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Ci è voluta l’emergenza per rendere inutili anni di discussioni e convegni

E all’improvviso si sono scoperti tutti fenomeni.

Uno dei temi più dibattuti nella teoria e con la minore efficacia nel concreto, è quello dello smart working.  Solo negli ultimi quattro anni, i risultati di ricerca riguardo articoli auto prodotti, convegni e chiacchierate organizzate a vario titolo dalle Botteghe di Categoria sono circa 180.000!

È bastata una settimana di emergenza per derubricare tutta questa iper produzione antologica a un mero “chiacchiericcio condominiale” dove la retorica del centralismo della Persona – bellissima metafora in uso nelle riunioni e sulle pareti dei corridoi – è venuta totalmente a mancare in questo matrimonio felice fra sindacalisti e direttori del personale che ha raggiunto le nozze d’oro in sterili dibattiti e attività di relazioni industriali talmente efficaci da conseguire, nella punta del massimo virtuosismo, alla mediazione di  3,5 giornate di smart working al mese.

Il folle dominio del controllo

Nella lista delle sconfitte, c’è la responsabilità comune nel tentativo di presidiare il proprio giardinetto, di aver letteralmente bloccato per anni la possibilità di crescita della cultura dello smart working raccontandosi che il vero ostacolo alla crescita delle organizzazioni sono “i capi che vogliono controllare i dipendenti”. Che, seppur in parte vero, ci stiamo dimenticando totalmente che quei capi fra 5 anni saranno in pensione e al loro posto comparirà un management di generazioni a cui non interessa né stare in ufficio, né controllare chicchessia.

Ma si sa, il dinosauro parla ai dinosauri e soprattutto è convinto che i dinosauri non si estingueranno mai.

Parlando con alcuni amici sindacalisti (ma ho anche amici nelle direzioni del personale, nonostante tutto), alcuni di loro ricordano – fra gli accordi di smart working più visionari in Italia – quello proposto (a memoria) dalla allora Omnitel in tempi in cui ancora vigeva il CCNL della metalmeccanica (poi convertito in CCNL delle TLC). La direzione del personale di allora per alcuni aveva mangiato pesante ed aveva immaginato spazi senza scrivanie personali, spazi comuni e autocertificazione delle presenze. Indovinate chi furono i principali oppositori della proposta? Sindacati, colleghi HR e intellettuali. Gli stessi che oggi predicano l’open organization sui giornali di management.

Tutta l’epica creata ad hoc in questi anni è stata bruciata nel giro di 24 ore. Sui social e sui giornali, più del virus (e delle penne lisce abbandonate sugli scaffali dei supermercati letteralmente depredati) la parte del leone l’hanno fatta i lavoratori da casa.

Startupper, CEO di se stessi ed altri animali mitologici

Migliaia i post di “imprenditori” le cui “aziende” non risultavano minimamente scalfite dall’emergenza, perché “noi” lo smart working lo facciamo da sempre. Apri il profilo Linkedin del personaggio in questione e scopri essere il titolare di un’azienda di massimo 12 persone, abitante di coworking alla moda, i cui dipendenti lavorano prevalentemente da casa perché di fatto l’ufficio è poco più che un indirizzo formale a cui recapitare la posta. Bocciati.

I maestrini dalla penna rossa

La categoria degli HR si è espressa dopo 24 ore, con un comunicato stampa in cui si invitavano tutti gli appartenenti alla categoria a dimostrare senso di responsabilità ed approfittare della splendida opportunità per attivare pratiche virtuose di home office. Come sempre in ritardo sulla tabella di marcia.

Dall’associazione di categoria più coinvolta nell’argomento mi sarei aspettato contenuti decisamente diversi anziché inserirsi nel flusso comunicativo su pratiche che ormai tutti avevano già adottato più o meno gioco forza.

Nel goffo tentativo di mantenere il presidio sull’argomento, quando è arrivato il momento in cui bisognava farsi trovare preparati e col rodaggio terminato, non solo in Italia abbiamo scoperto che parlare di smart working era addirittura una “notizia”, ma ancora una volta le Risorse Umane sono state considerate come l’ufficio amministrativo per la realizzazione di un comunicato scritto in bella copia su carta lucida. Difficile pensare d’ora in poi che, se nelle aziende cambierà qualcosa nella cultura di approccio al lavoro, questo cambiamento si possa afferire alle Categoria di Riferimento.

