Dove falliscono gli investimenti ESG
Nota: questo articolo – predisposto per uso accademico al fine di sollecitare il dibattito tra gli studenti – è frutto della selezione e sintesi delle riflessioni contenute nel poderoso lavoro di Michael E. Porter, George Serafeim e Mark Kramer, dal titolo “Where ESG fails” (titolari del Copyright) pubblicato sulla rivista Institutional Investor, lavoro tradotto in italiano dalla Dott. sa Giorgia Grandoni. Questa versione in lingua italiana include osservazioni aggiuntive del curatore, nonché una generale semplificazione del testo a fini divulgativi, e una revisione dei titoli dei vari capitoli. Per approfondimenti, si rimanda al lavoro in originale, il cui link appare sopra al titolo.
Premesse
Il lavoro di Porter, Serafeim e Kramer
dal titolo “Where
ESG fails” riflette sulla connessione
– necessaria, e spesso in tutto o in parte assente – tra la performance
economica e l’impatto sociale delle aziende, che – qualora orientato al
profitto – definiamo valore condiviso.
Le opportunità di una maggiore crescita in termini di redditività e vantaggio competitivo derivanti dal inserimento dei problemi sociali e ambientali come parte integrante dei piani strategici di una società, è confermato da una crescente mole di evidenze scientifiche, incluso il celebre lavoro di Robert G. Eccles, Ioannis Ioannou, and George Serafeim, del quale avevo parlato in un mio precedente articolo
Il tema, piuttosto, è in quale framework inserire quest’evidenza, al fine di permettere alle singole aziende di rendicontare con efficacia le loro attività in quanto parti consapevoli di una rete sociale complessa.
Porter, Serafeim e Kramer richiamano come
esempio, in apertura del loro saggio, la
lista Change the World, redatta ogni
anno dalla rivista Fortune, che certifica la posizione delle aziende che stanno
avendo un impatto sociale orientato al
profitto: tuttavia, tra loro, diverse industrie non raggiungono posizioni
alte nelle classifiche ESG (Environmental, Social and Governance), e tanto meno riscontrano al proprio interno presenze
significative di SRI (fondi socialmente responsabili) tra gli investitori, pur
superando di gran lunga i rendimenti medi dell’indice MSCI World (un indice di mercato azionario di 1.612
titoli di livello globale, creato dalla MSCI, ex Morgan Stanley Capital International, e usato come
benchmark per i fondi azionari di tipo globale): la verità è che gli analisti finanziari hanno
sottovalutato in molte occasioni, ripetutamente, la redditività di queste
società.
Ritengo importante per la nostra comunità
tradurre qui di seguito in lingua italiana le approfondite riflessioni dei tre
ricercatori, a beneficio della nostra comunità professionale, aggiungendo
alcune mie riflessioni a completamento dei ragionamenti puntuali dei tre
colleghi.
Un’idea attualmente diffusa ritiene che
le società che hanno posizioni migliori in classifica sulla base di metriche
ESG, otterranno già solo per questo migliori rendimenti per gli azionisti:
questa convinzione è semplicemente errata. Sebbene vi siano prove convincenti
del fatto che la superiorità nell’identificazione e nello sfruttamento di
problemi sociali e ambientali selezionati, rilevanti nel business, possano, nel
tempo, avere un impatto economico sostanziale sulle società e persino su interi
comparti industriali, non c’è mai stata prova inconfutabile che gli screening
socialmente responsabili o le posizioni in classifica su liste come quella
degli indici di sostenibilità Dow Jones garantiscano – di per se – una over-performance
sotto il profilo del ritorno dell’investimento.
In poche parole, le azioni possono
certamente fare la differenza, ma le classifiche in molti casi non rendono
onore a queste potenzialità: aziende in alta posizione in quelle classifiche
non necessariamente garantiscono over-performance agli investimenti, e per contro
aziende che neppure compaiono in quelle classifiche potrebbero invece
garantirli. Questi aspetti richiedono e stimolano, inevitabilmente, ulteriori
riflessioni.
È acclarato che la gran parte dei leader aziendali veda i propri sforzi per la sostenibilità innanzitutto come un modo per migliorare la propria reputazione e attirare consumatori, dipendenti e investitori socialmente consapevoli.
Il problema è che molti analisti
finanziari considerano il posizionamento rispetto ai fattori ESG come un modo per
attirare investitori socialmente responsabili nonché come uno strumento per
ridurre i rischi di reputazione di una società.
Quando gli investitori ignorano le
proprie responsabilità sociali e falliscono nel riconoscere la forte
connessione che esiste tra la strategia aziendale, lo scopo sociale e il ritorno
finanziario, essi mettono implicitamente in discussione il ruolo del capitalismo
come strumento utile per il progresso della società: in un particolare periodo
storico nel quale l’ineguaglianza economica è aumentata e i bisogni sociali
sono più evidenti che mai, ignorare la possibile sinergia tra il successo
aziendale e il progresso sociale incoraggia le critiche e mette a rischio il
futuro stesso del capitalismo.
Il concetto d’investimento a valore
condiviso offre invece un approccio totalmente diverso rispetto alle sole graduatorie
ESG o gli screening SRI, collegando direttamente l’impatto sociale al vantaggio
competitivo delle aziende: tuttavia, la piena comprensione del modo in cui
l’approccio a valore condiviso si distingue dal pensiero convenzionale realativo
alla responsabilità sociale d’impresa, rimane una rarità.
L’evoluzione storica dei modelli a valore condiviso
Le riflessioni degli investitori
sull’impatto sociale delle aziende si sono evolute in maniera sostanziale negli
ultimi decenni, prendendo le mosse dagli screening negativi che inizialmente suggerivano
solo l’eliminazione di alcool, tabacco, gioco d’azzardo ed estrazione di combustibili
fossili dai panieri d’investimento.
