Il caso della finta malattia per fare hype: la deriva dei social media
Pochi giorni fa abbiamo analizzato un caso di presunta simulazione di disturbi alimentari da parte di una giovane creator… l’ecosistema Social sviluppatosi attorno al reality “Il Collegio” ha prodotto un altro caso davvero desolante. Una fanpage dedicata al popolare programma ha scatenato una tempesta di critiche e indignazione dopo aver finto un tumore per ottenere maggiore visibilità e attenzione. Questa azione, apparentemente motivata dal desiderio di attirare l’interesse mediatico e di ricevere riconoscimenti dai protagonisti del programma, ha sollevato un acceso dibattito sull’etica e sui valori della comunicazione online.
Tra i primi a esprimere pubblicamente il loro sdegno sono state Vittoria Lazzari ed Elisa Angius, due ex partecipanti al programma, che hanno condannato duramente la fanpage. Le due ragazze hanno sottolineato come questo comportamento rappresenti una grave mancanza di rispetto nei confronti di coloro che realmente lottano contro malattie così gravi, e hanno evidenziato l’inquietante superficialità con cui certi individui sono disposti a manipolare le emozioni altrui pur di ottenere un effimero momento di notorietà.
Il caso della fanpage del “Collegio” non è un episodio isolato, ma si inserisce in un fenomeno più ampio e preoccupante. Negli ultimi anni, l’ossessione per la visibilità sui social media ha portato alcune persone a ricorrere a pratiche sempre più discutibili. Fingere malattie, e in particolare malattie gravi come il cancro, è una delle strategie più estreme e dannose di questa tendenza. Questi comportamenti non solo sfruttano la sensibilità del pubblico, ma possono causare danni psicologici reali a chi è già vulnerabile.
La manipolazione emotiva attraverso la falsa narrazione di malattie rappresenta una deriva pericolosa della cultura digitale, dove il confine tra realtà e finzione si fa sempre più labile. Le piattaforme social, nate per connettere e condividere, possono diventare un terreno fertile per comportamenti tossici, dove l’empatia viene sfruttata come merce di scambio per ottenere consensi e visibilità.
Tuttavia, è importante chiedersi perché si arrivi a tanto. Il desiderio di attenzione e di approvazione, esacerbato dalla pressione dei social media, può spingere alcune persone a cercare scorciatoie morali per raggiungere la fama. La mancanza di regolamentazione e la difficoltà di verificare la veridicità delle informazioni online rendono queste azioni difficili da prevenire e punire.
Il caso sollevato da Lazzari e Angius dovrebbe far riflettere tutti, utenti e piattaforme, sulla necessità di un maggiore senso di responsabilità. Non si tratta solo di denunciare e condannare i comportamenti scorretti, ma anche di promuovere un uso più etico e consapevole dei social media. La manipolazione emotiva attraverso la falsificazione di malattie non è solo un tradimento della fiducia pubblica, ma anche una ferita profonda al rispetto e alla dignità umana.
In un’epoca in cui l’autenticità dovrebbe essere il valore cardine delle interazioni online, è necessario ribadire che la verità, anche quando dolorosa, è sempre preferibile alla menzogna, e che l’empatia non può essere usata come strumento per fini egoistici. La lezione da trarre è chiara: l’hype non giustifica mai la violazione dei valori fondamentali di rispetto e integrità.