Lo sviluppo sostenibile all’interno delle nuove forme di business
Lo sviluppo sostenibile all’interno delle nuove forme di business
*Armando Agulini, LUMSA, armdagulini@hotmail.com
Introduzione
All’origine della crisi finanziaria che attraversiamo vi è una profonda crisi antropologica che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni, il consumo. Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo il suo predomino su di noi e sulle nostre società.[1] Per capire l’importanza della sostenibilità ed il peso che hanno le aziende nella messa in discussione del modello attuale orientato al profitto bisogna ripartire dai valori, riportando sotto il controllo della società, l’economia.
La responsabilità sociale come termine entra nel linguaggio manageriale proprio per indicare il complesso di regole atte a definire i doveri morali delle aziende (economico, etico e ambientale). Un sempre maggior numero di imprese sanno che la capacità di apparire socialmente responsabili accresce la propria competitività e credibilità sul mercato, viceversa, il non assumere una condotta responsabile rischia di portare l’impresa alla corrosione del suo potere[2]. L’interesse sociale dell’impresa nasce infatti come la contrapposizione tra shareholder supremacy– l’attenzione al profitto e agli azionisti (Dodge vs Ford 1919)[3]– e lo stakeholder value[4]– l’attenzione ai dipendenti, ai fornitori e alla comunità. Il dibattito sulla responsabilità sociale d’impresa (RSI) fu nucleato da due illustri economisti, Berle e Means, i quali presupponevano la separazione di potere tra il management e la proprietà attraverso l’adempimento e divisione dei compiti, quali obiettivi economici da un lato e obblighi giuridici da un altro. Nel corso del tempo c’è stata un evoluzione di quelli che sono i valori economici, sociali e ambientali ai quali l’azienda deve mirare. Il livello base era la compliance, le aziende si dovevano adeguare alle richieste e agli obblighi imposti dalla legge e dallo stato. Poi, alcune aziende hanno introdotto la filantropia aziendale, attività con un impatto positivo per “gli altri”. Successivamente queste attività sono state integrate all’interno dell’azienda e ampliate tramite scelte di RSI.
Per fare business al giorno d’oggi la produzione di valore economico e quella di valore sociale vanno necessariamente tenute insieme. Per questa ragione sono sempre più numerosi gli esempi di convergenza dei soggetti for-profit verso la sfera non-profit, e viceversa[5]. Oggi, accanto alla dicotomia tra le aziende for-profit e le organizzazioni non-profit[6], si affianca una terza via, il modello ibrido d’impresa “for-benefit” o “for-purpose”, una nuova concezione di corporate social responsability con commitment che incorpora la dimensione sociale e ambientale nell’agire d’impresa come fattore strategico (Castellani et al. 2016).
E’ l’impresa che con il suo business deve cercare di generare un impatto positivo nel mondo, non è più solo compito dei governi.
Modelli Aziendali
Benefit Corporation e Social Purpose Companies
L’alternativa più popolare per le aziende che desiderano operare secondo uno standard di responsabilità sociale è sempre di più riconosciuto nelle Benefit Corporation. Una Benefit Corporation è uno stato giuridico ammesso in alcuni stati americani e in Italia, che usa la forza delle imprese per creare valore, sancendo tale finalità nell’oggetto sociale del proprio statuto come vincolo di missione. In generale, l’espressione Benefit Corporation identifica quelle imprese che allargano le proprie responsabilità al rispetto e all’interesse per i propri dipendenti, i consumatori, la collettività e l’ambiente[7].
Nell’aprile 2010 il Maryland divenne il primo Stato americano ad approvare e a completare l’iter legislativo per la definizione di una specifica forma giuridica che si affianca a quelle di profit e non-profit, innovando il diritto societario USA: le Benefit Corporation (US Law 2010). Diventare una Benefit Corporation legalmente riconosciuta, non preclude la possibilità all’azienda di poter ricevere il marchio di certificazione; anzi, perseguire un approccio orientato alla sostenibilità d’impresa sul modello societario Benefit facilita notevolmente il raggiungimento dei requisiti per aggiudicarsi il Marchio B Corp, ma in ogni caso si può essere una Benefit Corporation senza essere certificati B Corp (Nigri 2016).