Ormai il coronavirus ha preso la paternità del cambiamento più importante e senza nemmeno la necessità di trovare lo sponsor che paghi il buffet per l’ennesimo convegno.

Quelli che ci credevano e finalmente lo hanno potuto fare

Naturalmente la crisi è stata l’opportunità per coloro che al lavoro da casa ci credono da sempre, per dimostrarne efficacia e modernità in tempo di benessere dei dipendenti, inquinamento, sostenibilità ambientale e tutto ciò che è fin troppo banale ripetere qui e che avremo letto chissà quante volte in questi giorni.

Ho dunque lanciato una richiesta di informazioni al mio network su Linkedin, chiedendo come le aziende si stessero organizzando in queste ore. Dalle decine di risposte pervenute ho avuto modo di farmi un’idea generale del contesto, del momento storico in cui il tema sta vivendo in termini culturali, ma anche di quanti pochi abbiamo affrontato in maniera davvero visionaria, l’argomento.

Fra le risposte più immediate alla crisi, laddove alcune aziende si sono fatte trovare mediamente già preparate, ho riscontrato delle buone pratiche che andassero un pò più in là rispetto alle indicazioni generiche (fra queste: Dedagroup, Deloitte, BlogMeter, Schneider Electric).

Qualcuno, come Deloitte, ha preferito tenere la maglia del business socchiusa. Unitamente alle precauzioni e all’invito ad operare da casa senza limiti, blocco delle trasferte internazionali; laddove il cliente richiedesse la presenza, e nel rispetto delle singole policy, vale il libero arbitrio del consulente.

Hanno brillato per lungimiranza, facendo qualcosa di diverso da tutti gli altri, coloro che si sono presi a cuore la situazione di chi, con la chiusura delle scuole, si è trovato a dover gestire i figli in mancanza di altri supporti familiari. È il caso di Best Western e SI Hotels che hanno previsto una riduzione del computo delle ferie del 50%. Notevole anche l’organizzazione di Heinemann, colosso del retail aeroportuale che riesce a gestire la crisi da chiusura scolastica garantendo tuttavia le aperture dei negozi.

Abbattere i limiti mensili. Allora si può fare!

Interessante il caso di Bebit, agenzia di comunicazione torinese che, oltre ad aver abbattuto il limite settimanale dello smart working, ha fatto recapitare a casa dei propri dipendenti tutto il necessario per continuare a lavorare. Anche il Gruppo Acolad con sede a Bologna, leader nelle traduzioni in tutto il mondo e che opera in 14 paesi con una community di oltre 14.000 traduttori professionisti, ha abbattuto i limiti settimanali e inserito la gestione della crisi nella policy di qualità. Stesso vale per Credem, gruppo bancario emiliano fra i pochi ad avere già un utilizzo dello smart working quasi del doppio rispetto alla media.

Sempre in area emiliana, questa volta moda (Woolrich) e finanza (Crif) hanno adottato insieme alle misure precauzionali standard, anche la sospensione dei corsi di formazione.

Cosa per niente scontata considerando che Randstad, primaria agenzia per il lavoro, il giorno dopo il primo allarme ha mantenuto i corsi di formazione previsti su Milano nonostante il blocco comunale cautelativo. Attraverso la voce dell’ufficio del personale è stato inviato un messaggio a tutti i collaboratori interni, in cui oltre ad insegnare come lavarsi le mani si invitavano “coloro che provenivano da zona rossa di valutare arbitrariamente con il proprio responsabile l’ipotesi di stare a casa o andare in ufficio”. A fronte di molte lamentele interne dal personale (soprattutto femminile che rappresenta in azienda oltre il 70% dei dipendenti), a cui è stato negato lo smart working con la scusa che non tutti hanno i pc aziendali (seppure sembra che l’azienda abbia basato tutti i processi sulla Suite di Google), nel pomeriggio di lunedi 24 febbraio arrivava un contrordine e finalmente anche l’indicazione di bloccare le trasferte e lo stop di tutte le attività formative.

