Il repricing degli asset Esg ha ancora molta strada da fare
In finanza esiste il concetto di “premio per il rischio”. Gli investitori pretendono cioè un rendimento tanto più alto quanto più è rischioso l’asset che sono disposti a mettere in portafoglio. Questo fa sì le attività più rischiose abbiano i prezzi più bassi, proprio per garantire un rendimento extra agli investitori. Viceversa gli investimenti più sicuri sono i più cari. In questo caso non si parla di “sconto per la sicurezza” ma il concetto è esattamente quello. Questa logica finanziaria sta trovando una nuova applicazione nel campo degli investimenti sostenibili che, per l’appunto, vengono ritenuti più sicuri da parte degli investitori. Essi mettono il detentore degli asset al riparo da possibili strette normative e dall’acuirsi della crisi ambientale.
Un esempio pratico è utile a capire i termini del problema: un produttore di auto con motori endotermici rischia di finire velocemente fuori mercato, cosa che invece non rischia una casa specializzata in veicoli elettrici; quest’ultima dunque presenterà molto probabilmente quotazioni più elevate della concorrente, anche se le sue vendite sono di gran lunga inferiori.
I mercati si stanno già adeguando a questo nuovo paradigma ma il repricing, ovvero la crescita dei prezzi delle attività Esg, potrebbe solo essere agli inizi. Almeno questo è quanto emerge da una recente ricerca di BlackRock, secondo la quale siamo ben lontani da una bolla speculativa. Gli investitori istituzionali stanno infatti progressivamente aumentando la loro esposizione verso prodotti Esg e questo fa sì che la domanda resti molto sostenuta.
Secondo l’indagine svolta dalla casa di investimenti statunitense fra 175 suoi grandi clienti (con masse gestite complessive per circa 500 miliardi di dollari), tre quarti degli intervistati (75%) afferma di utilizzare, o prevede di utilizzare, strategie sostenibili per la costruzione dei propri portafogli, mentre il 45% prevede che i suoi investimenti risulteranno conformi con gli articoli 8 e 9 della Sustainable Finance Disclosure Regulation (Sfdr) della Commissione europea. La maggior parte degli intervistati (62%) dice inoltre di voler investire solamente in fondi conformi con l’articolo 6 del Sfdr nel caso in cui le alternative previste dagli articoli 8 e 9 presentino significativi disallineamenti sia in termini di performance che di tracking.
“I tassi bassissimi e l’aumento dell’inflazione hanno eroso il reddito dei titoli di stato che storicamente hanno stabilizzato i portafogli, mettendo seriamente in discussione il classico approccio 60-40, percentuali che indicano rispettivamente la quota di portafoglio riservata alle azioni e al reddito fisso – afferma Pierre Sarrau, co-head and chief investment officer for multi-asset strategies and solutions di BlackRock -. Un altro fattore che spinge gli investitori a riconsiderare la costruzione del portafoglio e valutare la sua resilienza è la transizione verso l’energia verde, che presenta sia rischi che opportunità. Mentre l’attuale contesto è favorevole alle attività rischiose, c’è parecchia incertezza su un orizzonte di tempo più lungo”.
Vivek Paul, senior portfolio strategist del BlackRock Investment Institute, ricorda invece come un paio di anni fa la casa d’investimenti americana avesse previsto come il massiccio impiego di capitali per combattere il cambiamento climatico avrebbe influito sul prezzo degli asset: “Allora però questo effetto doveva ancora concretizzarsi e ci mancavano i dati per capire se fosse già all’opera. Oggi invece siamo convinti che questa dinamica sia reale e che stia influenzando i prezzi. Il costo dei capitali per l’acquisto di attività green sta scendendo e viceversa. Il grosso del repricing deve però ancora arrivare. Questo ci porta a concludere che gli asset sostenibili beneficeranno di questo trend e che, per ora, siano ben lontani da una bolla speculativa”, conclude l’esperto di BlackRock.