La certificazione e il movimento, attivo dal 2006, prima del framework legale, nasce dall’idea di tre imprenditori: Jay Coen Gilbert, Bart Houlahan e Andrew Kassoy. Gilbert e Houlahan fondarono nel 1993 un’azienda di abbigliamento sportivo, AND1. Questa si dimostrò subito un’azienda socialmente responsabile con codici di condotta all’avanguardia, welfare aziendale e integrazione locale. I dipendenti- che erano in parte proprietari- e i fornitori, erano felici e orgogliosi di lavorare per AND1 e avevano benefit oltre la media del mercato. In meno di 10 anni il fatturato dell’azienda arrivò a superare i 250 milioni di dollari facendola diventare la seconda società più importante nel mondo delle calzature per giocare a basket degli Stati Uniti, alle spalle soltanto della Nike[8]. Nel 2005, dopo un credit crunch ed alcuni licenziamenti però, decisero di cederla a American Sporting Goods, vedendo vanificare, nel giro di pochi mesi, tutti i loro sforzi di responsabilità sociale (Dent 2016).
Fondarono quindi- grazie anche a Andrew che era stato solo un investitore nel progetto AND1 ed era ora pronto a sostenerli pienamente, dopo aver trascorso 16 anni in private equity- e alla loro membership all’interno della Henry Crown Fellows of The Aspen Global Leadership Network (AGLN) (McNulty Foundation 2015) B Lab, facendo nascere un nuovo modo di fare business. “B Lab”, come sostiene Houlahan, “è stata fondata per incoraggiare le imprese ad agire come agenti di cambiamento sociale e ambientale, in quanto, il problema principale che stavamo cercando di risolvere era la necessità che il business fosse più impegnato nell’affrontare le grandi sfide a livello internazionale, che né i governi e né il settore non-profit sono in grado di fronteggiare.” La community delle Certified B Corp™ oggi conta oltre 2000 società in ben 50 paesi in tutto il mondo e 130 industrie. Ciò sta a significare che non esiste un tipo di azienda for-profit che possa essere esclusa da questo movimento.
Le leggi sulle Società Benefit trasformano la triple bottom line in un contratto esecutivo. Viene richiesto agli amministratori di portare a termine una mission profit & purpose e dà agli azionisti potere esecutivo se non riescono a portarla a termine. L’alternativa più permissiva alla legge sulle Benefit è denominata flexible purpose, prima, e social purpose corporation (SPC), poi. Lo statuto delle SPC consente alle aziende di designare uno o più scopi sociali. Sebbene richieda ai propri direttori di prendere in considerazione questi scopi sociali quando prendono decisioni di gestione e di pubblicare un rapporto sociale annuale, non impone loro di considerare i loro impatti ambientali, assumere un revisore o rilasciare la relazione al pubblico. Le leggi che autorizzano le SPC sono passate a Washington, dove sono circa 156 le SPC attive, in Texas, in Florida e in California (in California e in Florida sono presenti anche le leggi per le SB) e i legislatori in Ohio, Georgia e molti altri stati stanno considerando entrambe le alternative (Levillain and Segrestin, 2019)[9].
Le aziende possono diventare SPC e ottenere la certificazione B Corp, validando il loro percorso tramite B Lab. Fred Whittlesey, fondatore e proprietario del Compensation Venture Group SPC di Seattle, che è anche certificata B Corp, cura la certificazione e pubblica il benefit report: “la distinzione tra SPC e Benefit Corporation“, afferma, “è altamente tecnica e poco significativa“.[10]
Teal Organization e Flourishing Enterprise
Il merge tra i modelli for-profit e non-profit fa si che la nozione di sostenibilità faccia un ulteriore passo avanti, da sostenibilità a prosperità. Flourishing– l’aspirazione che gli esseri umani prospereranno per sempre sul pianeta- diventa l’obiettivo a cui deve mirare l’azienda. La flourishing enterprise aggiunge agli sforzi strategici, organizzativi e operativi per essere sostenibile, pratiche riflessive; coltiva la salute emotiva e spirituale, sviluppando internamente queste competenze chiave, focalizzandosi allo stesso tempo sulla sua attività: redditizia e sostenibile. La flourishing mira a maggiori risultati di business, benessere personale e a un pianeta più sano. L’idea di flourishing si basa quindi su di un nuovo paradigma di reinvenzione- di fare del bene facendo bene- non quello di fare meno male.
Tramite un processo di rinforzo positivo vengono raggiunti scopi più alti di benessere sociale all’interno dell’impresa. L’obiettivo principale diventa quello di far aumentare la prosperità, così come la salute dei sistemi umani e naturali. Laszlo (Laszlo 2014) sostiene che la trasformazione deve iniziare dagli individui, le aziende devono integrare pratiche per migliorare il benessere dei dipendenti aumentando così il loro senso di connessione. Nella sua nuova ricerca con Tsao (2019), afferma anche che, ciò che possiamo fare per evitare circoli viziosi che si traducono in una mancanza di creatività e collaborazione a tutti i livelli aziendali, è intervenire sulla mentalità o sul paradigma da cui nasce il sistema (Meadows 1997). Trasformare la nostra coscienza è lo strumento più efficace che abbiamo per apportare un cambiamento. Alcune delle singole pratiche di trasformazione che identificano nel loro libro comprendono la meditazione, azioni e flusso consapevoli, il journaling, l’immersione nella natura, l’arte e l’estetica, la poesia e la musica. Incorporare queste pratiche apporta cambiamenti fondamentali nel pensiero e la percezione delle persone portando le aziende in vetta.
