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Vent’anni di Facebook, una rivoluzione dell’io senza rivoluzionari

Vent'anni di Facebook, una rivoluzione dell’io senza rivoluzionari

Vent’anni fa, esattamente il 4 febbraio del 2004, Facebook irrompeva nella nostra vita.

La storia di quell’evento ci è stata raccontata mille volte, la sua evoluzione da catalogo di belle scolastiche a sistema relazionale del mondo. Oggi siamo in un picco di riprovazione sociale per l’intero sistema dei social. Ogni giorno ci si esercita in un tiro al bersaglio al grido del male assoluto. In questi due decenni, che nella nuova dimensione temporale che ci ha imposto la rete sembrano più o meno di avere la durata di un secolo, almeno 5 generazioni sono cresciute nella certezza che ogni individuo del pianeta sia raggiungibile con un click.

Le sei persone che separano ognuno di noi da tutti gli altri si sono vertiginosamente ridotte a due: chi ci cerca e chi viene trovato. Il mondo è sicuramente più corto, ma soprattutto è affiorata una nuova soggettività, quell’irrefrenabile io che si manifesta sui social frantumando ogni primato o gerarchia dei mediatori.

Insieme al ventennale della creatura di Mark Zuckerberg celebriamo in questi giorni anche i 15 anni del magico bottone I Like, che apparve il 9 febbraio 2009 nella bacheca di Facebook. Un’altra tappa di quella rivoluzione dell’Io avrebbe detto Fichte, il filosofo che poco più di due secoli fa forse anticipò con più nitidezza il processo mentale che oggi vediamo dispiegarsi nella rete.

Nell’interpretazione di un altro grande filosofo scomparso non da molto, Aldo Masullo, Fichte ha focalizzato quella relazione basata sul protagonismo di due individui che si riconoscono l’uno nell’altro come forza motrice. Ci spiega Masullo nel saggio “La Comunità come fondamento” (Libreria Scientifica Editrice), infatti, che Fichte afferma che “l’iità non potrebbe individualizzarsi nella forma della prima persona, diventare io, se non si individualizzasse nella seconda persona: non può nascere un io là dove non sia nato un tu”.

In questa dinamica che estrae gli individui dalle masse, dando a loro il primato nella costituzione delle identità collettive, Fichte aggiunge una forza, diciamo oggi un potere, che promuove e organizza questi incontri fra gli infiniti io con gli infiniti tu ed è, ci dice sempre Masullo, l’Aufforderung, ossia l’invito, una spinta esterna che attrae l’individuo verso la libertà.

Una visione che oggi ci appare forse come la più lucida e profonda razionalizzazione di quel magico meccanismo che ha visto in così poco tempo diffondere per l’intero pianeta questa spinta irrefrenabile alla relazione in rete mediante un sistema di contatto e conversazione. Gli aspetti degenerativi di  questo ancora acerbo esercizio di discrezionalità per cui ogni io afferma sé stesso scegliendosi un tu con cui dialogare, sono fin troppo noti ed evidenti. Ma sono anche una frazione infinitesimale della massa quotidiana di quei contatti che danno senso a milioni di vite. Le cosidette bolle d’odio, gli sciami violenti che si abbattono su bersagli momentanei, sono tuoni locali in un universo infinito in cui gran parte dell’umanità, almeno 4 miliardi stabilmente si calcola, appoggia la propria esistenza a un sostegno che trova nelle relazioni che si tessono in rete.

I numeri di questo fenomeno ci impongono di non limitarci nell’analisi alla constatazione degli effetti perversi che questa opportunità di protagonismo innesta in ambiti comunque limitati.

Non possiamo non cogliere che l’avvento con Facebook dei social coincide con il ridisegno di processi sia geopolitici, con un appiattimento del mondo come direbbe il politologo americano Thomas Friedman, in cui ogni equilibrio va rimediato con una platea di interlocutori più vasta, fino ad arrivare anche a forme di ingovernabilità, come i conflitti in corso ci testimoniano, che non possono però farci rimpiangere l’equilibrtio di un mondo sottoposto al dominio di due sole super potenze. Dall’altro, non possiamo non registrate quel fenomeno universale di corrosione e contestazione delle élite di comando che vede a tutte le latitudini del pianeta traballare i governi e precarizzarsi le istituzioni. Un fenomeno che ha del tutto sorpreso e scavalcato le forze della sinistra che nella nuova dinamica fra io e tu non ritrovano la propria dimestichezza nel padroneggiare la precedente società di massa. Mentre le destre si ritrovano più istintivamente ad adattare le forme plebiscitarie che il cosidetto capitalismo della sorveglianza, come dice Shoshanna Zuboff, in inediti regimi autocratici. 

Ma è l’assenza di un attrito sociale che possa contrastare una deriva autoritaria nell’uso della relazioni digitali la causa di questo squilibrio. Nessuna tecnologia è mai stata buona di per sé e certo non lo poteva essere la rete, è il conflitto sociale il soggetto in grado di negoziare l’invito al protagonismo, di cui parlava Fichte con la tentazione peronista che è insita in ogni forma di controllo dall’alto. Così è stato per il fordismo industriale e così ancora oggi non è per il nuovo modello di produzione sociale basato sulla connessione fra l’io e il tu.

Ma Hic Rudus Hic Salta, da qui bisogna passare per civilizzare questo mondo che non potrà mai tornare alle gerarchie del ‘900. L’accesso all’intelligenza artificiale ci dice che i 20 anni di facebook stanno chiudendo una fase, che gli storici definiranno di alfabetizzazione digitale. Siamo già in vista di un nuovo tornante che ci conduce a un nuovo intraprendente io dotato di protesi di raccolta ed elaborazione di dati fino a oggi riservate solo ai grandi apparati statali. Un nuovo guazzabuglio si disegnerà dove comunque si dovrà capire come attivare nell’affollamento di miliardi di io, forme cooperative e collaborative che possano neutralizzare gli istinti predatori che una rete senza conflitto socviale irrimediabilmente evoca.

Ma come ci capitò 20 anni fa quando un impertinente e furbo ragazzetto aprì il vaso di pandora di facebook, dobbiamo avere sempre la certezza, come diceva Henry-Louis Bresson che “il caos rimane un equilibrio che non abbiamo ancora decifrato“.