La comunicazione ESG al bivio
Una volta la parola magica era CSR, poi è diventata sostenibilità, infine oggi è tutto un andirivieni di ESG(Environmental, Social and Governance), formula che viene applicata a qualsiasi contesto aziendale: report e indicatori, politiche, programmi e piani, investimenti, regole e certificazioni. E soprattutto alla comunicazione, tanto che in una società come la nostra, fondata sulle connessioni, l’imporsi del racconto ESG ha portato con sé un altro termine che si diffonde in modo virale: lo spaventoso “greenwashing”.
La circolazione dei due termini corre parallela e rapida ma nel caso del greenwashing assistiamo a una fascinazione mediatica decisamente più marcata e diffusa (…). Intendiamoci, che i riflettori si accendano sulle non poche distorsioni di una comunicazione poco trasparente, spesso ridondante e – cosa ancor più grave – lontana dai fatti, è cosa quanto mai salutare e necessaria. Ciò che, al contrario, non funziona in questa nuova moda della caccia all’impostore è l’ormai consueta tendenza dei media (ma non solo) a perdere di vista l’obiettivo numero uno imposto dalla crisi climatica e ambientale e dalla conseguente necessità di dare gambe e fiato al processo di transizione ecologica: colmare il gap di conoscenza, consapevolezza e strumenti operativi per ripensare il proprio agire – anche d’impresa – e contribuire tutti insieme a una maggiore sostenibilità sociale e ambientale del sistema economico.
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E qui ritorniamo al ruolo della comunicazione che deve incessantemente concentrare i suoi sforzi nella diffusione culturale della sostenibilità, far emergere tanto i vincoli a cui far fronte quanto i vantaggi competitivi per avviare sui binari corretti il proprio percorso ESG. La transizione ecologica non è una passeggiata e le imprese, in particolare le PMI che rappresentano l’ossatura del nostro sistema economico, devono essere incoraggiate nell’affrontare le tante sfide ad essa connesse.
Tornando al vocabolario, il termine che indica l’orientamento di un’impresa a non comunicare la sostenibilità dei propri prodotti e processi è “greenhushing”: un silenzio verde che nasce proprio dal timore di aprirsi alle critiche. In uno scenario caratterizzato da normative sempre più stringenti e rigorose la paura di vedersi sbattuti in prima pagina o, peggio ancora, di essere oggetto di contenziosi può davvero comportare un pericoloso ripiegamento in termini di rendicontazione e comunicazione.
Parliamoci chiaro: l’unica ricetta è la trasparenza, il mettere in chiaro le proprie possibilità e anche i propri limiti, motivando le scelte e fissando obiettivi realistici nel medio termine, senza scorciatoie. Al contempo, guai ad alzare l’asticella mentre il saltatore ha già preso la rincorsa, così vanificheremo gli sforzi che invece vanno sostenuti, incoraggiati e comunicati affinché qualcun altro decida di provare a saltare.