Rendicontazione di sostenibilità e valutazione delle performance ESG
Lo scenario competitivo nel quale le organizzazioni sono immerse e coinvolte è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale, e da uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio. Cresce quindi la domanda di informazioni credibili e affidabili sulla reputazione dell’impresa non limitate al profilo generale e organizzativo, ai prodotti e relativi prezzi, ma anche sui rischi di impatti avversi futuri sull’impresa e i suoi stakeholder relativi a un’ampia gamma di aspetti di natura non finanziaria (governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business).
La letteratura scientifica in materia conferma come la reputazione dell’impresa dipende sempre più dalla credibilità e affidabilità delle informazioni divulgate agli stakeholder: tutto questo richiede – anche per effetto del quadro normativo emergente – nuovi approcci, metodi e standard nella preparazione e divulgazione di informazioni sui rischi non finanziari, oggi denominati sempre più frequentemente “rischi ESG” (Environment, Social, Governance).
Su queste premesse, nasce il lavoro di indagine di Luca Poma e Giorgia Grandoni, che riprende una ricerca originariamente commissionata dal Parlamento Europeo [1] per la nuova serie OIBR intitolata Materiali di ricerca e discussione, con lo scopo di stimolare riflessioni e dibattito sullo stato dell’arte circa questi argomenti di forte attualità, anche al fine di intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente utilizzate dalle aziende nell’attività di rendicontazione di sostenibilità, con l’auspicio di sollecitare l’individuazione di uno standard condiviso per validare i risultati delle performance aziendali in tema ESG e il rilascio dei relativi rating, e nel contempo per favorire, stimolando una discussione centrata sull’analisi dei risultati della ricerca, un miglioramento della qualità informativa di questa importante forma di rendicontazione.
Il lavoro si innesta, infatti, nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea per promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari, ma anche all’interno delle PMI come pure dei grandi gruppi aziendali: l’obiettivo della ricerca alla quale si riferisce questo articolo è quello di mettere in luce le difficoltà riscontrate più frequentemente dalle aziende in termini di certificazione e valutazione dei propri livelli di compliance ESG.
In tal senso, l’analisi è apparsa rappresentativa nel garantire una corretta fotografia degli approcci, metodi e standard nella rendicontazione degli aspetti non finanziari utilizzati dalle aziende nell’attività di rendicontazione delle performance aziendali in tema ESG: ad esempio, il 70,00% delle aziende che hanno risposto di avere bilanci di sostenibilità convalidati da una società di certificazione ha indicato che il lavoro di quest’ultima si è basato sul l’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, evidenziando come parrebbe non esservi stato alcun audit da parte di uno specialista che abbia verificato la genuinità e veridicità delle affermazioni ed evidenze prodotte (tanto che solo il 25,00% del campione ha affermato di essersi sottoposta ad uno specifico audit svolto in azienda).
Il lavoro ha quindi evidenziato – tra i molti dati di interesse – la percezione di complessità della normativa UE esistente e di nuova promulgazione sul tema della validazione delle asserzioni etiche e della certificazione delle rendicontazioni di sostenibilità, considerate da un numero significativo di aziende come di non semplicissima interpretazione, e soprattutto come un ulteriore carico burocratico, invece che – come dovrebbe correttamente essere – un’opportunità per aumentare il vantaggio competitivo costruendo buona reputazione e orientando positivamente i comportamenti di acquisto dei cittadini.
[1] On. Tiziana Beghin, MEP, Non Iscritti