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Harley-Davidson cede ai blogger di destra e cancella le politiche aziendali per l’inclusività: “Ne siamo rattristati, ma non vogliamo spaccare la nostra comunità”

Harley-Davidson cede ai blogger di destra e cancella le politiche aziendali per l’inclusività: “Ne siamo rattristati, ma non vogliamo spaccare la nostra comunità”

CHICAGO – Harley-Davidson non si preoccuperà più di assumere dipendenti con background etnici e culturali diversi. L’iconica azienda produttrice di motociclette con sede e Milwaukee, Winsconsin – la leggenda immortalata dai film on the road Easy Rider – ha infatti ceduto al bersagliamento di commentatori e influencer dell’ultra-destra che avevano lanciato il boicottaggio: e cancellato tutti i suoi programmi di inclusione.

Non solo dunque non ci saranno più quote di assunzioni destinate a minoranze o a donne. Sono stati cancellati pure gli “obiettivi di spesa” da investire in aziende che appartengono appunto a minoranze o comunque a figure con background alternativi. Harley ha deciso anche di tagliare i ponti con l’Human Rights Campaign, che assegna un punteggio alle aziende in base alle loro politiche, pratiche a chi segue determinati standard. E addirittura cancellerà qualsiasi “contenuto socialmente motivato” dai suoi materiali di formazione per i dipendenti.

Una mossa significativa, che arriva dopo mesi di pressione via social avviate dell’influencer di destra Robby Starbuck, nemico giurato delle politiche inclusive, che già aveva lanciato analoghi boicottaggi contro i trattori della John Deere e Tractor Supply del Tennessee. A indispettire l’influencer è vedere come marchi che a suo dire rappresentano i valori americani, abbraccino un’idea di America più ampia.

«Siamo rattristati dalla negatività con cui sui social media sono stati accolti i nostri programmi. Non intendiamo dividere in alcun modo la comunità Harley-Davidson» scrive l’azienda. Limitandosi ad auspicare che «avere un’ampia base di dipendenti e clienti di origini differenti sia un bene per gli affari. Tutti dovrebbero provare la gioia di guidare le nostre motociclette». Dismessa l’agenda “Woke” – sì, insomma la scelta di essere consapevoli alle ingiustizie sociali – ora bisognerà anche capire se rimarrà ai vertici dell’azienda il CEO Jochen Zeitz che l’aveva messa in atto. Di recente l’azienda aveva donato denaro fondi a campagne LGBTQ+, contribuendo a fondare la Camera di commercio LGBTQ+ del Wisconsin, e organizzando corsi di formazione per i dipendenti.

L’azienda d’altronde, nel frattempo una scelta di campo, l’ha già fatta: figurando fra gli sponsor della Convention repubblicana tenutasi qualche giorno fa nella città dove la celebre moto è nata nel 1903. Ma negli ultimi anni, i tradizionali punti di forza di Harley, compresa la sua squisitissima americanità, sono diventati suoi punti deboli. L’avvento di Donald Trump e il suo pallino per il Made in Usa sembrava essere un’ottima notizia per Harley: e infatti i suoi dirigenti furono invitati alla Casa Bianca meno di un mese dopo l’insediamento di Trump. Ma dopo l’inizio delle guerre commerciali del tycoon, le cose si sono complicate.

Quando nel 2018 Trump impose tariffe del 25 per cento sull’acciaio europeo, la risposta europea travolse anche Harley-Davidson. Le tariffe avrebbero reso il prezzo di quelle moto impossibile in Europa: ma solo se costruite in America. Fu così che Harley iniziò a produrre più moto in Thailandia, aggirando le tariffe. Proprio l’opposto di quel che Trump avrebbe voluto. Finì che Harley passò dall’essere il marchio preferito da Trump, al suo nemico commerciale. Nel tempo le cose si sono appianate. A patto di non prendere posizioni troppo liberal.