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Quando il “green” fa male all’ambiente

Quando il “green” fa male all’ambiente
Pellet, diritti di emissione, bioetanolo, stop non pianificato all’atomo: ecco i “paradossi verdi”, quando le strategie ambientali si rivelano controproducenti


Non tutti i beni vengono per giovare. È vero, questo proverbio non esiste. È semplicemente il contrario di «non tutti i mali vengono per nuocere» ma, piaccia o no, è altrettanto valido. Basta vedere la lettera recentemente inviata da un gruppo di scienziati americani alla Commissione Europea. «Apprezziamo gli sforzi fatti dalla Ue con la sua Direttiva sulle energie rinnovabili – scrivono – ma il fatto che questa includa le biomasse lignee fra le risorse energetiche a impatto zero, ha creato una forte domanda di biomassa negli Stati Uniti sud-orientali che sta mettendo a seriamente rischio la biodiversità».

Qualche anno fa, Hans-Werner Sinn ha coniato un altro modo di dire: quando una politica climatica produce anche un aumento del riscaldamento globale – ovvero l’opposto del desiderato – siamo di fronte a un «paradosso verde». L’economista tedesco si riferiva in realtà al caso particolare dei proprietari di fonti energetiche fossili come petrolio o carbone, che possono venire incoraggiati dalle normative sul clima a estrarre ancora più rapidamente le risorse dal sottosuolo, di fatto contribuendo ad aumentare le emissioni.
Allargando un po’ il campo però, di paradossi verdi ce ne sono molti altri. Il più celebre è quel a Bruxelles è stato battezzato carbon leakage, la «fuoriuscita di carbonio»: siccome emettere anidride carbonica in uno stabilimento europeo può essere costoso (alcuni settori industriali devono comprare sul mercato i diritti di emissione, teoricamente per incoraggiare l’adozione di fonti rinnovabili), l’imprenditore può decidere di trasferire gli impianti in un altro Paese dove inquinare non costa nulla. Vantaggi per il clima, zero.
Ma che dire del bioetanolo, già sbandierato da George W. Bush come fulgido esempio di soluzione climatica? Gli Stati Uniti hanno offerto sussidi agli agricoltori e imposto di miscelare la benzina con una percentuale di etanolo prodotto dal mais. Con il risultato che i prezzi di generi alimentari sono saliti, e l’impatto sui gas-serra non c’è stato, mentre i consumi di benzina sono oggi a livelli record. Se nel 2000 anche il suo rivale Al Gore sosteneva la bontà del bioetanolo, oggi tutti i gruppi ambientalisti sono contrarissimi. Era etanolo il 10% dei 540 miliardi di litri di benzina consumati dagli americani nel 2015. Peccato che, secondo un recente studio dell’Università del Wisconsin, i sette milioni di acri convertiti in coltivazioni per l’etanolo abbiano prodotto un aumento delle emissioni equivalente a 20 milioni di automobili in più.
Fra le conseguenze involontarie delle politiche energetiche, può rientrare anche il caso tedesco. Nessuno ha investito in energie rinnovabili con la pervicacia della Germania, che siede oggi su un patrimonio solare e eolico di tutto rispetto. Tuttavia, dopo che sull’onda emotiva di Fukushima ha voltato le spalle al nucleare, si è trovata costretta a bruciare un po’ di più del suo carbone (che è lignite, il peggiore). Così le emissioni hanno ricominciato a salire. È anche il caso del Giappone che, ferito dall’ennesimo disastro nucleare, importa risorse fossili come se piovesse.
In un rapporto intitolato «Le conseguenze involontarie delle politiche climatiche», il celebre contestatore del climate change Andrew Montford elenca i paradossi prodotti dal processo di decarbonizzazione (la transizione dai fossili alle rinnovabili), concludendo che è meglio lasciar perdere. Il documento è stato pubblicato da The Global Warming Policy Foundation, la quale promuove il disaccordo sulle misure per salvare il pianeta dal riscaldamento atmosferico. Il vero problema sta nel criticare il «bene» di questa gigantesca transizione energetica, piuttosto che il «male» di un drastico cambiamento del mondo così come lo conosciamo: secondo uno studio appena pubblicato da University of East Anglia e Wwf, dalle aree biologiche più diverse del pianeta potrebbero sparire a fine secolo il 50% delle specie animali e vegetali.
Sarebbe assurdo dire che le politiche climatiche siano inutili o, peggio, dannose. Semmai, i paradossi verdi servono a ricordarci che il cammino verso la decarbonizzazione è lungo, accidentato e lastricato di imprevisti. Ecco perché va programmato con attenzione, continuamente rivisto e percorso il più velocemente possibile.