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Un nuovo concetto di valore, oltre il Pil e il profitto

C’è una “creazione di valore” che non è rispecchiata dalle misure tradizionali. La constatazione vale per i sistemi macroeconomici, ma anche per le imprese. Se n’è discusso alla Bocconi, in un convegno aperto dal premio Nobel Amartya Sen, con una tavola rotonda moderata da Severgnini, alla quale hanno partecipato Bonino, Cucchiaini, Illy e Segrè. Spunto di dibattito, uno studio che per la prima volta mette in relazione le iniziative per “andare oltre il Pil” e le nuove strategie aziendali attente alla sostenibilità e alla responsabilità sociale. E’ difficile per ora misurare i risultati per le imprese, ma la linea di tendenza è certamente importante.
La “creazione di valore” rispecchia la ricchezza prodotta dall’attività di un soggetto. Semplificando, possiamo dire che il concetto di “valore aggiunto” è alla base del calcolo del Prodotto interno lordo (Pil) di una nazione, ma anche dei profitti d’impresa, perché si ricava detraendo dal fatturato i beni e servizi esterni necessari alla produzione.
È solo questo il “valore”? O c’è anche una creazione di valore che non è espressa dal calcolo del Pil? I lavori in corso in tutto il mondo e testimoniati anche da questo blog lo dimostrano. Ma questo principio vale anche a livello aziendale? C’è insomma un “valore” misurabile, espresso dalla sostenibilità delle attività d’impresa e dal grado di soddisfazione che la stessa impresa offre a tutti gli stakeholder, cioè a tutti quelli che detengono un interesse nelle sue attività (dipendenti, clienti, abitanti delle aree con insediamenti produttivi, per citarne alcuni) e non solo dalla remunerazione degli shareholder, gli azionisti che legittimamente si aspettano di ricavare un profitto dal loro investimento? E questo valore alla lunga garantisce un miglior futuro alle aziende stesse?
Insomma, da “oltre il Pil” a “oltre il profitto”, non certo per negare l’importanza dell’uno o dell’altro nei meccanismi economici, ma per esplorare quali altri “valori” sono importanti per i soggetti collettivi. Su questo tema si è discusso il 10 maggio in un convegno organizzato da CReSV (Centro di Ricerche su Sostenibilità e Valore dell’Università Bocconi), Fondazione Ernesto Illy, Centromarca e Corriere della Sera. La registrazione dell’intero evento si può trovare sul sito della Fondazione Illy, su You Tube e su Radio Radicale.
La lucida analisi dell’ospite d’onore, il Premio Nobel Amartya Sen, sugli errori della politica monetaria europea, ha polarizzato il dibattito tra la vicepresidente del Senato Emma Bonino, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo Enrico Cucchiani, il presidente di Illycaffè Andrea Illy e il preside della facoltà di Agraria della Università di Bologna Andrea Segrè, moderato con la consueta vivacità e intelligenza dal giornalista del Corriere Beppe Severgnini.
Lo spunto di discussione era offerto dallo studio di Emanuele Teti e Francesco Perrini: “Sustainable value creation: from a country to a corporate perspective”,  illustrato in apertura di riunione da Perrini che è direttore del Cresv. Dello studio, edito da Egea, è scaricabile gratuitamente soltanto la prefazione e l’indice e anche le slide usate da Perrini non ci sembra che siano disponibili on line.
L’aspetto più interessante del volume ci sembra proprio il tentativo di effettuare una saldatura concettuale tra i tentativi di trovare misure “oltre il Pil”, tentativi che hanno al centro un nuovo concetto di valore legato al benessere e una nuova attenzione alla sostenibilità globale, ed nuova definizione di “creazione di valore” a livello aziendale, sostanzialmente attraverso politiche di responsabilità sociale (corporate social responsibility, Csr) che non si limitino a operazioni d’immagine ma incidano sulla sostanza dei comportamenti aziendali.
Lo studio ha anche cercato di misurare gli effetti delle politiche di sostenibilità e di responsabilità sociale sul valore delle aziende, rispecchiato dalla loro profittabilità e quindi anche dal valore dei loro titoli azionari. Onestamente riconosce che i risultati non sono chiari, perché la crisi economica “fa sì che gran parte dell’intera comunità di investitori preferisca l’approccio del valore a breve ternmine, attraverso la massimizzazione del cash flow ottenuta con tutte i possibili tagli dei costi”. Insomma le imprese hanno bisogno di strategie a medio termine improntate alla sostenibilità e alla responsabilità sociale, ma il mercato ancora non valorizza queste scelte.
E’ però significativo che in una sede di prestigio e cultura aziendale come la Bocconi si discuta di queste strategie. Saranno sufficienti queste politiche per affrontare la crisi globale? E quanto è urgente una inversione di rotta? La domanda è la stessa che è al centro del nostro libro “2030 – La tempesta perfetta”. Le risposte variano: certamente più ottimiste quelle di Illy, che come altri (si veda il precedente post) confida negli apporti della tecnologia; molto preoccupate quelle di Segrè che in un recente libro (“Economia a colori”) si batte per mettere l’ecologia al centro dell’attenzione politica; molto attente alle esigenze e ai problemi di crescita sostenibile quella di Cucchiani. Una sfida nella quale il ruolo dell’Europa sarà comunque fondamentale, come ha sottolineato Emma Bonino, che con altri leader, tra i quali Giuliano Amato e Romano Prodi, ha firmato di recente un appello per il rilancio di una politica europea adeguata al momento che stiamo attraversando.
http://www.egeaonline.it/editore/catalogo/sustainable-value-creation-from-a-country-to-a-corporate-perspectives.aspx