Pmi, dal nuovo Codice di autodisciplina una spinta alla Borsa
Per le piccole e medie imprese sarà più facile quotarsi a Piazza affari. Patrizia Grieco: «Ora la chiave è nella sostenibilità»
Per le piccole e medie imprese sarà più facile quotarsi a Piazza affari. Minori adempimenti per allinearsi alle prescrizioni del Codice di autodisciplina in materia di corporate governance e facilitazioni sono previste per le società con una capitalizzazione inferiore al miliardo e per quelle “a proprietà concentrata” (cioè controllate con più del 50% dei diritti di voto), che oggi rappresentano circa la metà delle imprese quotate sul mercato principale gestito da Borsa Italiana. Il nuovo codice di autodisciplina, rivisitato e snellito da 40 a 20 pagine è già in vigore con un’applicazione differita al 2021.
La presentazione
«La revisione si è mossa su quattro direttici – spiega a Il Sole 24 Ore Patrizia Grieco, presidente del Comitato italiano per la corporate governance – cioè sostenibilità, engagement, proporzionalità e semplificazione. La sostenibilità assume un ruolo centrale nella strategia di un’azienda, sia in termini di indirizzo che di monitoraggio dei rischi. Viene tradotta dal codice nel successo sostenibile dell’impresa nel medio lungo termine. Per anni le strategie sono state dominate da politiche di breve termine, che non controllano e non possono aiutare l’azienda nella determinazione di quelli che sono effettivamente i suoi rischi. Un’azienda sostenibile è un’impresa che ha fatto derisking rispetto alla propria attività e in questo senso è più profittevole nel tempo e non è soggetta in prospettiva a scomparire per rischi che non aveva calcolato. L’approccio di medio-lungo periodo si deve riflettere anche nelle politiche di remunerazione».
L’intervista
Presidente, la semplificazione è il driver del nuovo codice?
Sicuramente. Abbiamo eliminato i commenti. Al loro posto, accanto ai principi e alle raccomandazioni (non obbligatorie, ma soggette alle regole del comply or explain, se non ti adegui devi spiegare perché, ndr) saranno introdotte Q&A, da aggiornare periodicamente, per rendere più agevole l’adesione al codice. Sono poi stati inseriti i criteri di proporzionalità – auspicati dai principi G20/Ocse – per tenere conto del contesto economico del Paese e delle caratteristiche dell’impresa italiana e fare in modo che le aziende più piccole non si spaventino rispetto alla complessità della quotazione, ma possano apprezzarne i vantaggi senza essere oberate da adempimenti sproporzionati. Il codice prevede inoltre l’adozione di procedure specifiche relative all’engagement verso gli investitori che devono essere descritte nella relazione sulla corporate governance: un processo necessario perché per asset manager e grandi investitori è prevista l’adozione di una politica di impegno in qualità di azionisti e quindi a loro volta chiedono un dialogo con le aziende in cui investono. È un aspetto importante, perché il mondo si complica e una società quotata non ha più soltanto il merito di credito sul quale rendere conto, ma è valutata anche in base a parametri Esg (sostenibilità ambientale, sociale e governance), confrontandosi con un numero indefinito di player sul fronte delle agenzie di rating e degli investitori istituzionali. Con questa revisione il codice italiano si allinea alle best practices europee: l’abbiamo fatta in tempi rapidi e ringrazio il Comitato, gli esperti, la segreteria tecnica, con il suo coordinatore Marcello Bianchi e le società quotate che hanno dato il loro contributo durante i lavori preparatori.
Di sostenibilità si parla molto. Non c’è il rischio che le aziende si limitino a darsi una “pennellata” di verde? Come si fa a misurarla?
