L’indagine su Delivery Hero e Glovo ha svelato per la prima volta un cartello nel mercato del lavoro

Come dimostra il caso Delivery Hero-Glovo, i primati del food delivery non finiscono mai. Le multinazionali del settore hanno reso un mercato mondiale un’economia che, fino a 15 anni fa, era considerata sommersa. Sono riuscite a creare flotte di lavoratori senza diritti, che sfrecciano quotidianamente nella precarietà di un finto lavoro da freelance guidati da un algoritmo. In Italia, come in altri paesi europei, hanno assoldato migliaia di migranti con permesso di soggiorno, sfruttando la mancanza di alternative alla quali le carenti politiche migratorie del nostro paese li mettono davanti. Poi, lo scorso novembre è entrata in vigore una direttiva sul lavoro di piattaforma, primo spiraglio di luce in questo abisso oscuro del “nuovo lavoro” guidato dagli algoritmi, ma capirne gli effetti è ancora troppo presto.
A un certo punto però, come dice un detto fin troppo azzeccato in questo caso, la ruota gira. Lo scorso 2 giugno la Commissione europea ha inflitto una sanzione complessiva di 329 milioni di euro alle due aziende di food delivery Delivery Hero e Glovo, con l’accusa di aver partecipato a un cartello nel settore della consegna di cibo online.
È la prima volta che le multinazionali sono sotto i riflettori per questa ragione in Europa, a dieci anni e più dalla loro nascita. “L’Antitrust spagnola – commenta a Wired il professor Antonio Aloisi, docente di Diritto del lavoro europeo e comparato alla IE University Law School di Madrid – aveva indagato su possibili clausole di esclusiva tra piattaforme e ristoranti (che coinvolgevano Just Eat, Deliveroo, Uber Eats e Glovo) ipotizzando restrizioni verticali alla concorrenza. Tuttavia, a inizio 2022 ha deciso di archiviare l’indagine senza aprire un procedimento formale”.
Le due aziende hanno ammesso alla Commissione le proprie responsabilità, e hanno accettato una procedura di transazione. Una sorta di “patteggiamento antitrust”, per cui hanno riconosciuto di aver partecipato a un cartello, accettano la loro responsabilità legale e si impegnano a non contestare la decisione della Commissione. In cambio, ricevono una riduzione della sanzione (fino al 10%). “Il caso della sanzione a Delivery Hero e Glovo funge da deterrente e da monito per tutto il settore. La multa elevata e la pubblicità data alla vicenda segnalano che qualsiasi intesa segreta tra concorrenti sarà oggetto di attenzione e potenziali sanzioni severe”, continua Aloisi.
Tre le pratiche anti-concorrenziali accertate
L’indagine della Commissione è iniziata a seguito di un’attività di monitoraggio del mercato stimolata da segnalazioni anonime e da un’autorità nazionale garante della concorrenza europea. È durata dal luglio 2018 allo stesso mese del 2022. Delivery Hero negli anni ha comprato molte società di delivery del settore, tra cui nel 2021 anche la stessa Glovo (aveva iniziato ad acquisirne partecipazioni minoritarie già nel 2018). Questione che non è sfuggita alla Commissione, che ha sottolineato come la partecipazione di minoranza di Delivery Hero in Glovo abbia facilitato una coordinazione anticoncorrenziale multilivello. Non è di per sé illegale possedere quote in un concorrente, ma l’Antitrust ha fatto luce su una serie di pratiche che comunque si sono rivelate illecite.
Le due società hanno concordato di non reclutare attivamente i lavoratori dell’altra, limitando per esempio la mobilità dei lavoratori nel settore. “Parliamo in particolare di dipendenti con ruoli dirigenziali o impiegatizi, non rider”, precisa Aloisi. Le compagnie hanno messo in piedi un do ut des che riguardava non solo le informazioni su prezzi, capacità aziendali e costi, ma anche dati sulle strategie commerciali, allineando così le politiche aziendali. Infine si sono spartite la torta di mercato senza pestarsi i piedi, coordinando l’ingresso del servizio di delivery in nuove aree geografiche. Quest’ultima può aver condizionato anche il lavoro dei rider. Dice Aloisi: “il cartello implicava che una sola piattaforma operasse in certi Paesi/zone. Il che può aver significato che, con un solo operatore in città, i rider non avessero alternative, perdessero potere negoziale e potenzialmente vedessero compensi e condizioni peggiori rispetto a uno scenario di concorrenza”.
E, tenuto conto che la Commissione esplicita chiaramente la possibilità a chiunque di “richiedere il risarcimento nei tribunali nazionali” in quanto “una decisione della Commissione rappresenta una prova vincolante della condotta illecite”, anche i fattorini potrebbero attivarsi. Come chiarisce Aloisi, “con un unico datore di lavoro disponibile, quel rider non poteva “cambiare piattaforma” per ottenere condizioni migliori. Se si dimostra che i compensi o le condizioni dei rider in quella situazione sono stati più sfavorevoli rispetto a un mercato contendibile, anche i rider (tramite le loro associazioni o sindacati) potrebbero avanzare richieste di risarcimento”.
Sanzioni che incidono sui bilanci delle aziende
Con questa sanzione, comunque, da ora in poi le regole del gioco cambiano dice Aloisi: “L’eliminazione di queste pratiche dovrebbe giovare al mercato: in assenza di accordi occulti, le aziende dovranno competere sul serio. In altri termini, invece di “adagiarsi” su un patto di non concorrenza, le piattaforme saranno spinte a investire in nuove soluzioni per guadagnare o difendere quote di mercato”. Aspettiamo di vedere in che modo le multinazionali del delivery si reinventeranno. Anche perché, guardando agli utili annuali prodotti dalle più famose aziende di delivery, non c’è trippa per gatti come ci si aspetterebbe. E sanzioni simili peserebbero non poco sui loro bilanci.