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I giornalisti dei sei Paesi in cui Facebook ha avviato il test per creare due bacheche separate hanno criticato l’esperimento definendolo “orwelliano”


L’hanno definita un’operazione di orwelliana memoria, un tentativo di distruggere fragili democrazie in Paesi in bilico e una vera e propria catastrofe per i piccoli giornali o le iniziative editoriali indipendenti. I giornalisti dei sei Paesi in cui Facebook ha avviato il suo ultimo esperimento (Sri Lanka, Guatemala, Bolivia, Cambogia, Serbia e Slovacchia) non hanno risparmiato le critiche: la decisione di creare due News Feed separate, una dedicata soprattutto ai post degli amici e alle pagine sponsorizzate, e un’altra, ‘Esplora’, dedicata ai contenuti non sponsorizzati e alle pagine da scoprire, non è piaciuta a molti, in quanto ridurrebbe la possibilità da parte delle pagine che non riescono a pagare e a sponsorizzarsi di raggiungere un’ampia fetta di lettori.
La creazione delle due bacheche separate obbliga gli utenti a preferire l’uno o l’altro spazio e di certo lascia loro meno tempo per consultarli entrambi, con conseguente danno inferto ai giornali che poggiano le proprie basi proprio sull’interazione con gli utenti. Avviato il 19 ottobre, il test è ancora in atto e sembra che abbia avuto già delle ripercussioni: molti dei media principali dei Paesi coinvolti hanno visto diminuire drasticamente il traffico sulle loro pagine, dal giorno alla notte.


Ma perché sono stati scelti proprio questi sei Paesi per condurre l’esperimento? Si tratta di nazioni piccole, non molto sviluppate, che non hanno un grande impatto nel tornaconto di Facebook. Eppure è proprio in questi Paesi che i media indipendenti riescono a pubblicare le proprie notizie e a raggiungere un gran numero di persone. La creatura di Mark Zuckerberg è quindi vitale per lo sviluppo di una nuova democrazia in queste zone. Ma sembra, con il test in corso, che stia facendo un passo indietro.
Calcolando il ruolo di Facebook nelle campagne politiche, nella condivisione di notizie, nel gestire il rapporto tra utente e mondo, uno stravolgimento tale delle bacheche crea forti preoccupazioni. “Sono preoccupata per l’impatto che Facebook può avere sulla democrazia – ha affermato al Guardian Dina Fernandez, giornalista e membro del team editoriale di un sito di emergente di news del Guatemala, Soy502 -. Una sola compagnia che ha un tale, gigantesco controllo sul flusso di informazioni in tutto il mondo. Solo questo può bastare per spaventarci. È qualcosa di assolutamente orwelliano”.


In pochi giorni, dall’inizio del test, gli accessi alle pagine dei media sono crollati. “Lo strumento ‘Esplora’ di Facebook ci ha tolto il 66% del traffico. L’ha distrutto, anni di duro lavoro sono volati via così. È stata una catastrofe e sono davvero preoccupata”, ha aggiunto la Fernandez. Anche in Slovacchia l’avvio del test ha avuto serie conseguenze. Un sito di analisi dei dati chiamato CrowdTangle mostra che l’engagement, ovvero lo scambio di like, post e commenti, di alcune delle maggiori pagine di media del Paese è diminuito del 60% da un momento all’altro. E la situazione starebbe peggiorando a vista d’occhio: stando a quanto riportato da un giornalista slovacco, Filip Struhárik, al Guardian, ci sarebbe stato un ulteriore calo del 5%.
Ma ad essere penalizzati dall’esperimento di Facebook sarebbero soprattutto i piccoli giornali, le pubblicazioni di editori modesti o le iniziative dei cittadini e delle ONG. Ne è convinto Struhárik: “Queste realtà ‘a margine’ non riescono a pagare il social network per una distribuzione maggiore o per ‘pompare’ dei post. Non hanno le infrastrutture giuste per raggiungere gli utenti”.


Chi si salverà dalla catastrofe, dunque? Struhárik è ottimista e crede che la testata per la quale lavora, Denník N, non chiuderà i battenti perché poggia la maggior parte del suo essere sui proventi degli abbonamenti e non ha quindi bisogno di Facebook per andare avanti. Ma non è così per tutti. La giornalista Fernandez, ad esempio, è certa che il danno ormai sia stato fatto: “Davvero, non so quanto ci vorrà prima che ci riprenderemo. Se torneranno indietro subito, forse ci salveremo. Ma se ci impiegheranno troppo, non saremo più qui”. La popolarità di Soy502 si basa infatti tutta su Facebook e sull’interazione degli utenti che accedono alle news tramite il social network.
Un utente in cerca di informazioni dovrà quindi cliccare sulla sezione “Esplora” e farsi largo in un mare fatto non soltanto di notizie. Di cosa si riempie quello spazio? Stando a quanto osservato dalla giornalista Fernandex, le news sono sommerse da centinaia di post “spazzatura”, come clip di reality TV o wrestling. Non è quindi facile trovarle e cliccarle. “La mia timeline – ha spiegato – mi mostra davvero pochissime notizie locali”.


A tranquillizzare gli editori allarmati da tali scenari è stato Adam Mosseri, capo della sezione News Feed di Facebook, il quale ha smentito che una sezione sia dedicata interamente ai post a pagamento: il social network non avrebbe alcuna intenzione di chiedere agli editori di pagare per sponsorizzarsi né avrebbe in programma di oscurarli. Non ci sarebbe, inoltre, alcun progetto di “esportazione” dell’esperimento in altre zone del mondo. Se il messaggio è bastato a rasserenare alcuni, di certo non è stato abbastanza convincente per i tanti giornalisti dei sei Paesi che stanno affrontando, realmente e sulla propria pelle, il cambiamento.

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