La rivoluzione social e il Terzo Settore: il Non Profit Report 2011
Uno degli aspetti fondamentali che la rivoluzione social pone all’attenzione delle aziende è costituito dalla necessità di aprire i confini organizzativi. Questo significa che, da una parte, all’interno devono aumentare le sinergie, il dialogo costante, le iniziative congiunte fra funzioni che troppo spesso si ignorano reciprocamente (quando non sono l’una contra l’altra armate per ragioni di confilitti di potere personale, che si scatenano sotto l’occhio connivente di top manager fedeli all’antico ma sempre valido motto divide et impera –valido ovviamente nell’ottica di quel Management 1.0 bollato da Gary Hamel come inefficiente, burocratico e autoritario). Si tratta cioè di costruire un nuovo dominio manageriale a partire da una nuova collaborazione fra unità che si occupano di HR, CSR , ICT, Ricerca e Sviluppo.
In questo quadro, scriviamo nella nostra indagine Delphi 2.0, la Sostenibilità deve trovare messaggi, modalità e strumenti di dialogo aziendali con stakeholder interni e/o esterni diversi da quelli tradizionali, ormai insufficienti. Questo vale anche per le organizzazioni non profit. Ma mentre all’estero (secondo il rapporto di Craig Newmark’s Craigconnects – settembre 2011) almeno le 50 organizzazioni non profit americane più importanti sono ben strutturate sul versante social media, in Italia la situazione è ben diversa.
In questo quadro, un utile contributo alla riflessione sul tema è offerto dal Non Profit Report 2011, l’indagine realizzata da ContactLab in collaborazione con VITA Consulting, che ha coinvolto 20.000 persone presenti nei database di 38 organizzazioni non profit in Italia. La nuova infografica di approfondimento, offre nuovi dettagli per conoscere meglio questi stessi utenti e i loro comportamenti online.
I social network: un mondo ancora da esplorare
La metà degli intervistati – il 49% degli oltre 20.000 contattati – dichiara di utilizzare i social network per scrivere post, caricare foto e partecipare a gruppi. Cambia però lafrequenza: solo il 14% riconosce infatti di avere una presenza social attiva e assidua, mentre un ulteriore 35% scrive, commenta o condivide contenuti sul proprio profilo più raramente, pur mantenendosi aggiornato sulle attività dei propri amici e contatti.
Quando si parla invece in modo più specifico di non profit, un utente su quattro dichiara di seguire una o più Onlus sui social network. Lo fa perché trova che la comunicazione sui social media sia più diretta e vicina alla gente (50%) o per fedeltà ad una specifica Onlus, sulle cui iniziative desidera tenersi sempre aggiornato (16%).
È interessante invece sottolineare come tra chi al contrario dichiara di non frequentare le pagine social delle organizzazioni non profit, l’11% non ne trovainteressante o rilevante la presenza. Ancora una volta sono i contenuti che potrebbero fare la differenza: chi ricorda una particolare fanpage, cita l’organizzazione della pagina (47%), i post (29%) e le foto pubblicate (13%).
“Questi dati dimostrano che la comunicazione non si improvvisa – a parlare è Massimo Fubini, amministratore delegato di ContactLab, che commenta i risultati della ricerca -. Non basta creare una fanpage per catturare l’attenzione degli utenti: la presenza sui social network va pensata e integrata all’interno di una strategia online che miri a costruire e mantenere un dialogo coi propri sostenitori e donatori. Una comunicazione costante e coerente con le specificità dei mezzi utilizzati può diventare determinante per fidelizzare i propri contatti e potenziare il foundraising”.
L’esperienza pionieristica di ideaTRE60, il primo social media italiano finalizzato all’innovazione sociale, lo conferma. Il suo successo infatti è largamente dovuto alla capacità di integrare i contenuti della piattaforma madre (sviluppati attraverso Forum, blog e web television) con piani editoriali specifici sugli principali 8 social network, da Facebook a LinkedIn.