Sebbene questo genere d’industrie implichino
sicuramente elevati costi sociali ed ambientali, questi costi non apportano necessariamente
variazioni statisticamente significative alle performance della singola azienda
o ai rendimenti per i suoi azionisti.
All’epoca, esistevano anche
preoccupazioni riguardo al fatto che i manager potessero essere considerati a
rischio di violare i propri obblighi fiduciari, se solo avessero lasciato che i
propri valori personali (riguardanti il possibile impatto negativo del business
sugli altri stakeholder) avessero influenzato le loro decisioni operative; alcuni
investitori hanno ritenuto, addirittura, che le spese in responsabilità sociale
delle imprese potessero rappresentare uno spreco di risorse degli azionisti.
Una ricerca svolta a firma di George
Serafeim e Ioannis Ioannou della London Business School, mostrò che gli
analisti erano storicamente meno propensi a emettere raccomandazioni di
acquisto per quelle società che investivano molto nella sostenibilità, o
peggio, ritenevano che queste società avessero potenzialmente minor valore
rispetto ai concorrenti. Questi pregiudizi sono stati rivisti solo recentemente.
Successivamente, emerse un approccio ESG
connesso in maniera significativa alla considerazione, corretta, che l’impronta
ambientale della società, le sue condizioni di lavoro, e lo stile di governance
del consiglio di amministrazione possano influenzarne i risultati finanziari.
Tuttavia, quest’approccio spinse molte
società ad aumentare l’attenzione su molte questioni differenti, relative ad
esempio alle catene di fornitura, ma senza indagare un’eventuale diretta
correlazione ai conti economici. Questa pressione ha portato in generale
miglioramenti nelle condizioni sociali e ambientali, ma ha anche rafforzato
ulteriormente la convinzione esistente tra gli investitori che, a parte le
efficienze operative prodotte dall’uso ridotto di energia fossile e di risorse
naturali, la redditività generale avrebbe potuto venirne, probabilmente,
pregiudicata.
Gli indici ESG: uno sguardo generale,
avulso dal particolare, che può generare effetti imprevisti
Gli indici ESG, i bilanci di
sostenibilità e le linee guida di reporting, come quelli della Global Reporting
Initiative, sono nel tempo diventati sempre più più rigorosi e dettagliati, e le
società sono state ritenute ancora più strettamente responsabili relativamente
a molti rilevanti impatti sociali; tuttavia, le aziende vengono giudicate nelle
statistiche di sostenibilità attraverso indicatori generali, piuttosto che sul
questioni riguardanti i propri business specifici, in quanto nella maggior
parte dei casi gli indici ESG non sono rilevanti rispetto alla performance di
un business particolare, e tanto meno evidenziano aree dove il business ha
l’impatto maggiore sulla società.
L’impatto ambientale di una banca, per
esempio, non è rilevante per la performance economica della stessa: una
corretta politica di contenimento delle emissioni in atmosfera, otterrebbe un
alto punteggio sugli indici ESG, ma non influenzerebbe significativamente le
emissioni di carbonio globali. Al contrario, l’emissione, da parte della banca,
di prestiti subprime che i clienti non saranno in grado di ripagare, potrebbe
avere devastanti conseguenze sociali e finanziarie, come le cronache di pochi
anni fa hanno dimostrato; nonostante ciò, il reporting ESG ha dato credito alle
banche per la prima questione, e allo stesso tempo ha tralasciato la seconda.
L’adozione diffusa del reporting ESG ha,
come effetto indiretto, l’aver “tranquillizzato” gli investitori e i
consumatori, ma, al contempo, ha distratto le aziende dall’attrezzarsi per
causare un impatto sociale maggiore riguardo alle questioni centrali per i
propri business.
ESG: solo un “corollario” nei processi di
indirizzo degli investimenti?
La ricerca di Serafeim ha mostrato che le
aziende che oggi hanno punteggi migliori nella dimensione ambientale e sociale possono
commerciare i propri prodotti e servizi a un prezzo di vendita maggiore (premium)
rispetto alla concorrenza; tuttavia, se non esaminiamo il collegamento
effettivo tra l’impatto sociale e la redditività, la nostra analisi rimarrà
limitata.
Il Comitato per gli standard di
valutazione della sostenibilità (SASB) ha compiuto passi importanti nella
creazione di standard in cui il collegamento tra l’impatto e la performance
economica è assai chiaro, e la migliorata affidabilità e disponibilità di dati
ESG, insieme a un’ulteriore ricerca, ha permesso al SASB di lavorare insieme ai
rappresentanti di settore al fine di identificare le metriche specifiche che
sono rilevanti per un certo settore.
La
ricerca di Aaron Yoon dell’Università di Northwestern, di Mozaffar Khan di
Causeway Capital e di Serafeim ha dimostrato che quando le società concentrano
i propri sforzi per la sostenibilità innanzitutto sui fattori ambientali e
sociali materiali, superano di gran lunga le prestazioni di mercato, con un’indice
Alpha (un alpha positivo indica che l’investimento ha ottenuto buoni
risultati relativamente al rischio che è stato assunto dall’investitore,
rispetto alle medie di mercato)
che va dal 3% al 6% ogni anno. Questo costituisce una prima
prova solida del fatto che quando i fattori sociali e ambientali sono
considerati da una prospettiva anche commerciale, piuttosto che da una
prospettiva puramente sociale, possono influenzare significativamente i
rendimenti per gli azionisti.
Nonostante questa ricerca e la crescente
accettazione delle graduatorie ESG in generale, non è chiaro il fatto che il
singolo analista ESG in molte grandi compagnie d’investimento non promuove un’analisi
dettagliata del valore strategico della performance sociale di tutte le aziende
in esame.
