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La mappa pubblicata dall’Osservatorio Vox descrive un paese incattivito, leggermente meno omofobo ma più razzista e antisemita. E la responsabilità, nel bene o nel male, è della politica


L’Italia sul web odia di più e con un linguaggio più estremo, esasperato dalla politica per fini elettorali, ma le leggi influiscono positivamente sulle pratiche dell’intolleranza online. Questo, in sintesi, il quadro offerto dalla quarta edizione della Mappa dell’Intolleranza, il rapporto annuale elaborato da Voxl’Osservatorio italiano dei diritti, in collaborazione con l’università Statale di Milano, la Sapienza di Roma, l’università di Bari e il dipartimento di sociologia dell’università Cattolica di Milano.
Il progetto, modellato sull’esempio della Hate Map della Humboldt State University of California, è andato avanti per 4 mesi e ha riguardato una produzione di oltre 200mila tweet, con l’obiettivo di isolare le principali categorie oggetto di discorsi d’odio e mappare le città maggiormente sensibili all’esasperazione del dibattito sui social network, così da creare uno strumento potenzialmente utile alle amministrazioni locali. Ci sono delle buone e delle cattive notizie, ma il punto di partenza è quello comune a molte analisi di questo tipo: l’Italia del 2019 è un paese più spaventato e incattivito.

Il peso della politica

Le (poche) buone notizie, innanzitutto: delle sei categorie di hate speech prese in considerazione dai curatori, una mostra i segnali di un leggero miglioramento. Si tratta dell’omotransfobia, un fenomeno che nell’ultimo anno ha riguardato 187 casi denunciati – e dunque un numero ben lontano dalla stima reale – in Italia e che i ricercatori hanno riscontrato in circa 7800 messaggi dei quasi 12mila riferiti alla comunità Lgbt+.
Secondo gli autori della mappa, le ragioni della flessione sarebbero riconducibili alla legge Cirinnà e all’influenza che la sua approvazione ha generato nel dibattito pubblico, una conseguenza diretta della buona politica che però fa il paio con gli effetti negativi di discorsi contrari alle unioni civili. “Le persone omosessuali sono le meno colpite dall’intolleranza via Twitter”, spiega l’Osservatorio Vox, “ma l’odio cresce quando scoppiano polemiche sulle famiglie arcobaleno e in occasione di appuntamenti controversi come il Congresso sulla Famiglia di Verona”. Il picco dei messaggi d’odio sul tema si registra infatti nella giornata del 23 marzo, nei giorni caldi delle polemiche sulla partecipazione del leader della Lega Matteo Salvini al Congresso di Verona.

La politica ha dunque il potere di agire sulla percezione di un tema – e indirettamente sulla vita delle minoranze – non solo con l’attività legislativa, ma anche e soprattutto con l’impostazione dell’agenda e con dichiarazioni pubbliche. Non a caso in cima alla classifica dell’odio online si piazza la xenofobia, con quasi un terzo dei messaggi d’odio complessivi e un’impennata del 15% rispetto al 2018, cui va a sommarsi l’ulteriore 15%dei tweet islamofobici (+7% rispetto al 2018). In entrambi i casi, tra le città più intolleranti spicca Milano, ma i messaggi che associano l’Islam al terrorismo sono particolarmente concentrati anche a Bologna, Torino e Venezia.

Le altre categorie sensibili

Anche quest’anno la lista delle categorie più odiate contiene le donne. Rispetto al 2018, la misoginia è in aumento dell’1,8% e si rileva tanto al nord quanto al sud, con Milano e Napoli capitali dell’intolleranza di genere. Nell’anno che ha prodotto un caso di femminicidio ogni 72 ore, la violenza verbale sui social network si è scatenata prevalentemente in concomitanza con i principali fatti di cronaca, ma tra i picchi ritroviamo anche le giornate tra il 20 e il 25 marzo, che gli autori della mappa riconducono al dibattito provocato dalle dichiarazioni di Matteo Salvini sull’utero in affitto.
Cresce anche l’odio nei confronti delle persone affette da disabilità – 17mila tweet, l’11% del totale – ma a preoccupare maggiormente è l’esplosione dell’antisemitismo, pressoché assente nelle scorse rilevazioni e che oggi si concentra soprattutto a Roma. Dei 20mila tweet estratti, il 76% ha un contenuto negativo che di nutre spesso e volentieri di stereotipi e fake newsTra i picchi l’osservatorio Vox registra quello del 27 marzo 2019, il giorno del tweet in cui Giorgia Meloni definì George Soros “un usuraio

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