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Greenwashing e pubblicità ingannevole: prima azienda punita per comunicazione scorretta

Sostenibilità ambientale e rispetto per l’ambiente, siamo certi che sia sempre tutto vero ciò che leggiamo nella pubblicità? Il nuovo faro per l’industria è allontanarsi dall’uso di materiali di origine fossile (petrolio), per abbracciare la nuova onda green che avanza inesorabile anche in settori molto critici come quello dell’automobile e della moda, dove i materiali sintetici derivati dal petrolio rappresento percentuali elevatissime. In un mercato sempre più ispirato ai temi della “sostenibilità ambientale” e del “supporto al pianeta”, capita sempre più spesso che parole come “ecologico” o “amico dell’ambiente” vengano utilizzate per sostenere anche le caratteristiche di prodotti evidentemente di origine fossile per renderli più appetibili sia al grande pubblico dei consumatori sia a quello delle grandi aziende che utilizzano semilavorati.

Tutto questo può configurare un caso di comunicazione ingannevole che, in tema ambientale, viene definita “greenwashing”, ossia un tentativo di mascherare il reale impatto sull’ambiente prodotto da questi materiali. Per questo è destinata a fare giurisprudenza l’ordinanza cautelare del tribunale di Gorizia, la prima in Italia (tra le prime in Europa) in merito a una vicenda di comunicazione scorretta che riguarda una azienda friulana che commercializza materiali sintetici per il settore automotive e moda.

La segnalazione al tribunale friulano era arrivata dal colosso milanese Alcantara, azienda celebre per i suoi tessuti utilizzati nel settore auto e oggi in quello della moda e del lusso, che nei mesi scorsi aveva rilevato come una concorrente in particolare utilizzava claim fortemente impattanti dal punto di vista della coscienza ambientale per proporre prodotti evidentemente inquinanti. Il tribunale di Gorizia ha rilevato che “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto”.

Sebbene le normative in merito alle dichiarazioni ambientali siano spesso ancora piuttosto confuse e lascino spazio a diverse interpretazioni, con questa convinzione ha sancito che le “dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”. Per questo ha riconosciuto come un potenziale pericolo per il mercato la commercializzazione di prodotti sintetici con claim quali per esempio: “La prima microfibra sostenibile e riciclabile”, “100% riciclabile”, “Riduzione del consumo di energia e delle emissioni di Co2 dell’80%”, “Amica dell’ambiente”, “Scelta naturale” e “Microfibra ecologica”. Laddove non esiste la possibilità di verificare in modo scientifico le caratteristiche.

Milano, 10 dicembre 2021 – Sostenibilità ambientale e rispetto per l’ambiente, siamo certi che sia sempre tutto vero ciò che leggiamo nella pubblicità? Il nuovo faro per l’industria è allontanarsi dall’uso di materiali di origine fossile (petrolio), per abbracciare la nuova onda green che avanza inesorabile anche in settori molto critici come quello dell’automobile e della moda, dove i materiali sintetici derivati dal petrolio rappresento percentuali elevatissime. In un mercato sempre più ispirato ai temi della “sostenibilità ambientale” e del “supporto al pianeta”, capita sempre più spesso che parole come “ecologico” o “amico dell’ambiente” vengano utilizzate per sostenere anche le caratteristiche di prodotti evidentemente di origine fossile per renderli più appetibili sia al grande pubblico dei consumatori sia a quello delle grandi aziende che utilizzano semilavorati.

Tutto questo può configurare un caso di comunicazione ingannevole che, in tema ambientale, viene definita “greenwashing”, ossia un tentativo di mascherare il reale impatto sull’ambiente prodotto da questi materiali. Per questo è destinata a fare giurisprudenza l’ordinanza cautelare del tribunale di Gorizia, la prima in Italia (tra le prime in Europa) in merito a una vicenda di comunicazione scorretta che riguarda una azienda friulana che commercializza materiali sintetici per il settore automotive e moda.