Più precisamente, il procedimento è il
seguente: molti investitori selezionano potenziali investimenti attraverso
delle analisi puramente finanziarie, che ignorano le questioni sociali, e
quindi usano in conclusione la performance ESG generale della società come
screening finale per la riduzione del rischio.
Dopotutto, persino la decisione presa dai
fondi SRI di evitare combustibili fossili e tabacco si è rivelata un modo per imitare
i rischi connessi a quei business, emersi nel corso dei decenni. Gli
investitori, quindi, ritengono che i punteggi migliori tra tutti gli indicatori
ESG indichino una gestione più prudente e lungimirante. Tuttavia, in questi
processi non c’è spazio per l’analisi dei fattori sociali specifici che influenzano
la struttura industriale, o che potrebbero apportare un vantaggio competitivo a
una specifica società.
In conseguenza a questo approccio, il
beneficio economico delle strategie a valore condiviso così intese, si
manifesta nelle quotazioni azionarie solo dopo lunghi ritardi. Gli investitori segnalano
quindi agli amministratori delegati la diminuzione del rischio potenziale, ma
nel contempo anche la possibilità di una mancanza di pronta ricompensa, di
fatto dissuadendo le società dal perseguire in questa strategia.
I limiti della Materialità: nel migliore dei casi,
un’indicazione utile per un settore, ma non per una specifica azienda
L’analisi di materialità del SASB è un
primo passo importate per andare oltre i punteggi “generici” delle classifiche ESG,
al fine di focalizzarsi su questioni sociali specifiche che apportino effetti
economici significativi in particolari settori.
Tuttavia, persino questa analisi non è all’altezza
di riuscire ad evidenziare la reale connessione tra l’impatto sociale e la
strategia competitiva, e relative opportunità per generare una maggiore
redditività.
Molte delle ragioni operative che il SABS
ha evidenziato come materiali, infatti, sono in realtà generiche per un intero
settore, e non peculiari rispetto al posizionamento competitivo di una certa società.
Questo è, a miei occhi, il limite di questo genere di strumenti: contraddicono
l’approccio “tailor-made” che dovrebbe sempre contraddistinguere il lavoro del
reputation manager.
Le emissioni di gas serra, per esempio,
sono un fattore materiale ESG per ogni azienda di logistica, poiché sono
correlate ai costi relativi all’utilizzo di combustibili fossili, e tutti i
grandi protagonisti della logistica, come FedEx, DHL, e UPS, stanno attuando buone
prassi al fine di ridurre i propri consumi. Questi aggiustamenti migliorano
l’efficienza operazionale nel settore e riducono le emissioni di carbonio, ma è
difficile che siano di per se sinonimo di un vantaggio competitivo sostenibile
per ogni singola azienda. Migliorano sicuramente gli standard del comparto, in
generale, ma – aggiungo – come possono costituire un elemento distintivo per il
singolo operatore, tale da orientare le scelte – ovvero i comportamenti di
acquisto – degli utenti?
In quest’approccio, ciò che viene
ignorata è l’integrazione dei fattori sociali nella strategia competitiva, al
fine di differenziare i prodotti, espandere i mercati, migliorare le risorse
umane e il contesto imprenditoriale locale di un’azienda.
Un’analisi della materialità rivolta alle
metriche ESG, potrebbe casomai aiutare gli investitori a identificare i
ritardatari del settore: data una media, sarebbe a quel punto facile
individuare chi si discosta negativamente da essa. Tuttavia, questo approccio
non è sufficiente a identificare quelle società che stanno realmente innovando
per raggiungere risultati economici a lungo termine superiori.
I fattori materiali ESG, inoltre, possono
essere fuorvianti per gli investitori che non comprendono le differenze tra i
diversi modelli di business. Facciamo un esempio: Walmart e Amazon dipendono
entrambi da sistemi di distribuzione a uso intensivo di carbonio, ma Amazon ha
esternalizzato i costi della distribuzione, della consegna e degli imballaggi,
quindi, il suo impatto ambientale risulta essere molto minore di Walmart,
nonostante l’impatto per l’alto contenuto di carbonio derivante della
spedizione di singoli articoli a singole abitazioni sia enorme.
Al contrario, Walmart ha deciso di
ridurre fortemente l’impatto ambientale del proprio sistema di distribuzione,
integrando nei negozi le spedizioni di grandi volumi, con imballaggi
riprogettati, un fleet management innovativo, e investendo miliardi di dollari
nella riduzione dei costi. In realtà, il modello esternalizzato di Amazon è
molto più vulnerabile alle normative sul carbonio e ai costi del carburante,
nonostante l’impatto ambientale della società risulti essere – apparentemente –
minore.
Quando la “timidezza” nel dichiarare i
benefici economici derivanti dall’inserimento di preoccupazioni etiche e
sociali nella vita d’impresa, viola i principi fondamementali del reputation
management
Persino quando le società compiono
realmente passi avanti nelle questioni sociali materiali, raramente riflettono
– e rendicontano – sui benefici economici che ne derivano.
L’idea che le società dovrebbero
incentrare l’impatto sociale sul miglioramento della propria reputazione, fa sì
che esse siano impazienti di essere viste come società che stanno “facendo la
cosa giusta”, ma paradossalmente – e del tutto incomprensibilmente – esse sono riluttanti
di ammettere che ne traggono anche dei benefici: addirittura, in uno sforzo che
non fa che evidenziare scarsa autenticità, violando così uno dei pilastri del
reputation management, le aziende nascondono effettivamente agli investitori
quelli che sono i benefici economici conseguiti, il che non fa che aumentare
l’ignoranza degli investitori riguardo l’importanza assunta dall’innovazione
sociale come fonte di potenziale maggiore valore economico.