Ma il mondo dell’interinale sembra doversi battere con problemi ancor più gravi del virus se è vero che moltissime aziende Lombarde e Venete al di fuori delle zone rosse hanno iniziato a richiedere il fermo di lavoratori a tempo e addirittura di far assorbire i costi alle stesse agenzie per il lavoro. Curioso che la richiesta provenga proprio da quei territori le cui aziende si lamentano costantemente con i giornali di non trovare lavoratori.

Vi assicuro che mancano i computer

A proposito di computer, da una primaria multinazionale di assicurazioni arriva la segnalazione che, in mancanza di qualsiasi comunicazione a supporto dello smart working e in considerazione soprattutto dei fermi scolastici, i dipendenti hanno sollevato una vera e propria mozione. Solo martedì 25 febbraio è stato risposto loro che “sono finiti i computer a causa del coronavirus” invitandoli a lavorare con lo smartphone, salvo poi intorno alle 16.00 chiamare i dipendenti uno ad uno per chiedere di “procurarsi un pc poiché sono finite le scorte”. Ma siamo certi che questi sono solo pettegolezzi.

Risorse Umane non vi conosco

Il caso di Selle Royal è interessante ancora di più poiché in azienda, nonostante la struttura numericamente importante, non esiste un direttore del personale. La situazione di crisi è stata svolta in collaborazione fra le varie business unit

Naturalmente non sono mancati i casi di chi almeno nelle prime 48 ore della gestione della crisi non ha ritenuto necessario dare alcuna informazione. Fra questi, addirittura la Regione Veneto a detta di uno dei suoi dipendenti.

Cosa ci insegna il coronavirus?

Il primo insegnamento è che quando si affrontano temi concreti (l’emergenza), si stana la fuffa. La “digital transformation” e l’”innovazione” spalmata a fiumi nelle slide e nei filmini aziendali ha dimostrato di essere fragile come pancarrè alla prova del burro freddo. Non solo alcune aziende non sono pronte a sostituire brutte usanze analogiche con buone pratiche digitali, ma molte non hanno nemmeno la strumentazione minima per farlo. Per non parlare della cultura.

Ci siamo nascosti dietro alle borraccette di alluminio quando è evidente che la sostenibilità ambientale è un’altra cosa. In questi giorni a Milano si respira aria di montagna. Abbiamo davvero bisogno di tirare fuori l’auto dal garage, costruire grattacieli per contenere umani in scatola e leggere post di gente incazzata con Trenitalia tutte le mattine?

Quando si parla troppo di un tema è perché così si giustifica meglio il tempo che si impiegherebbe per realizzarlo. Ricordatevi tutte le polemiche sorte intorno al divieto di fumo nei cinema: sembrava che l’industria del tabacco, Hollywood, Cinecittà, la Kodak e Poltrona Frau sarebbero fallite miseramente. È fallita solo la Kodak e proprio perché non ha voluto cambiare.

Il peggior nemico al cambiamento è il filo spinato: voler presidiare un argomento come se fosse di proprietà e non permettere ad altri di metterci piede facendo sentire tutti ospiti tenuti a seguire regole incomprensibili, è un errore che alla lunga risulta fatale. Quando arriva il momento in cui il contesto fa saltare le regole, si potrebbe scoprire che è possibile migliorare anche senza il tuo intervento e a quel punto non solo non sei più rilevante, ma diventi addirittura superfluo. E in breve, esci dal gioco.

È scientifico: 8 persone su 10 detestano i propri colleghi (ma è anche vero che 8 su 10 flirtano con i propri colleghi e allora si comprende anche meglio tutta questa smania da scrivania!). Solo “i capi” sono convinti di lavorare con team straordinari e affiatatissimi a cui erogano annualmente un team building nel bosco o in barca a vela garantendosi democraticamente l’odio di tutta l’azienda.

