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I buoni propositi di Coca-Cola e PepsiCo svaniscono in America Latina dove trionfa il junk food: cronache dal Venezuela

Come per ciascuno di noi a inizio anno, anche i grandi gruppi industriali elencano una serie di buoni propositi assunti o da portare avanti nei confronti dell’ambiente e della salute. I voluminosi rapporti sulla Corporate Social Responsibility (CSR) presentano proprio questa lista degli impegni, ma a volte qualcosa non funziona,  come emerge da un breve reportage dal Venezuela.
Il Fatto Alimentare fa tappa a Caracas. All’aeroporto internazionale, le “vending machines” a marchio Coca-Cola offrono diverse bevande zuccherate ricche di bollicine, ma nemmeno una bottiglietta di  acqua minerale. Rassegnati al rubinetto, cerchiamo qualcosa da sgranocchiare. Basta un attimo per accorgersi che nella macchina si trova un vasto assortimento di prodotti a marchio FritoLay, azienda del gruppo PepsiCo, abbastanza imbarazzante. “Ruffles” sembra lo snack più semplice: è “preparato con patate selezionate” e formaggio, come si vede dalla grande fetta di groviera proposta sulla confezione.  Uno sguardo alla tabella nutrizionale evidenzia valori da record: 550 kcal e 13 g di grassi saturi per 100 g di prodotto, i “grassi vegetali” occupano il secondo posto della lista ingredienti, mentre non c’è traccia del formaggio.
Un altro prodotto che attira l’attenzione è “De Todito Mix”, un insieme di snack fritti di varia forma.  In questo caso la tabella nutrizionale è riferita a una porzione anche se il contenuto della busta corrisponde in grammi a una razione e mezza. Rinunciamo alla calcolatrice per valutare le quantità del copioso elenco degli ingredienti che comprende di tutto e di più, tra cui glutammato monosodico e una serie di additivi. I “Doritos”, a prima vista, esprimono la tradizione latino-americana dei triangolini di mais fritti conditi con del formaggio, raffigurato sulla  confezione e affiancato dalla dicitura “Mega-queso” (mega-formaggio). In realtà nell’elenco degli ingredienti troviamo  grassi vegetali, maltodestrine sale, burro e solo in fondo la dicitura di imprecisati “quesos”.
L’elemento più sorprendente è la tabella nutrizionale riferita a 22g, pari alla metà del contenuto della busta. L’ultima chicca è “Cheese tris” uno snack con tanto di super-eroe in copertina. In questo caso la razione consigliata è di 20 g anche se la confezione contiene quasi tre porzioni. Inoltre il valore calorico riferito a 100 g è molto alto e pari a 500 kcal, con 25 g di grassi e 0,6 g di sodio oltre a consistenti dosi di glutammato.
In America Latina – come abbiamo mostrato di recente –  le malattie legate a obesità e sovrappeso hanno incidenza endemica e crescente a ritmo vertiginoso. Le cause sono molteplici, e tuttavia trovano un denominatore comune nella prevalenza delle bevande zuccherate gassate rispetto al consumo di acqua potabile, nell’ampia diffusione di “junk-food” e nella vita sempre più sedentaria. Le industrie del “food & drink”, come quelle del “retail” e del “food service”, non si possono chiamare fuori. E proprio a partire dall’Europa i grandi attori della produzione e distribuzione del cibo hanno iniziato ad assumere vari impegni. L’intento è offrire ai consumatori la possibilità di scegliere alimenti e bevande più o meno compatibili con diete equilibrate di cui tutti hanno bisogno. Inizia a delinearsi il concetto di responsabilità nutrizionale, come capitolo essenziale della Corporate Social Responsibility. Ma evidentemente le scelte di marketing in altre zone del pianeta da parte di alcune multinazionali  non sono proprio omegenee.
“Il mondo è piccolo, e la gente mormora”, ribadiva Enrico Braschi in tempi ormai lontani.  È giunta l’ora di gridare, anziché mormorare, contro le politiche incoerenti di questi gruppi.