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Da employer branding a employer reputation

Perché -oggi più che mai- la reputazione è una leva determinante anche per le “Human Resources” delle Aziende


Reputation Institute ha battezzato il 2019 come “Reputation Judgement Year” per enfatizzare l’urgenza imposta alle aziende di incontrare le crescenti aspettative degli stakeholder in uno scenario che sta cambiando e che impone una rinnovata centralità di un racconto “Corporate”.
Globalizzazione e media digitali hanno drammaticamente accelerato la domanda di partecipazione degli stakeholder non solo rispetto alle grandi questioni sociali ma anche nelle relazioni con le aziende: la reputazione delle imprese, oggi, è continuamente sottoposta al giudizio dei suoi pubblici grazie alle straordinarie possibilità di accesso alle informazioni. Questo oggi non vale solo nelle scelte di acquisto dei consumatori (dove il prodotto/servizio è sempre meno importante di “chi c’è dietro” quel prodotto/servizio), ma anche nella scelta dell’azienda in cui lavorare: oggi la reputazione è uno delle leve di talent attraction & retention. Ed è un giudizio che va oltre il tradizionale concetto di “datore di lavoro” e si arricchisce di nuove e crescenti aspettative legate soprattutto a credibilità e leadership dell’impresa anche al di fuori del contesto aziendale interno.
La Comunità HR oggi si trova, quindi, costretta ad aggiornare strategie e leve per vincere le due sfide principali che la Reputation Economy impone con forza: (1) trasformare i dipendenti in ambasciatori della reputazione verso l’esterno dell’azienda; (2) attrarre (e trattenere) i talenti migliori, soprattutto in un mercato alla ricerca di nuove competenze, dove la crescente competizione per i talenti tra “agili” start up e “grandi” aziende, annulla,  di fatto, ogni differenza dimensionale e di capacità di investimenti.
In questo contesto, partendo dal presupposto che la reputazione è un legame emotivo che spinge le persone a voler lavorare per un’azienda, Reputation Institute ha analizzato la reputazione di 100 aziende operanti in Italia nella loro veste di datore di lavoro presso un campione selezionato di job seeker.
Che cosa influenza la scelta di una persona di lavorare per un’azienda (“work for”)? Secondo lo studio di Reputation Institute non è sufficiente la capacità dell’azienda di farsi riconoscere come un datore di lavoro “attraente” (Employer Brand Stregth Index). La leva dell’Employer Branding – oggi utilizzata da molte Direzioni HR per riuscire ad attrarre talenti – è sicuramente utile, ma non spiega esaustivamente le ragioni alla base della scelta delle persone. Esiste, infatti, secondo i dati analizzati da Reputation Institute, una correlazione ancora più forte tra “work for” e reputazione dell’azienda, perché – a differenza dell’Employer Branding – quest’ultima rappresenta un asset capace di costruire equity in maniera molto più durevole. Non basta essere riconosciuti, quindi, occorre saper costruire un legame emotivo molto più forte e duraturo.
“Le tematiche legate alle persone, dipendenti e potenziali candidati, diventano quindi una priorità che non coinvolge più soltanto il mondo HR, ma la totalità dell’organizzazione. I confini dei ruoli della comunicazione esterna e quella interna si sono fusi e stanno dando origine a una nuova sinergia e partnership organizzativa.” – ha affermato Michele Tesoro-Tess. “La comunità HR oggi deve munirsi di nuove metriche di monitoraggio e di valutazione per prendere delle scelte riconosciute strategiche anche dai CEO, oggi sempre più attenti ad accaparrarsi nuove competenze coerenti con le strategie necessarie ad affrontare un mercato sempre più competitivo”.
Come si può integrare Employer Branding ed Employer Reputation? Esiste una “equazione di valore” da sviluppare per accelerare la capacità dell’azienda di attrarre nuovi lavoratori: all’aumentare della capacità dell’azienda di farsi riconoscere, cresce più che proporzionalmente la sua reputazione con impatti significativi sulla propensione delle persone a voler lavorare per quella stessa azienda.