Il rischio di green washing esiste. La strategia di un’azienda è improntata alla sostenibilità quando il piano industriale, per il “successo sostenibile” dell’azienda, adotta obiettivi strategici misurabili che devono essere stati definiti tenendo conto dei rischi ai quali il business è esposto a livello ambientale, sociale e di governance. Il cda di un’azienda manifatturiera che consumi moltissima acqua, bene prezioso, da subito dovrebbe prevedere le conseguenze che una carenza della risorsa potrebbe avere sulla produzione, trovando sistemi produttivi per un consumo razionale. Sta prendendo inoltre piede un modello che orienta soprattutto i giovani verso un modo più consapevole di consumare, che tende a penalizzare chi utilizza in maniera eccessiva risorse naturali o genera danni per l’ambiente. E anche questo è un rischio enorme per le imprese. Tutto è riconducibile a un grande derisking della propria attività e all’osservanza dei fattori Esg: questi sono importanti al punto tale che le agenzie di rating stanno considerando come tenerne conto e valutando le metriche per misurarli.
Quanto i criteri di sostenibilità sono già diffusi tra le aziende italiane?
Il comitato misura ogni anno, con il supporto di Assonime, il rispetto del codice da parte delle società quotate. Per quanto riguarda la sostenibilità, dal monitoraggio annuale è risultato che in molti casi ancora manca una chiara attribuzione al cda della responsabilità di considerare il tema della sostenibilità come parte integrante e fondamentale delle strategie d’impresa. Più in generale, dall’analisi annuale si riscontra che l’adesione al codice è inversamente proporzionale alla dimensione: nel 2019 il 77% delle aziende di medio-grandi dimensioni è compliant, la percentuale scende al 59% per le imprese più piccole. Anche per questo motivo abbiamo introdotto i criteri di proporzionalità che consentono, ad esempio, una maggior presenza di consiglieri indipendenti solo nelle società grandi (50%, ndr), che si riduce per quelle a proprietà concentrata (un terzo, ndr), mentre per le altre si applica solo la quota di legge. Il numero dei comitati può essere ridotto, attribuendone le funzioni all’intero cda.
Il codice non fa più distinzioni tra diversi modelli di governance. Perché?
Il codice ora è neutrale rispetto ai diversi sistemi. Non fa distinzioni tra quello italiano tradizionale e, ad esempio, il monistico, molto diffuso in Europa e che non prevede il collegio sindacale, ma un comitato per il controllo sulla gestione. E poi c’è il sistema duale, che è tipicamente tedesco. La neutralità facilita le quotazioni in Italia di società straniere abituate al sistema monistico: esse potranno aderire a un codice in cui trovano neutralità rispetto al sistema che loro hanno già adottato.
Nel codice gli interessi delle società emittenti e delle minoranze sono in equilibrio? Secondo il presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos, il presidente avrà sempre più un ruolo di bilanciamento rispetto ai manager esecutivi e quindi dovrebbe essere indipendente ed espresso dalle minoranze.
È un dibattito interessante. Ricordo che qualunque sia la lista che ha presentato un amministratore, dal momento in cui viene nominato deve dimenticarsene e lavorare solo come amministratore della società, senza vincolo di mandato. Si è indipendenti quando non si hanno interessi che legano alla società nella quale si ricopre il ruolo di amministratore o ai suoi azionisti.
Il codice raccomanda piani di successione per il top management delle grandi aziende. Ma come ci si regola per le società a controllo pubblico dove le nomine sono decise dalla politica?
Le raccomandazioni del codice mirano alla salvaguardia della continuità dell’azienda e del suo valore. Ci sono piani che identificano i nomi di coloro che sono indicati come successori. Personalmente preferisco i piani di successione che rassicurano il mercato rispetto al processo che l’azienda deve seguire se si verifica un evento inatteso e che dunque stabiliscono che non può passare più di un certo numero di giorni per la designazione del nuovo ad.
Siamo alle vigilia dei rinnovi per le società pubbliche. Lei sarebbe disponibile per un altro mandato alla presidenza di Enel?
È una decisione che spetta ai soci. Quello che posso dire è che in Enel sono stati anni entusiasmanti e di grandi risultati.