Trasparenza, chiarezza, continuità dei messaggi uguale fidelizzazione
Gli utenti chiedonotrasparenza e concretezza: lo fanno manifestando l’esigenza di un’area riservata all’interno del sito delle Onlus (62%), per poter seguire da vicino lo sviluppo dei progetti o chiedendo maggiore cura dei contenuti, nelle newsletter così come nelle pagine social. Vorrebbero trovare più storie, magari illustrate da fotografie e accompagnate dai commenti degli stessi utenti che desiderano condividere la propria esperienza e portare una testimonianza del proprio impegno a sostegno di una causa.
Questi dati confermano un’altra ipotesi della nostra indagine Delphi: “in opposizione al tradizionale flusso top-down della catena del valore, il secondo principio della nuova economia social è la co-creazione di valore che nasce dalla collaborazione orizzontale, conviviale, da attuare all’interno dell’azienda e al suo esterno, con e fra tutti gli stakeholder. Diventa essenziale la valorizzazione dellacollaborazione emergente tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti.”
Per quanto riguarda la raccolta delle informazioni, gli utenti si informano a proposito delle attività delle Onlus principalmente sul web: il 54% lo fa visitando il sito istituzionale, il 40% leggendo le newsletter. Al terzo posto la posta cartacea (31%), mentre gli eventi di piazza sono fonte di informazione per il 15% dei rispondenti. Interessante il fenomeno del passaparola, che può facilmente essere alimentato online grazie agli strumenti di condivisione come il “segnala ad un amico” da inserire nella newsletter o la funzionalità “condividi” sui social network.
A fronte di un 31% di utenti che dichiarano di tenersi informati tramite il materiale cartaceo spedito via posta, il 58% dei rispondenti dichiara che preferirebbe essere aggiornato esclusivamente tramite canali online, rinunciando al supporto offline. Un dato interessante per le Onlus, che potrebbero ridurre i costi limitando la stampa e la spedizione di materiale cartaceo, differenziando i contenuti in funzione delle potenzialità dei canali (offline e online) e integrando i diversi strumenti per creare sinergie.
In accordo con i principi dello Humanistic Management 2.0, dunque, una strategia di successo anche nel Terzo Settore deve fondarsi su Sensemaking e storytelling, Social Networking e Transmedialità, Multicanalità.
Fidelizzazione
Anche da un punto di vista molto pratico, emerge la necessità di essere attrezzati con modalità 2.0: il 39% degli utenti intervistati dona (o ha già donato) online; il 13% utilizza esclusivamente Internet per effettuare le proprie donazioni. Più in generale, il 26% degli utenti dichiara di utilizzare in genere canali di pagamento online. Nonostante emerga un’abitudine consolidata alla donazione tramite i tradizionali canali offline, tanto che il bollettino postale si conferma lo strumento più utilizzato (quasi il 30%), la sfida per le organizzazioni non profit di tramutare i donatori occasionali in donatori regolari, si sposta anche sul web: sarà sempre più importante prevedere e mettere a disposizione degli utenti modalità di donazioni online regolari.
E’ importante infine sottolineare che il 61% dei rispondenti si interessa al sociale da più di 10 anni. La costanza nel tempo dimostrata dagli iscritti alle newsletter delle organizzazioni non profit avvalora l’efficacia di una strategia di comunicazione che non solleciti esclusivamente la donazione oneshot, ma punti sulla fidelizzazione, per aumentare il numero di donatori regolari, la frequenza e l’ammontare delle donazioni.
“La fidelizzazione oggi passa soprattutto attraverso la chiarezza, la trasparenza, la semplicità e la continuità dei messaggi – afferma Fubini -. Per creare engagement e convincere i donatori occasionali a sposare non più solo una specifica iniziativa, ma una Onlus con tutta la sua storia e la sua missione, sarà sempre più necessario sfruttare lasinergia tra i diversi canali di comunicazione online, intuendone e mettendone a frutto lespecificità. La sfida per le organizzazioni non profit rimane quella di coinvolgere e coltivare l’interesse delle fasce più giovani: in quest’ottica l’integrazione tra i canali dell’offline e dell’online, con il quale i più giovani hanno già maggiore dimestichezza, si rivela sicuramente vincente. Non dimentichiamoci infatti che questi ‘futuri adulti’ saranno i donatori di domani.”