici amministratori, dei medici e degli scienziati. Un patto professionale e culturale che denunci ogni inquinamento visivo e bonifichi una straordinaria opportunità di diffusione dei saperi quale è la rete.