Nestle, per esempio, da più di un
decennio ha riportato riduzioni significative nelle quantità di zucchero, sale
e grassi presenti nella propria gamma di prodotti, ma solo nel 2018, per la
prima volta, ha ammesso pubblicamente che questi prodotti più sani hanno avuto
un tasso di crescita più veloce e margini di profitto più alti rispetto
all’offerta tradizionale.
Il valore economico dell’impatto sociale
non viene neanche trattato nelle conferenze degli analisti: persino
l’Integrated Reporting Movement, che ha incoraggiato le aziende a consolidare
la performance sociale e finanziaria in un singolo report annuale, raramente si
è concentrato su quei fattori sociali che apportano reali vantaggi competitivi.
SAP, fornitore globale di software
gestionali, produce i report più sofisticati e integrati sul mercato, documentando
la relazione esistente tra l’impatto sociale e i rendimenti finanziari. La
società ha condotto un’analisi di regressione per mettere in correlazione i
fattori ESG con i risultati di profitto o di perdita. Essa ha riportato che un
aumento dell’1% nella salute dei dipendenti è correlato ad un aumento dello
0,8% di utile operativo, mentre una diminuzione dell’1% nelle emissioni di
carbonio è correlata ad un aumento dell’utile pari al 6%. Tuttavia, queste
correlazioni non ci dicono nulla a proposito di come la strategia competitiva
di SAP apporti miglioramenti in entrambi i fattori, in maniera specifica
rispetto agli altri concorrenti.
Ancor più recentemente, l’amministratore
delegato di BlackRock, Larry Fink, ha scritto agli altri amministratori, per
due anni di seguito, nella sua lettera annuale, che gli investitori dovrebbero
gradualmente iniziare ad aspettarsi – e a richiedere – che le aziende abbiano
uno scopo sociale. Tuttavia, le dichiarazioni d’intenti sono state sempre un esercizio
delle pubbliche relazioni, scollegate dal business e dalla sua performance
economica.
Un obiettivo sociale realmente strategico
deve rinforzare il posizionamento competitivo della società. Secondo la ricerca
svolta da Claudine Gartenberg dell’Università della Pennsylvania, da Andrea
Prat della Columbia e da Serafeim, le società i cui dipendenti riconoscono tale
chiarezza di obiettivi hanno dimostrato di ottenere anche maggiori rendimenti
per gli azionisti, mentre le semplici dichiarazioni di intenti hanno, in tal
senso, un impatto ben minore.
Quando l’impatto sociale e la strategia
aziendale convergono, si crea un vero valore condiviso: il caso Discovery.
La creazione di un impatto sociale
attraverso un modello di business innovativo e redditizio rimodella la natura
della competizione e rende l’impatto sociale parte del modello capitalistico, e
ciò richiede di saper andare ben oltre il controllo di una mera lista di
fattori materiali.
Prendiamo in esame il caso di Discovery,
una compagnia assicurativa sudafricana il cui scopo dichiarato è quello di
rendere le persone più sane. Nonostante questo possa apparire come una
banalità, la società riconosce l’impatto fondamentale della salute del cliente
sul proprio business.
Discovery ha tradotto il proprio scopo in
strategia operativa attraverso un’integrazione nella propria assicurazione
sanitaria, ovvero offrendo una serie di incentivi economici per far assumere ai
clienti dei comportamenti più sani. I clienti sono ricompensati per il
raggiungimento settimanale di obiettivi di esercizio fisico e ricevono degli
sconti sull’acquisto di cibi sani attraverso una sofisticata serie di incentivi
sviluppata da economisti comportamentali, e vengono monitorati attraverso App e
dispositivi fitness indossabili.
Gli studi dell’Università Johns Hopkins e
la RAND Corporation hanno confermato che gli incentivi di Discovery influenzano
il comportamento in modo tale da ridurre i costi sanitari e aumentare
l’aspettativa di vita. Di conseguenza, Discovery è in grado di offrire i suoi
prodotti assicurativi a premi più bassi, pur mantenendo un’ottima redditività.
Il modello di business, le operazioni e le analisi dei dati di questa società
sono unici nel settore: con dati statistici pari alla somma di 40 milioni di
anni di vita, che mettono in correlazione gli incentivi con il cambio di
comportamento e i risultati sulla salute, l’approccio di Discovery non è
facilmente imitabile. La società ha invece concesso la licenza del proprio
approccio manageriale a molte delle maggiori compagnie assicurative sulla vita
nel mondo, espandendo significativamente la propria presenza sul mercato.
Tutti i dipendenti di Discovery
comprendono la centralità dello scopo della società rispetto al proprio lavoro,
che ha generato un’innovazione rendendo il vantaggio competitivo ancor
maggiore. L’impatto sociale creato da Discovery (il miglioramento della salute)
è centrale rispetto al proprio posizionamento strategico e crea valore
condiviso sia per la società sia per i suoi azionisti.
Come ben illustra il caso Discovery, la
creazione di valore condiviso è radicata nei fondamenti della strategia
aziendale: le società possono raggiungere una performance economica superiore
solo attraverso una proposta di valore distintiva che offra una maggiore
convenienza ad un certo target di clienti, e raggiunga un’efficienza
strutturale che supporti costi minori rispetto ai concorrenti.
I tre livelli di influenza del sistema a
valore condiviso: altri casi di studio
Il sistema di valore condiviso può
influenzare la strategia a tre livelli, che si rafforzano reciprocamente:
- creazione di nuovi prodotti che affrontino i bisogni sociali emergenti o che aprano segmenti di clientela attualmente non serviti;
- aumento della produttività nella catena del valore, sia rinnovando l’efficienza, sia aumentando la produttività di dipendenti e fornitori;
- investimento per migliorare l’ambiente imprenditoriale e il distretto industriale nelle regioni in cui opera la società.