Una prova concreta? Chiedete ai vostri collaboratori quanti di questi hanno cenato o hanno passato del tempo insieme con le rispettive famiglie una sola volta nell’ultimo mese.

Capovolgere i criteri di smart working passando da un giorno alla settimana a 3 giorni alla settimana non solo renderebbe le relazioni con i colleghi più qualitative, ma eviterebbe di trasformare quel giorno di libertà condizionata come il ponte per un weekend più lungo o un giorno di ferie extra.

Chi davvero pensa che lo smart working renda le Persone asociali o che si perda familiarità con i propri colleghi, è qualcuno che ha semplicemente bisogno di affetto. Suggerirei un cane da compagnia: grazie a Bobi farà tantissime amicizie al parco e magari trova l’anima gemella a cui raccontare nell’intimità quanto si stava bene quando si organizzavano convegni.

Cosa è successo dopo la prima settimana di emergenza

Era inevitabile che questo articolo attraesse altre testimonianze e qualche whistleblower.

FCA, Datalogic, Mettler_Toledo e GD fra i ripetenti

E così veniamo a sapere che ancora in data 1 marzo FCA non abbia concesso lo smart working ai propri dipendenti. Il nostro testimone ci riferisce che FCA quasi tre anni fa ha cominciato una fase di sperimentazione limitata ad un giorno alla settimana per i livelli più alti, da management a capi ufficio, di un solo settore. La fase fu stabilita di 6 mesi poi estesa ad un anno, dopo la quale, in caso di risultati positivi, lo smart working avrebbe dovuto essere esteso a tutti i dipendenti. Dopo quasi tre anni e ripetuti appelli, la fase di sperimentazione continua, nonostante tutti siano dotati di pc personale. La motivazione addotta dall’azienda per l’attuale blocco della concessione del telelavoro è l’impossibilità di dotare tutti i dipendenti di un cellulare aziendale. I dipendenti si sono detti disponibili a sostenere questa spesa individualmente se necessario, nonostante l’azienda sia dotata di un dispositivo digitale di comunicazione inserito nel pc che consente di essere collegati in tempo reale attraverso messaggi, videochiamate e videoconferenze.

In questa situazione, dipendenti e sindacati hanno colto l’occasione per richiedere di attivare l’attesa implementazione del telelavoro, per motivi di sicurezza sanitaria e per andare incontro alle esigenze dei genitori. Non è mai arrivata risposta alcuna, ancora ad oggi, 7 marzo.

Diversa la situazione in CNH, azienda del Gruppo, che invece sembra essere decisamente più avanti rispetto alla Casa Madre, sulla base di alcuni documenti che ho avuto la possibilità di consultare nel portare avanti questo reportage.

Lascia allibita anche la notizia che riguarda Datalogic. Nei giorni immediatamente successivi alle prime allerte avevamo ricevuto tante segnalazioni in merito alla negazione da parte della direzione del colosso tecnologico bolognese, di qualsiasi forma di smart working nonostante le pressanti richieste dei dipendenti. A conferma di queste, è stato pubblicato dall’Agenzia Dire nella giornata di ieri 6 marzo, un articolo in cui a distanza di 3 settimane dall’evidenza della situazione critica, ancora la direzione del personale di Datalogic gioca a braccio di ferro con i Sindacati

A denunciarlo sono i delegati assieme a Fiom-Cgil e Fim-Cisl.

Da giorni in azienda si chiede che i dipendenti possano operare con questa modalità invece di prendere le ferie, ma “a nulla sono valse le argomentazioni” di delegati e sindacati che hanno chiesto un incontro sin dalla settimana scorsa, ma Datalogic “pare immune alle esigenze dei propri dipendenti, e a quelle di prevenzione di contagio nell’interesse di tutti, sia che siano genitori di figli con le scuole chiuse, sia che siano titolari di permessi 104 per familiari disabili che potrebbero avere situazioni delicate a casa, sia che siano futuri padri con una gestante in famiglia, eccetera eccetera”.

