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Chi si fida di Big Pharma?

È tempo che l’industria farmaceutica si impegni per riconquistare la fiducia di medici e pazienti, modificando molti suoi comportamenti che alla lunga le si stanno ritorcendo contro. Negli anni trascorsi un gran numero di ombre si sono addensate su questo settore industriale che pure è un potente motore di sviluppo di nuovi trattamenti capaci di portare un importante contributo alla salute delle persone. Ne parla un editoriale pubblicato su Jama intitolato significativamente Restoring Confidence in the Pharmaceutical Industry.
Tra i problemi principali segnalati dall’editoriale c’è la tendenza da parte dell’industria farmaceutica a manipolare e presentare in maniera scorretta i dati provenienti dalla ricerca che produce o sponsorizza. Dicono gli autori, Howard Bauchner e Phil Fontanarosa: “Un report che ha comparato l’informazione proveniente da trial di efficacia inclusi nei documenti della Food and Drug Administration (FDA) americana per le domande di approvazione di nuovi farmaci, con l’informazione pubblicata in articoli scientifici, ha scoperto che molti trial clinici inseriti nelle domande non erano pubblicati 5 anni dopo l’approvazione del farmaco”. Un fatto di per sé molto grave anche dal punto di vista concettuale, perché separa il percorso per il raggiungimento dell’approvazione di un farmaco da quello dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche, e anche la loro condivisione con la comunità dei ricercatori. Come se fossero due cose diverse, come se l’approvazione di un nuovo farmaco fosse un obiettivo esclusivamente industriale ed economico. Il che ovviamente, dal punto di vista della società civile non è e non può essere.
Ma c’è di più, lo stesso report citato dall’editoriale ha anche trovato discrepanze tra obiettivi primari, analisi statistiche e conclusioni dei documenti per l’FDA e quelli presenti negli articoli che comunque alla fine sono stati pubblicati nella letteratura scientifica. Insomma, un gran pasticcio, una manipolazione non giustificabile. Se si considera che tutto questo sta diventando sempre più di pubblico dominio e che le grandi multinazionali farmaceutiche sono incorse anche in diverse multe per marketing non etico e illegale, si capisce quanto sia importante e urgente un cambiamento.
Secondo gli autori dell’editoriale, per recuperare credibilità sociale è tempo che l’industria farmaceutica si impegni a:

  • Lasciare ai ricercatori indipendenti il compito di analizzare i dati delle ricerche eventualmente disegnate e sponsorizzate dall’industria stessa.
  • Lasciare ai ricercatori indipendenti la stesura degli articoli scientifici su ricerche sponsorizzate dall’industria.
  • Rendere pubblici i dati dei trial clinici sponsorizzati dall’industria perché ricercatori indipendenti qualificati possano revisionarl.
  • Evitare la pubblicità diretta ai consumatori (nei paesi in cui è permessa) almeno fino a quando non siano stati completati anche tutti gli studi postmarketing, mostrando così di avere a cuore la sicurezza dei pazienti (che non può essere garantita dai brevi e numericamente limitati trial per la registrazione).

Poi restano comunque aperti molti altri problemi. Ad esempio il fatto che nel 2013 scadranno almeno 40 brevetti di farmaci con ridotti introiti per l’industria farmaceutica di oltre 35 miliardi di euro. Come farà a recuperare cifre tanto colossali? Secondo un articolo comparso su The Economist una strategia in corso è quella di proporre vecchi farmaci per nuove indicazioni. Si tratta di un modo per risparmiare fino al 40 per cento sui costi dello sviluppo di nuove molecole. Un approccio che può essere utile, tanto che oggi viene portato avanti anche da alcune università, ma che se diventa l’alternativa al vero sviluppo di nuove molecole, rischia di minare nei prossimi anni il potenziale per la scoperta di farmaci realmente innovativi.