La segnalazione al tribunale friulano era arrivata dal colosso milanese Alcantara, azienda celebre per i suoi tessuti utilizzati nel settore auto e oggi in quello della moda e del lusso, che nei mesi scorsi aveva rilevato come una concorrente in particolare utilizzava claim fortemente impattanti dal punto di vista della coscienza ambientale per proporre prodotti evidentemente inquinanti. Il tribunale di Gorizia ha rilevato che “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto”.

Sebbene le normative in merito alle dichiarazioni ambientali siano spesso ancora piuttosto confuse e lascino spazio a diverse interpretazioni, con questa convinzione ha sancito che le “dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”. Per questo ha riconosciuto come un potenziale pericolo per il mercato la commercializzazione di prodotti sintetici con claim quali per esempio: “La prima microfibra sostenibile e riciclabile”, “100% riciclabile”, “Riduzione del consumo di energia e delle emissioni di Co2 dell’80%”, “Amica dell’ambiente”, “Scelta naturale” e “Microfibra ecologica”. Laddove non esiste la possibilità di verificare in modo scientifico le caratteristiche.https://0f5dbf2cc5055ede443834a0c4ddc7ba.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html?n=0

Il Tribunale ha ordinato all’azienda friulana a rimuovere i claim e a pubblicizzare l’ordinanza sia sul suo sito sia attraverso comunicazione diretta ai clienti, tra i quali anche marchi molto noti dell’auto. “L’iniziativa realizzata con Alcantara può diventare una prima fondamentale case history che in tema di greenwashing può essere caso di giurisprudenza – ha detto Elena Stoppioni, presidente dell’associazione Save the Planet – Non è tutto green quello che viene presentato come tale e i danni, in termini di concorrenza, possono essere elevati. Infatti secondo un recente studio condotto da McKinsey, sono circa il 70% i consumatori che nelle loro scelte di acquisto sono pronti a optare per prodotti eco-friendly rispetto a quelli tradizionali, anche pagando prezzi più elevati. È evidente quindi come eventuali dichiarazioni non veritiere sul fronte green non solo danneggiano la competitività delle aziende più rigorose, ma sono in grado di influenzare i comportamenti dei consumatori, ingannandoli”.

Il danno può essere anche di carattere strettamente finanziario poiché le obbligazioni green a fine 2021 potrebbero superare i 1.000 miliardi di dollari. È una massa enorme di risorse a cui le aziende possono attingere. Ma è necessario svenare qualsiasi pericolo di greenwashing. Secondo un sondaggio di Quilter questa è la principale preoccupazione per quasi metà degli investitori (44%). “Dopo le decisioni dell’Antitrust e del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria, anche la magistratura ordinaria ha affermato che la sensibilità dei consumatori verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da una impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore – sottolinea l’avvocato Gianluca De Cristofaro, socio di LCA Studio Legale che ha curato la causa per Alcantara – Pertanto è importante che le dichiarazioni ambientali “verdi” siano chiare, veritiere e accurate, e basate su dati”.

Anche per Antonello Ciotti, presidente Cpme (Associazione Europea dei produttori di Poliestere) questa ordinanza “che inibisce la comunicazione e la diffusione di qualsiasi informazione non verificabile sul contenuto della percentuale di riciclo è una pietra miliare verso una giusta eliminazione di tutti i comportamenti scorretti che possono tradire la fiducia dei consumatori oltre che ingenerare concorrenza sleale”. Sono ancora molte le problematiche aperte dal concetto di materiale riciclato. “La direttiva europea sulla plastica richiede entro il 2025 che in ogni Paese membro ogni bottiglia contenga almeno il 25% di Pet riciclato. Ma nulla dice rispetto al fatto che da fuori Europa possano giungere prodotti che non sono in grado di certificare gli stessi standard”. Entrambe le parti potranno proporre reclamo contro l‘ordinanza.