L’attacco sindacale è duro e frontale: “L’azienda è sorda sia dal punto di vista sindacale che individuale: tante e tanti hanno richiesto individualmente la possibilità di prestazione di lavoro da remoto” per “ragioni di accudimento o di ragionevole prevenzione sanitaria contro la diffusione coronavirus, ma la direzione ha declinato tutti i casi richiesti, salvo coloro certificati come situazioni a rischio immunologico. Corretto, ma è il minimo”.

Ricordiamo che con lo smart working, in quelle aziende dove sono presenti anche le aree di produzione, si potrebbero ridurre notevolmente le file e gli assembramenti per la mensa, che non sono rispettose della minima distanza di sicurezza di un metro istituita in tale frangente dalla sanità pubblica. Eppure Datalogic, così come anche altre aziende fra cui ci risulta – salvo smentite – anche il gruppo GD sempre a Bologna, non solo hanno tenuto le mense aperte, ma in questo caso addirittura la palestra mentre le prime confezioni di disinfettante sono state assicurate ad un cavo di acciaio per evitare che vengano “sottratte” dagli stessi dipendenti. Attendiamo di vedere il posizionamento dell’azienda nella classifica del prossimo Great Place to Work!

L’ultima segnalazione arriva dalla Mettler_Toledo di Milano, la cui direzione del Personale, in seguito alle misure estremente ristrettive del Decreto del 9 marzo, in una prima mail ai dipendenti, comunicava l’adeguamento alle norme della Presidenza del Consiglio interpretandola a proprio uso e consumo:

Gentili Colleghi,

è stato pubblicato nella serata di ieri il Decreto ‘IO RESTO A CASA’, che attiva su tutto il territorio italiano le medesime limitazioni, in merito agli spostamenti, riservata alla Lombardia e a 14 province del Nord e Centro Italia fino al 9 marzo u.s. L’azienda, in conformità a quanto sopra, adegua ed amplia le misure a tutta Italia, con le seguenti modalità. CHIUSURA AZIENDALE Da venerdi 13 marzo fino a venerdi 3 aprile compreso, l’azienda sarà chiusa a partire dalle ore 13. Pertanto, a tutti i dipendenti, sarà caricata automaticamente mezza giornata di ferie;[…] SALES I venditori su tutto il territorio italiano continueranno ad operare presso e con i clienti, utilizzando i DPI (guanti, mascherina, occhiali, salviettine disinfettanti) laddove necessario, facendone richiesta direttamente a …. Laddove non fosse possibile recarsi direttamente presso il cliente, è possibile organizzare un incontro da remoto, utilizzando le istruzioni per la WEBEX ricevute nella giornata di ieri. SERVICE I tecnici ricompresi su tutto il territorio italiano continueranno ad operare presso e con i clienti, utilizzando i DPI (guanti, mascherina, occhiali, salviettine disinfettanti) laddove necessario, facendone richiesta direttamente a … Back Office continuerà ad assegnare interventi tecnici fino a saturazione della capacità tecnica, verificando preventivamente la possibilità di accesso al sito e dando priorità secondo i criteri di urgenza ed importanza. Nel caso in cui non fosse possibile utilizzare la giornata lavorativa completa o parte di essa in attività presso il cliente, i tecnici sono tenuti ad utilizzare ferie/permessi a copertura/compensazione del mancato intervento. […] Certi della vostra collaborazione, vi auguriamo buon lavoro,

Siccome non era abbastanza indecente, si è pensato di fare una decina di passi indietro:

Gentili colleghi,

una precisazione a quanto precedentemente inviato. La CHIUSURA AZIENDALE è prevista SOLTANTO al VENERDI POMERIGGIO, nel periodo compreso tra il 13 marzo al 3 aprile (4 venerdi in totale), in cui verrà applicata mezza giornata di ferie.

Mi spiace per il refuso,

Non trovano collaboratori perchè sono dei “mona”.

Anche dal Nord-Est arrivano pessime notizie. Le comunica proprio il Gazzettino, uno dei giornali veneti in prima linea con gli “imprenditori che non trovano collaboratori perchè sono tutti a casa sul divano ad aspettare il reddito di cittadinanza”, per intenderci.

Poteva mai il Gazzettino non dare voce ad uno degli imprenditori più visionari del territorio?