MasterCard ha creato nuovi prodotti innovativi e ha raggiunto nuovi mercati attraverso un numero crescente di iniziative di inclusione finanziaria, come quella della propria partnership con il governo sudafricano al fine di distribuire, attraverso i bancomat, benefici sociali a 10 milioni di persone. La società, concentrata sulla crescita attraverso l’inclusione finanziaria, ha mantenuto un posizionamento competitivo differenziante, rispetto agli altri player nel proprio settore, in modo tale da ricavare maggior valore sociale e nel contempo maggiori rendimenti per gli azionisti.
Xylem, una società statunitense, ha
trovato una nuova nicchia nel business affrontando l’ingente spreco di acqua
dolce mondiale, attraverso un software a sensore che può identificare e ridurre
le perdite dei tubi e migliorare l’efficienza del trattamento delle acque
reflue.
DSM ha individuato una consistente rete
di redditizie innovazioni focalizzando i proprio dipartimento ricerca e
sviluppo su soluzioni in grado di far progredire le aziende negli obiettivi di
sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
La scarpa Flyknit della Nike costituisce
un ulteriore esempio di quanto stiamo sostenendo: Nike ha prodotto una scarpa
da corsa diversa da tutte le altre, con una maglia composta da un singolo
filamento. La scarpa non ha prodotto sprechi, è meno costosa da realizzare, è
più leggera e più traspirante rispetto alle altre, e garantisce prestazioni
superiore per chi la utilizza, nonche più di un miliardo di dollari di vendite
per la Nike stessa.
Al secondo livello di valore condiviso, c’è
la catena del valore che definisce il modello operativo di una società.
La filiale di Suzano, Fibria, uno dei produttori
mondiali di cellulosa, ha sviluppato un modello innovativo di integrazione di
piccoli agricoltori nella propria catena di fornitura di legno di eucalipto,
attraverso il programma Forest Savings. Il programma fornisce una nuova fonte
di guadagno per gli agricoltori, incoraggia la protezione della biodiversità
attraverso l’integrazione dei suggerimenti del WWF, e, nel 2016, ha fatto risparmiare
a Fibria ben 30 milioni di dollari.
La CVS Health ha compiuto una mossa
strategica nella fornitura di assistenza finanziaria attraverso l’apertura di
centinaia di ambulatori e l’interruzione della vendita di sigarette, il tutto
come parte di un posizionamento competitivo distintivo rispetto alla Walgreens
Boots Alliance.
La SABMiller, ora una filiale di ABInBev,
ha fornito supporto di consulenza per migliorare le pratiche di vendita al
dettaglio delle piccole aziende a conduzione familiare che vendono i propri
prodotti, aumentando gli introiti di decine di migliaia di famiglie nel centro
America e generando il 10% di vendite in più per l’azienda.
Maersk ha ridisegnato le proprie navi
transoceaniche in modo tale da ridurre il consumo di carburante.
Il programma di Starbucks, ossia quello
di offrire corsi universitari gratuiti a tutti i dipendenti, è diventato il più
grande conduttore del successo di reclutamento della catena.
Ognuna di queste compagnie, ha
reinventato uno specifico aspetto delle proprie operazioni, in modo distintivo
rispetto alla concorrenza, al fine di creare valore condiviso: la maggior parte
di queste innovazioni non avrebbe necessariamente migliorato la loro
graduatoria ESG, sulla base delle metodologie di classificazione attualmente esistenti.
Infine, al terzo livello di valore
condiviso, ossia quello che migliora il contesto imprenditoriale esterno
all’azienda, la BHP ha investito 50 milioni di dollari al fine di migliorare la
qualità dei fornitori locali nelle proprie miniere in Cile. Ciò ha creato una
rete di fornitori minerari di alto livello che ha generato più di 5.000 appalti
e, attraverso prestazioni migliorate, ha fatto risparmiare alla BHP più di 120
milioni di dollari in valore netto attuale.
Humana ha promosso partnership con
organizzazioni non profit e organizzazioni governative, per migliorare i
determinanti sociali della salute nelle maggiori città statunitensi, laddove la
società fornisce le assicurazioni sanitarie; questo sforzo ha migliorato la
salute dei clienti e ridotto le spese sanitarie, aumentando i rendimenti degli
azionisti.
Infine, quando il valore condiviso è
integrato a tutti e tre i livelli, il risultato può produrre strategie
rivoluzionarie. La società di dispositivi medici Becton Dickinson ha guidato
per decenni la propria crescita attraverso innovazioni che hanno migliorato la
sicurezza dei dispositivi medici per operatori sanitari e pazienti, a partire
dall’invenzione di una siringa di sicurezza per impedire la diffusione del
virus dell’HIV attraverso la puntura accidentale con ago. La BD ha migliorato
il proprio business lavorando a stretto contatto con i governi e le
Organizzazioni Non Governative, al fine di promuovere politiche pubbliche
incentrate sulla sicurezza ospedaliera. La società si è espansa rapidamente sui
mercati emergenti attraverso partnership pubblico-private, tra cui un accordo
di dieci anni con il governo cinese grazie al quale 700 mila infermiere in Cina
hanno appreso l’utilizzo del catetere intravenoso della BD, e una partnership
con i centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, per migliorare
la velocità e la qualità dei test di laboratorio nei mercati emergenti.
L’abilità di inventare prodotti che vanno incontro ai bisogni sociali, di integrare
partnership private nel modello operativo, e influenzare la politica del
governo per aumentare la consapevolezza sulla sicurezza, ha prodotto dei
rendimenti per gli azionisti di gran lunga superiori a quelli dei concorrenti
della BD.
