Se la crisi costringe le imprese a prendersi (davvero) le loro responsabilità sociali: il caso Adidas
Henrik Müller è un economista e professore di giornalismo economico al Politecnico di Dortmund, in Germania. In un commento sullo Spiegel torna sul caso Adidas per occuparsi di un tema di cui avevamo già parlato nelle scorse settimane. E cioè di come la crisi del coronavirus abbia portato a mettere rapidamente in discussione alcuni assunti del capitalismo che finora davamo per scontati (e consideravamo imprescindibili).
Adidas e gli affitti dei negozi
Adidas nelle settimane scorse aveva annunciato di voler sospendere il pagamento dell’affitto dei locali dei suoi negozi chiusi per l’emergenza. Una scelta possibile fino al 30 giugno in base alla legge anticrisi varata dal governo della Germania. Ma la multinazionale Adidas è una delle aziende più floride del Paese, con ampie riserve di liquidità, ed era stata immediatamente criticata perché si approfittava di misure pensate per imprese in difficoltà. Tanto che ha ritirato la sua decisione e si è scusata pubblicamente.
La responsabilità sociale delle imprese
«Non è passato molto tempo da quando il fatto che le aziende si concentrassero principalmente sui numeri non causava scalpore – scrive Müller -. Aumentare i profitti, tagliare i costi, riacquistare le azioni e pagare i dividendi ordinari era considerato intelligente. Ora le aziende dovranno, una dopo l’altra, ridurre i trasferimenti agli azionisti. Tali flussi di cassa in uscita sono considerati inaccettabili quando la comunità dei contribuenti interviene per salvare imprese e intere economie. Gli stipendi dei manager eccessivamente generosi e i forti differenziali retributivi sono sempre più spesso presi di mira, soprattutto nelle aziende per cui lo Stato interviene quando le cose si fanno difficili. Le decisioni del management non vengono più valutate solo sulla base del loro impatto sul conto economico, ma anche della loro responsabilità sociale».
Pubbliche relazioni
Müller ricorda che una cosa simile è successa anche dopo la crisi del 2008, quando improvvisamente si è iniziato a usare il termine Corporate Social Responsibility. In quegli anni l’amministratore delegato di una delle più grandi società quotate, che aveva appena ricevuto un premio per la responsabilità sociale, gli disse «che il certificato era appeso negli uffici del dipartimento per le pubbliche relazioni. Il messaggio era chiaro: la responsabilità sociale d’impresa serviva a vendere meglio le aziende. Per il resto, si trattava di soddisfare gli standard del mercato capitalista».
La prova di responsabilità
Più che reale senso di responsabilità era opportunismo ipocrita. Sembra moltissimo tempo fa, nota Müller. Ora moltissime persone si chiedono se l’economia di mercato sia ancora al servizio dei cittadini. Di diverso c’è un fatto non da poco: per contenere l’epidemia i governi hanno fatto appello ai cittadini. Hanno chiesto loro una grandissima prova di responsabilità, in uno stravolgimento senza precedenti della loro vita quotidiana, che costa soldi e risorse e li mette a dura prova. Alcune persone stanno perdendo tutto. Difficilmente possono accettare che un’azienda ne approfitti per mantenere alti i dividendi, o gli stipendi della sua classe dirigente che finora ha potuto accumulare molto più di quanto gli serve per vivere, quando per altri è in gioco la sopravvivenza.