Aggiungere pratiche riflessive agli sforzi commerciali esistenti non richiede più lavoro; semplicemente cambia il modo in cui il lavoro viene fatto e, cosa più importante, gli effetti. Le imprese, iniziando questo percorso a sostegno della sostenibilità integrata, contribuiranno a grandi cambiamenti sistemici. Ridisegnare la strategia guiderà la creazione di valore condiviso e i risultati positivi verranno percepiti dall’intera società.
Porter e Kramer (2015) sostengono che questa potrebbe essere la forma più elevata di capitalismo perché i profitti implicano uno scopo sociale. In effetti, il modo migliore in cui un’impresa può iniziare a creare valore condiviso è partendo dal proprio business di riferimento. Tuttavia, la creazione di valore condiviso non deve essere vista solo come un tipo diverso e innovativo di strategia ma come parte della strategia. Per comprendere e mettere in atto le best practice servono dei leader che fungano da ispirazione costante per l’azienda nell’affrontare i processi decisionali e la pianificazione strategica.
Le Teal come le Flourishing agiscono in un quadro teorico ibrido e ricco di teorie organizzative dove la distinzione tra profit e non-profit e tra economia e psicologia sfuma ancora di più. Sono organizzazioni che credono e si fidano delle persone che lavorano al loro interno, investono sulle loro capacità, premiano la diversità e l’integrità, creano ambienti stimolanti per tutti coloro che vi lavorano e mirano a rendere le risorse umane come esseri presenti e come esseri interi e completi. In questo modo le imprese sono in grado di produrre risultati incredibili a tutti i livelli. Non solo soddisfano le aspettative dei loro clienti, ma hanno personale felice che raramente si assenta dal lavoro. Il primo a parlare di questa tipologia di organizzazione è Frederic Laloux (2014), che nel suo libro “Reinventare le Organizzazioni” descrive le tappe dell’evoluzione dei modelli organizzativi. “Nelle Teal non esiste un processo di strategia. Nessuno al vertice stabilisce un corso da seguire per gli altri (…). Le persone in queste aziende hanno un senso molto chiaro e acuto dello scopo dell’organizzazione e un ampio senso della direzione in cui l’organizzazione potrebbe essere chiamata ad andare.” Secondo l’autore è dai limiti e dalle sconfitte del presente che comincia a delinearsi un nuovo stadio di coscienza, che egli contrassegna con il colore Teal (il colore delle foglie di thè).
L’agire dell’organizzazione deve essere personale e collettivo insieme. La crescita di ciascuno è contestualmente crescita dell’organizzazione e il perseguimento della propria vocazione personale incontra ciò che l’organizzazione aspira a realizzare. Il compito del leader in questo contesto è creare le condizioni perché questo accada. Attraverso l’ascolto, asseconda il cammino dell’organizzazione. Quando le persone passano all’approccio Teal imparano ad avere fiducia, a perseguire ciò che è veramente significativo, come il tempo, considerando forme di lavoro part-time, freelance ed altro, essendo però felici.
Con le organizzazioni Teal, servire lo scopo diventa più importante che servire l’organizzazione, e ciò apre nuove possibilità di collaborazione attraverso i confini organizzativi. Un’organizzazione potrebbe unirsi a un’altra per un progetto; un team di colleghi potrebbe decidere di passare a un’altra organizzazione, su base temporanea o permanente; una società potrebbe condividere il suo capitale intellettuale o alcune attività con un’altra organizzazione o donarlo. Lo stesso è vero internamente. Non è necessaria l’approvazione da parte delle risorse umane o dalla gerarchia, se si decide per qualsiasi motivo di lavorare meno ore, a patto che si trovi un modo per trasferire gli impegni che si sono presi ai colleghi. Se si vuole tornare e lavorare più ore, è possibile esplorare con i colleghi quali nuovi ruoli e impegni si possono assumere che portino un valore aggiunto per l’organizzazione. Le persone potrebbero non solo ridurre o aumentare il numero di ore lavorate come dipendenti. Potrebbero passare dal lavoro impiegatizio (a tempo pieno e/o part-time) al lavoro autonomo; in altri momenti potrebbero scegliere di fare del volontariato, di donare soldi o temporaneamente potrebbero decidere di non aver alcun coinvolgimento con l’organizzazione, per poi tornarci più avanti.
