Le relazioni pubbliche alla prova della ricostruzione. Intervista al decano delle relazioni pubbliche italiane Toni Muzi Falconi
Le relazioni pubbliche sono una disciplina del management assai dinamica di cui non si conoscono ancora a fondo, perché dinamici gli ambiti, le declinazioni, le significatività. Page Society, importante associazione che comprende fra i suoi soci i maggiori esponenti delle relazioni pubbliche americane, nei suoi report del 2016 e del 2019, identifica nell’ufficio del “chief communication officer” il ruolo di costruttore di relazioni, il pioniere del posizionamento delle organizzazioni, lo stratega che analizza la realtà e costruisce piattaforme relazionali per identificare i futuri possibili e proporre le leve necessarie alla creazione di valore sostenibile nel tempo.
Toni Muzi Falconi è il decano delle relazioni pubbliche italiane, sessant’anni di esperienza: le sue prime attività professionali risalgono alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso e avevano a che fare con la ricostruzione, una ricostruzione a partire da macerie visibili, come quelle della seconda guerra mondiale. Oggi le relazioni pubbliche hanno il compito di contribuire ad una ricostruzione che parte da macerie meno visibili, macerie della crisi economica conseguente alla pandemia.
Anche oggi ci troviamo di fronte alla necessità di proporre e organizzare, disegnare, progettare e implementare azioni di senso e di significato.
Ma vorrei partire dalla definizione di relazioni pubbliche e da tutte le possibili declinazioni.
Toni cosa sono le relazioni pubbliche ed anche: chi è e cosa fa un relatore pubblico e in che rapporto è con la comunicazione, che è l’ambito più comune di espressione della nostra professione?
Per raggiungere gli obiettivi che si propone ogni organizzazione, privata, pubblica o sociale che sia sa bene che deve identificare, interagire, ascoltare e coinvolgere i pubblici interni, esterni e di confine, verificarne le aspettative affinché i tempi di attuazione di quegli obiettivi non diventino insopportabili o comunque non diano risultati negativi. Il governo efficace di questi sistemi di relazione si chiama ‘relazioni pubbliche’.
Come sai mi sta a cuore non solo la rappresentanza di interessi ma la capacità dei relatori pubblici di creare percorsi di soluzioni alle problematiche complesse (e le semplici no?): come vedi le discipline dello issue management e dell’evidence based policy nell’ambito proprio della nostra professione?
La rappresentanza di interessi è una cosa e non ha solo a che vedere con l’area della decisione pubblica (penso alle associazioni private e sociali che incidono altrettanto sulle decisioni pubbliche). L’issue management che risale alla seconda metà degli anni 70 del secolo scorso è un importante passo verso la professionalizzazione del governo delle relazioni e identifica, coltiva e opera intorno a issue (tematiche) vitali per la singola organizzazione, sempre a livello privato, pubblico e sociale.
Non corriamo il rischio di essere considerati dei generalisti?
E’ difficile identificare posizioni di alto management che non siano generaliste. Tutto dipende da cosa si intende. Se intendi generiche direi di no, questo rischio non c’è. Se intendi generalisti nel senso che l’impatto è trasversale a tutta l’organizzazione, è normale che sia così e sarebbe strano il contrario.
Fin dagli anni ’80 hai considerato che la disciplina del change management fosse la declinazione più efficace delle relazioni pubbliche: puoi specificare meglio il rapporto fra relazioni pubbliche, il governo strategico delle relazioni pubbliche e il change management?
Il cambiamento è una dato permanente dell’individuo ma anche dell’organizzazione che è, a sua volta, è un insieme di individui. Se non cambiano in continuazione, le organizzazioni muoiono. Il governo dell’organizzazione (management) è il governo di quel cambiamento la cui qualità dipende in larga parte da quella che, con termine inutilmente ‘nuovista’, oggi si chiama, e che dio-ci-perdoni, anche in italiano, purpose.
In uno dei tuoi ultimi post, che hai intitolato “E ora tutti al lavoro”, ti sei soffermato, dopo che il Consiglio Europeo ha votato gli aiuti del post Covid, sulla necessità di gestire il cambiamento. Come scrivi nel tuo post il tema è “assicurarci, da cittadini Europei e Italiani, che le risorse verosimilmente in arrivo siano utilizzati al meglio”. E continui: “l’esperienza e le ricerche ci dicono che i progetti di cambiamento nelle organizzazioni falliscono nel 70% dei casi. Occorre dunque fare di tutto subito, oggi, per mitigare i rischi, accompagnando gli investimenti in arrivo -che riguardino tecnologie, processi, organizzazione- con specifici programmi capaci di ottenere l’adozione del cambiamento previsto insieme alla crescita di capitale: umano nell’organizzazione e sociale nel territorio. Ti chiedo: tutto questo ha a che fare con le relazioni pubbliche, con la costruzione del capitale sociale, relazionale, con il disegno di percorsi capaci di creare valore: ma quali sono le pratiche che noi relatori pubblici possiamo mettere in atto per consentire un corretto ed efficace utilizzo dei tanti miliardi messi a disposizione dall’Europa?
Capire bene le priorità di chi mette le risorse a disposizione e le priorità (necessariamente diverse) di chi governa e conciliare queste con le aspettative di chi le riceve. Sono tre priorità da conciliare attraverso un lavoro immenso di ‘tessitura sociale’ in larga parte basato sul governo efficace dei sistemi di relazione fra i tre soggetti.
Come possiamo contribuire al cambio di paradigma necessario per un nuovo disegno della rappresentanza, della rappresentatività e della rappresentazione e perché sono categorie diverse?
La rappresentanza appartiene alla storia della diplomazia e presuppone che ogni organizzazione rappresenti se stessa verso gli altri; la rappresentatività è una quantificazione variabile nel tempo della rappresentanza; la rappresentazione è invece la modalità in cui l’organizzazione rendiconta/racconta la propria identità e gli obiettivi perseguiti agli stakeholder interni, esterni e di confine. Il nuovo disegno cui accenni prende atto che i cosiddetti corpi intermedi sono stati ormai disintermediati dalla recente crescita esponenziale della rappresentazione. Ritengo però che sia indispensabile per una società che si definisca propriamente democratica piuttosto che re intermediare, neo intermediare i propri i corpi intermedi.
Come credi che le relazioni pubbliche possano contribuire alla definizione di percorsi di valore per la realizzazione degli obiettivi 2030 della nazioni unite?
Se le relazioni pubbliche nel mondo reinventassero anche gli obiettivi 2030 dell’ONU farebbero l’azione migliore possibile.
Come ti immagini il futuro degli uomini fra trent’anni? È ancora vero che la bellezza salverà il mondo e le macchine riusciranno a diventare belle?
Non ne ho francamente la più pallida idea. Spero solo che con minore disuguaglianza, fame, disperazione e cattiveria il mondo ci sia ancora fra 30 anni e le macchine sono sempre state belle… se usate bene.