Come suggeriscono tutti questi esempi, la
creazione di valore condiviso è sostanzialmente ben diversa dal compiere
miglioramenti in una lunga lista di fattori ESG che ha la tendenza, nel tempo,
a convergere in modo indistinto in ogni settore industriale.
Le società a valore condiviso compiono un
diverso insieme di scelte rispetto ai concorrenti, dando luogo a un impatto
sociale distintivo. Di conseguenza, garantiscono rendimenti differenti ai
propri azionisti. Le strategie a valore condiviso di questo genere vanno ben
oltre il pensiero ESG tradizionale, collegando l’impatto sociale direttamente
al vantaggio competitivo e alla performance economica. Questo è indubbiamente
il modo migliore per le società di affrontare le sfide sociali del nostro tempo
e – aggiungo io – evidenzia i limiti di un sistema d’analisi, quello ESG,
vittima probabilmente della mania “classificatoria” anglosassone, che in
passato ha già colpito tutt’altri settori, come ad esempio quello della salute
mentale, con il criticatissimo “DSM”, Manuale Diagnostico Statistico dei
Disturbi Mentali, che etichetta i pazienti sulla base ne più ne meno che di
checklist di sintomi.
Il valore condiviso, potenzialmente,
offre a ogni specifico business delle nuove importanti opportunità per portare
avanti la crescita, la redditività e il vantaggio competitivo attraverso il
miglioramento della performance sociale. Questo pensiero, sfortunatamente,
rimane invece una frontiera inesplorata per gli investitori.
Modello a valore condiviso: come convincere gli investitori
a uscire dalla zona di confort di un sistema di classificazione standard?
Consideriamo l’industria della produzione
di energia elettrica: vent’anni fa, il regolamento governativo stabiliva i
prezzi dell’elettricità e conferiva monopoli territoriali. Il costo della
costruzione di nuove centrali elettriche, pari a miliardi di dollari, aveva
innalzato alte barriere economiche all’ingresso. Non c’erano fonti alternative
di energia, e i clienti non avevano scelta sui fornitori.
Qualunque analisi avrebbe correttamente
previsto un scenario stabile e redditizio, e molti investitori avrebbero
acquistato titoli con l’aspettativa di prevedibili rendimenti a lungo termine.
Tuttavia, ora molti mercati sono stati deregolamentati. I governi europei hanno
imposto dei limiti sull’uso di combustibili fossili dai quali dipendono le
maggiori centrali elettriche. Le tecnologie solari ed eoliche hanno raggiunto
parità di prezzo, offrendo alla produzione distribuita delle barriere
economiche all’ingresso molto basse. La maggior parte delle società di servizi
europee e i loro investitori si sono persi questi cambiamenti maggiori, in
quanto hanno ignorato il cambiamento dei fattori sociali all’interno delle
proprie analisi di investimento. Il risultato è stata la distruzione di 500
miliardi (551, oggi) in valore economico.
I servizi che hanno assunto un approccio
a valore condiviso, come la società di fornitura elettrica italiana Enel, che
ha un fatturato di 70 miliardi di euro, ha scoperto maggiori opportunità di
profitto dall’energia rinnovabile, che è già la fonte di più della metà
dell’energia dell’Enel e che genera maggiori margini di profitto rispetto alle
più antiche centrali termiche. La società sta espandendo l’innovazione anche
per intercettare nuove fonti di guadagno, attraverso la fornitura della
connessione internet veloce, parchi per auto elettriche e software di gestione
dell’energia. Adattandosi alle pressioni sociali e ambientali sul settore
industriale, l’Enel ha trovato l’occasione di nuovi fonti di guadagno perse dai
suoi concorrenti.
Come discusso precedentemente, il
corrente approccio ESG, che non prevede un integrazione tra impatto sociale e
strategia competitiva e della crescita, fa perdere importanti fonti di
vantaggio competitivo. Fino a quando gli investitori non inizieranno a
considerare il valore condiviso come centro dell’analisi degli investimenti,
rischieranno sempre di effettuare valutazioni aziendali distorte, di lasciarsi
scappare i veri innovatori del settore e di incoraggiare i manager aziendali a
concentrarsi solo sul controllo dei fattori ESG.
Prendere in considerazione i fattori
sociali nelle decisioni di investimento, quando esse hanno influenza diretta
sulla futura performance economica della società, non viola alcun obbligo
fiduciario; piuttosto, come già fatto presente dalle politiche dell’Unione
Europea, è il fallimento nel considerare tali fattori che potrebbe creare un
rischio per le aziende, anche sotto il profilo della responsabilità degli
amministratori.
Portare il modello operativo a valore
condiviso all’interno del processo di analisi, aiuterà sia i dirigenti
aziendali sia gli investitori a cogliere l’opportunità di allineare lo scopo
sociale e l’investimento, ed espanderà maggiormente il potere di aziende e
investitori nel contribuire alla creazione di un mondo migliore, aumentando al
contempo i rendimenti degli azionisti.
Tuttavia, gran parte della comunità degli
investitori percepisce ancora le questioni sociali come irrilevanti alla
massimizzazione dei valori azionari, o meramente come fattore di rischio, non
come opportunità di accumulare un delta positivo nei rendimenti: le aziende quindi
dovranno comunicare in maniera più efficiente quello che è il valore economico
del loro impatto sociale.
Gli enti normativi, gli amministratori
delegati e gli investitori della sostenibilità continueranno, certamente, a
concentrarsi sulla performance ESG complessiva. Le aziende avranno la necessità
di continuare a migliorare e fare resoconti sulla propria performance destreggiandosi
tra la vastità dei fattori ESG, anche se la gran parte di essi non conferirà
alcun vantaggio competitivo sostenibile.