È plausibile che in futuro lo scopo, anziché l’organizzazione, diventi l’entità attorno alla quale le persone si raccoglieranno. Le persone si collegheranno secondo modalità diverse e le organizzazioni uniranno le loro forze o si scioglieranno, a seconda di ciò che meglio serve in un dato momento.
Conclusioni
Se definiamo lo sviluppo sostenibile come la necessità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni, allora le attività economiche possono essere considerate sostenibili se il loro impatto sull’ambiente naturale è non-negativo (Laszlo 2011). Per poter vivere in un mondo sostenibile, bisogna generare circoli virtuosi in cui le aspettative, le disposizioni e il comportamento positivo si rafforzano a vicenda.
Le organizzazioni possono quindi prosperare utilizzando i loro punti di forza per aumentare e sostenere il benessere comune, aumentando allo stesso tempo i loro interessi personali.
References
Castellani, Giovanni, Dario De Rossi, and Andrea Rampa. 2016. Le Società Benefit: la nuova prospettiva di una Corporate Social Responsability con commitment. Fondazione Nazionale dei Commercialisti.
Dent, Mark. 2016. What happened to AND1? The Wharton grad who sold the clothing brand has a new idea. Billy Penn.
Laloux, Frederic, and Ken Wilber. 2014. Reinventing organizations: A guide to creating organizations inspired by the next stage in human consciousness. Nelson Parker.
Laszlo, Christopher, Judy Brown, John Ehrenfeld, Mary Gorham, Ilma Barros-Pose, Linda Robson, Roger Saillant, Dave Sherman, and Paul Werder. 2014. Flourishing enterprise: the new spirit of business. Stanford, California: Stanford Business Books, an imprint of Stanford University Press.
Laszlo Zsolnai. 2011. Environmental ethics for business sustainability, International Journal of Social Economics, 38(11), pp.892-899, https://doi.org/10.1108/03068291111171397.
Levillain, Kevin, and Blanche Segrestin. 2014. The Blind Spot of Corporate Social Responsibility: Changing the legal framework of the firm. EURAM, Jun 2014, Valence, Spain.
McNulty Foundation. 2015. How three successful entrepreneurs redefined business as a force for good.
Meadows, Donatella H. 1997. Places to Intervene in a System. Whole Earth Winter.
Nigri, Giorgia, Laura Michelini, Cecilia Grieco, and Gennaro Iasevoli. 2016. B Corps and their Social Impact Communication Strategy: Does the Talk Match the Walk? In SIM Conference 2016. Università di Cassino.
Porter, Michael E., and Mark R. Kramer. 2015. Creating Shared Value. How to reinvent capitalism—and unleash a wave of innovation and growth. http://www.coherence360.com/praxis/wp-content/uploads/2015/08/Michael_Porter_Creating_Shared_Value.pdf 2015.
Tsao, Frederick Chavalit, and Christopher Laszlo. 2019. Quantum leadership: new consciousness in business. Stanford, California: Stanford Business Books, an imprint of Stanford University Press.
US Law. 2010. The Benefit Act. Maryland Code.
[1] Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del Santo Padre Francesco ai vescovi ai presbiteri e ai diaconi alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’annuncio del vangel nel mondo attuale, 55.
[2] Vedi K. Davis. Can Business Afford to Ignore Social Responsibilities?. California Management Review, n°2, 1960, pp.60-70.
[3] https://www.law.illinois.edu/aviram/Dodge.pdf
[4] Vedi J. Tirole. Corporate Governance Econometrics. Vol. 69, No. 1, 2001, pp. 1-35.
[5] Vedi Rago S. e Venturi P. Teoria e modelli di organizzazioni ibride presenti all’interno dell’imprenditorialità sociale, in Venturi P., Zandonai F. Ibridi organizzativi. L’innovazione sociale generata dal Gruppo Cooperativo CGM. Bologna, il Mulino, pp. 17-51, 2014.
[6] Vedi Robson, R. A new look at Benefit Corporations: Game Theory and Game Changer. American Business Law Journal Vol. 52, issue 3, pp. 501-555, 2015.
[7] Vedi Andrè R. Journal of business ethics, vol. 110, 133-150, september 2012.
[8] Vedi Honeyman R. 2016.
[9] http://leginfo.legislature.ca.gov/faces/billNavClient.xhtml?bill_id=201320140SB1301
[10] https://www.triplepundit.com/2016/03/social-purpose-vs-benefit-corporations-small-distinction-big-difference/