Vetrya, Ducati e Chiesi Farmaceutici promosse

Se parliamo di tecnologia, ben altra stoffa ha dimostrato il Gruppo Multinazionale Vetrya ad Orvieto, dove già da sabato mattina alle 9 tutti i dipendenti avevano ricevuto una mail allo scopo di fare una mappa della situazione attuale (eventuali soggiorni in Cina o in uno dei comuni interessati in Italia, o contatti con persone che avevano soggiornato in Cina da gennaio) e addirittura un Piano IT con la verifica della situazione attuale e pianificazione per permettere a tutti di lavorare da casa con portatili aziendali o pc personali. Per la sede di Milano permesso immediato a tutti i dipendenti di lavorare in smart working

Anche da Chiesi Farmaceutici di Parma registriamo la testimonianza di uno dei collaboratori:

-Istituzione di un Team multifunzionale dedicato  / condivisione delle informazioni e delle soluzioni adottate sull’emergenza Coronavirus  / smart working automatico per i colleghi che abitano in aree colpite da questa crisi / smart working prolungato anche per i colleghi che abitando in aree vicine alle aree colpite / il personale che dovesse presentare sintomi influenzali di rimanere a casa fino a completa guarigione / l’introduzione di sistemi di controllo della temperatura / Vengono installati dispenser di disinfettanti per le mani in tutti gli ingressi aziendali / limitare i meeting con grande partecipazione (più di 5 partecipanti) preferendo teleconferenze o videoconferenze / Viene data indicazione di limitare meeting che prevedano viaggi o permanenze in strutture alberghiere / limitare viaggi che implichino la frequentazioni di luoghi affollati / L’orario della mensa aziendale viene suddiviso in più turni per evitare il sovraffollamento delle aree / Viene prevista la possibilità di un servizio take away per i colleghi che preferiscano consumare il pranzo presso l’ufficio.

Anche Ducati a Bologna già dal 23 febbraio sono state prese misure precauzionali rigide. Un nostro contatto ci parla di smartworking obbligatorio per chi accusa sintomi influenzali e per chi è stato o è stato a contatto con persone delle zone rosse; smartworking facoltativo ma fortemente consigliato per gli altri. Si sta inoltre valutando come gestire l’ingresso di personale che non può stare in smart (es operai) dalle vicine zone arancio (la provincia di Modena comincia a 15 km da Borgo Panigale, e molti ci abitano)

In Ducati lo smart working è già stato introdotto da circa 8 mesi in molti reparti(mi viene da pensare che sia uno dei successi della nuova direzione del personale insediatasi da poco più di un anno) , ma con il limite di un giorno a settimana e la richiesta preventiva di 48 ore. E fin qui, niente di particolarmente straordinario rispetto alla media delle grandi aziende. Se non altro, l’emergenza è riuscita ad abbattere qualsiasi vincolo temporaneo.

Degna di nota l’istituzione di una task force interna che aggiorna quotidianamente i dipendenti tramite app e email. Per chi entra in azienda, misurazione obbligatoria della temperatura in ingresso. Anche la mensa ha subito un “restyling”: posti distanziati per limitare i contatti e il bar aziendale è chiuso. Inutile dire che le visite alla fabbrica e al museo, fiore all’occhiello dell’azienda di Borgo Panigale, sono sospese. “Misure che all’inizio ai più sembravano severe” – dice il nostro contatto -“ma il tempo ha dato ragione”.

I Riders lasciati a piedi

Niente di nuovo sul fronte Riders. Durante la prima settimana di emergenza sembrava che Deliveroo almeno per una volta avesse abbandonato il consueto cinismo suggerendo ai propri fattorini di restare a casa se fosse stato necessario, mentre il competitor Just Eat offriva 5 euro in più a consegna nella settimana di massima allerta. Ma il rispetto è durato poco e già questa settimana, dalla pagina del Sindacato dei Riders (quello vero, non i sindacati gialli appositamente creati dalle Compagnie di Food Delivery, come testimoniato da una recente puntata di Report) emerge ancora una volta il pessimo comportamento dell’azienda nei confronti dei propri non-dipendenti.

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