Tuttavia, la comunità degli investitori
avrà bisogno di una comunicazione molto più mirata da parte delle aziende, al
fine di connettere una gamma molto selettiva di impatti sociali con il
vantaggio competitivo e il valore economico generato. Ciò richiede che le
aziende comunichino e misurino rigorosamente le metriche quantitative concrete
che colleghino direttamente i fattori sociali con la performance economica.
Ad esempio, quando, nel Forum CECP
Strategic Investor del 2017, l’amministratore delegato di BD, Vince Forlenza,
ha presentato un piano strategico a lungo termine e basato su prove concrete
fornite dall’azienda, egli ha descritto il modo in cui BD stesse costruendo
possibilità di partnership pubblico-private per ogni gradino della propria
catena del valore al fine di creare valore condiviso nei mercati emergenti.
Poi, ha quantificato l’impatto ottenuto per gli investitori: dal 2011 al 2015, gli
aumenti annuali costanti a doppia cifra nel trattamento delle esigenze
sanitarie in questi mercati, hanno contribuito a una crescita della società
pari a 500 milioni di dollari. Successivamente, egli ha predetto che, nell’arco
di due anni, queste partnership avrebbero apportato ulteriori 500 milioni di
dollari di crescita, in quanto le iniziative a valore condiviso di BD avrebbero
continuato a produrre miglioramenti nelle politiche e nelle partnership
governative, le quali avrebbero innalzato la prestazione delle cure sanitarie
nei mercati emergenti. Anche i concorrenti di BD partecipano a partnership
pubblico-private, ma molte di esse sono solamente iniziative filantropiche che
non sono integrate nel posizionamento strategico, e che quindi non apportano
alcun valore quantificabile per gli azionisti.
Le comunicazioni degli investitori devono
includere anche la spiegazione di come le maggiori tendenze sociali stiano
influenzando la struttura industriale e la competizione, e di come la risposta
a ciò da parte delle aziende influenzerà la crescita e la redditività delle
aziende stesse, così come ha fatto l’Enel, che ha definito il cambiamento del
proprio modello di business in risposta alle pressioni del cambiamento
climatico.
In ultimo, le riunioni con gli
investitori dovranno guardare oltre il trimestre immediatamente successivo, al
fine di definire, per l’azienda, una strategia ancor più a lungo termine.
Il valore condiviso, come tutte le vere e
proprie strategie competitive, è una proposta a lungo termine. La continuità
strategica permette un migliore allineamento delle attività all’interno della
catena del valore, e miglioramenti nella performance economica. Più a lungo
un’azienda lavora per la creazione di valore condiviso, maggiore è ciò che essa
apprende sulle possibilità di risoluzione dei bisogni sociali che sia più
efficace e redditizia, e migliore sarà la sua capacità di integrare l’impatto
sociale positivo in ogni aspetto delle proprie operazioni.
Questo genere d’informazioni mirate e
quantitative da parte delle aziende avrà valore solo se gli investitori saranno
in grado di usare efficacemente tali informazioni. Gli investitori a valore
condiviso dovranno iniziare, piuttosto che terminare, le proprie analisi con il
passare in rassegna tutte le questioni sociali salienti che influenzano le
aziende, come i cambiamenti climatici, il crescente interesse per la
nutrizione, l’emergente classe media globale, la diffusione di malattie non
trasmissibili, la bassa produttività dei piccoli agricoltori, il cambiamento
dei dati demografici di dipendenti e clienti e gli effetti della carenza
idrica. Comprendere queste dinamiche sociali e ambientali aiuterà gli investitori
ad anticipare i cambiamenti nel proprio settore industriale e a identificare le
opportunità per la creazione di valore condiviso.
Gli investitori devono imparare anche a
distinguere la reale creazione di valore economico attraverso l’impatto sociale
dalla semplice gestione della reputazione. Ciò comporta la messa in discussione
di quelle aziende che operano con la mera facciata della responsabilità sociale
o che si limitano a seguire le migliori pratiche del settore. Le società a
valore condiviso si comporteranno in maniera differente rispetto ai propri
competitori, connettendo l’impatto sociale ai valori azionari.
Una società d’investimento non può
delegare la considerazione delle questioni sociali e ambientali ad un singolo
analista ESG. L’intero team d’investimento deve combinare la comprensione dei
fattori e dell’impatto sociale con la competenza finanziaria e industriale. La
considerazione delle questioni sociali deve spostarsi dalla gestione dei rischi
all’aumento del ritorno per gli investitori, riconoscendo il loro stesso valore
nei confronti del vantaggio competitivo a lungo termine.
Per esempio, i fondi della Generation
Investment Management di Londra sono stati classificati nel 2018 da Mercer
Analytics come quelli dalle prestazioni migliori tra 169 fondi di investimento
globali a lungo termine, nei suoi 12 anni di storia. Il principio chiave della
strategia dell’azienda è che “L’impatto
sulla società, è il fattore trainante della creazione di valore”. L’impresa
utilizza una ‘mappa’ verso un futuro sostenibile a bassa emissione di carbonio,
per determinare quali industrie contribuiranno a questa traiettoria e trarranno
benefici da essa.
