Le imprese investono in Csr, ma i bilanci sono troppo autoreferenziali
Moltiplicano le iniziative a favore dei dipendenti, rendicontano attraverso il bilancio sociale, si impegnano per il territorio, l’ambiente, l’arte e la cultura. Sono le imprese socialmente responsabili che in Italia nel 2011 hanno investito in media 210mila euro (nel 2009 la cifra media investita era di 161mila euro). Insomma, oggi le aziende non si preoccupano più solo di comunicare informazioni finanziarie ma anche di raccontare cosa fanno per l’ambiente e la società ma i bilanci di sostenibilità sono ancora troppo autoreferenziali.
I dati parlano chiaro: secondo il rapporto biennale Swg per Osservatorio Socialis condotto su 823 aziende con più di 100 dipendenti, nonostante la crisi, nel 2011 il 64% delle aziende in Italia ha investito in Csr e per il 67% è uno strumento che serve a rafforzare il rapporto con i dipendenti. Sorprendente quindi il fatto che c’è un 27% di imprese che fa Csr ma non lo comunica ai propri dipendenti.
Eppure la legittimazione della dimensione sociale dell’impresa passa proprio attraverso la comunicazione e lo strumento per eccellenza è il bilancio di sostenibilità che serve per valutare le performance sociali, ambientali ed economiche dell’impresa e apportare i miglioramenti. Dall’inizio degli anni 2000 ad oggi spiega all’Adnkronos, Andrea Casadei, direttore della ricerca di Bilanciarsi, network che opera in merito alle tematiche inerenti la Csr, ”il fenomeno della rendicontazione non finanziaria è andato aumentando in maniera incrementale”.
Il 37% delle aziende dichiara di redigere il bilancio sociale che si focalizza solo sui risultati dell’attività aziendale nella loro dimensione sociale, ambientale ed etica. Il 28%, invece, redige il bilancio di sostenibilità che è più completo in quanto comprende non solo la dimensione ambientale e sociale ma anche quella economica. Il 23% li redige entrambi. Nonostante l’impegno, non mancano le critiche relative all’effettiva utilità delle informazioni presentate. I bilanci di sostenibilità, infatti, vengono giudicati ancora troppo autoreferenziali.
Ognuno fa per sè e questo non permette una comparabilità dei contenuti. Nella rendicontazione di sostenibilità, infatti, non c’è una uniformità degli indicatori presi in considerazione e questo, spiega Casadei, ”determina una compresenza di livelli di approfondimento molto diversi a seconda dell’ambito trattato e dell’impresa in oggetto”. Per questo un progetto dell’Istat e del Csr manager network ha individuato 10 indicatori di sostenibilità da riportare nei bilanci volontari delle imprese che, se adottati potrebbe consentire per la prima volta di misurare e comparare le performance ambientali, sociali e di governance delle aziende italiane.
Questi indicatori vanno dal valore economico diretto complessivamente generato al consumo diretto di energia, agli investimenti per la tutela dell’ambiente, fino alle iniziative a favore dei dipendenti. Per soddisfare la richiesta di informazioni da parte dei mercati, dei regolatori e della società civile, secondo Casadei, “c’è, infatti, bisogno di un framework che supporti il futuro sviluppo della rendicontazione, riflettendo questa complessità crescente”.
Sul futuro dei bilanci di sostenibilità, Casadei non ha dubbi: “reporting integrato e il webreporting. Mezzi che permettano l’interconnessione e la comparabilità di tutte le informazioni economiche, ambientali, sociali e di governo”. La rendicontazione integrata, spiega il direttore della ricerca di Bilanciarsi, “porta ad una spiegazione più completa delle performance rispetto alla rendicontazione tradizionale. Rende visibile l’uso che un’organizzazione fa delle risorse, e la sua dipendenza da queste, che sono i ‘capitali’ (finanziario, umano, intellettuale, naturale e sociale) e l’accesso dell’organizzazione a queste risorse e l’impatto che ha su di loro”.
Recentemente i ministeri del Lavoro e delle politiche sociali e dello Sviluppo economico hanno attuato il piano d’azione nazionale sulla Responsabilità sociale d’impresa (Rsi) 2012-2014 che mira a fornire orientamenti condivisi per le azioni future. Il piano, oltre a porsi l’obiettivo di aumentare la cultura della responsabilità, vuole contribuire al rafforzamento degli ‘incentivi di mercato’ che vanno dalla defiscalizzazione di alcune spese ad albi che premiano le aziende responsabili, fino ad attribuire punteggi aggiuntivi nelle gare di appalti pubblici alle imprese che si sono distinte in questo campo.