Piuttosto che separare l’analisi della
sostenibilità dai criteri di valutazione generale, la Generation include esperti
di questioni ambientali nei propri teams di’nvestimento, e ricerca aziende con
strategie competitive distintive che siano basate sull’impatto ambientale. Essa
ha un comitato consultivo esterno composto da leader del pensiero sulla
sostenibilità, e svolge delle conferenze solo su invito sulle tendenze
emergenti riguardanti la sostenibilità per mantenersi aggiornata sulle
questioni che possono cambiare le strutture del settore. Inoltre, la Generation
enfatizza la prospettiva a lungo termine, con una struttura di compensazione
degli incentivi basata su una media di rendimenti nell’arco di tre anni. Allo
stesso tempo, presta forte attenzione ai fattori tradizionali nell’analisi
della sicurezza, come la qualità della gestione, il flusso di cassa, il rapporto
prezzo-utili e la barriera economica all’ingresso. La Generation non è meno
rigorosa nella propria analisi finanziaria e nel pricing solamente perché
considera anche i fattori ambientali.
Summa Equity, un fondo d’investimento
azionario scandinavo, dà inizio alla propria analisi con temi tratti dagli
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) per identificare le aree di opportunità
di investimento. Questo sistema fa sì che l’amministrazione sia responsabile di
esaminare il vantaggio competitivo della società e di come possa essere
sfruttato al fine di creare impatto sociale attraverso i servizi e i prodotti
chiave della società. Ciò rende chiaro anche ai nuovi assunti la strategia
dell’impresa, e s’integra all’accumulo di nuovo capitale e alla ricerca di
nuovi proficui accordi.
Generation e Summa cercano impatto
sociale positivo che rinforzi una performance finanziaria esemplare combinando
una comprensione profonda delle questioni sociali con la tradizionale analisi
della sicurezza.
Tuttavia, un’analisi così integrata
rimane una rarità. La maggioranza degli investitori convenzionali ha troppo a
lungo ignorato l’impatto sociale, e per contro la gran parte degli investitori
ESG e SRI hanno trascurato gli strumenti per una rigorosa valutazione della
sicurezza, come il flusso di cassa libero, il rapporto prezzo-utili, e la barriera
economica all’ingresso.
La mera indagine sulle società più in
alto nelle classifiche ESG non assicura rendimenti superiori. È l’integrazione
dei fattori sociali all’economia convenzionale, e un’analisi altamente
disciplinata, così come l’attenzione al vantaggio competitivo a lungo termine e
non solo sui risultati a breve termine, che portano ad una performance di
investimento superiore.
Conclusioni: lo scopo sociale degli investimenti
Le società, in ogni settore, si stanno
muovendo verso l’adozione di scopi sociali come parte delle proprie strategie
competitive. Tuttavia, come abbiamo notato, la comunità di investimento è
rimasta indietro. Nonostante ciò, l’investimento, come ogni altra finalità
commerciale, porta con sé l’opportunità di integrare lo scopo sociale alla
strategia delle aziende. Riteniamo che il fine degli investitori sia di
assegnare capitale a quei business che possano utilizzarlo al meglio per il
trattamento dei principali bisogni sociali, ricavandone un profitto.
Senza l’investimento di capitale
nell’economia reale, la società nel suo complesso non può prosperare; ma in
realtà viviamo in un mondo in cui gli investitori ricavano profitti, mentre la
società soffre. Questa disconnessione è una minaccia non solo alla legittimità
dei mercati di capitali, ma anche al futuro del capitalismo stesso.
Gli investitori possono scegliere di fare
soldi in modo tale da contribuire a una comunità più sana, prosperosa e
sostenibile, o possono decidere di ricavare rendimenti in modi distruttivi per
la società stessa.
Gli obblighi di responsabilità sociale
sono a lungo stati imposti alle società, ma non ai loro azionisti. Tuttavia,
anche gli investitori stessi hanno una responsabilità sociale. Nel momento in
cui fanno pressione affinché l’amministrazione persegua profitti a breve
termine a spese dell’ambiente, gli investitori possono essere ritenuti
responsabili. La legge potrebbe limitare la loro responsabilità, come per gli
azionisti, ma l’opinione pubblica e la pressione politica non sono così
facilmente eludibili.
Come si possono rimettere insieme armonicamente
investitori e società? Investimenti in società che contribuiscono in maniera
redditizia al progresso sociale, e il ritiro di capitale da quelle che non lo
fanno, creerà un circolo virtuoso in cui il benessere sempre migliore di
clienti, dipendenti e comunità genererà futura crescita e maggiori opportunità
per più cittadini.
L’investimento a valore condiviso, che
ricerca società che raggiungano eccellenti performance economiche attraverso
l’innovazione e andando incontro a importanti bisogni sociali, aiuterà a
ristabilire il potere proprio del capitalismo di rendere lo scenario migliore,
e, al contempo, a creare potenti incentivi per l’innovazione nelle aziende.
Quando un bisogno sociale può essere
affrontato con un modello di business redditizio, la magia del capitalismo risulta
evidente; le risposte a molti dei problemi sociali profondamente radicati che
dobbiamo affrontare diventeranno autosufficienti e scalari, e emergeranno
soluzioni efficaci riguardo ai problemi della società.
Un serio problema è costituito dal fatto
che, nella maggior parte delle comunità di investimento, tutte le strategie sono
basate sugli algoritmi, e le negoziazioni sui movimenti di mercato, come fini a
loro stesse. In questo processo, la connessione tra l’investimento di capitale
e il miglioramento sociale va completamente perduta.
La comprensione degli approfondimenti
riguardanti la creazione di valore economico, e la possibilità di correlare l’analisi
d’investimento convenzionale con l’aggiunta del pensiero sul valore condiviso,
darà il via alla crescita, accelererà l’innovazione, guiderà la produttività e
migliorerà i rendimenti degli azionisti.
Muoversi in questa direzione,
stabilirebbe nuovamente l’investimento come una professione con uno scopo
superiore, ossia quello della generazione di un maggior profitto attraverso
l’estensione delle opportunità a tutti, invece di ricavare profitto a breve
termine per i pochi, a spese, a lungo termine, dell’intera società.