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Comunicazione: abilità esclusiva di relatori pubblici e comunicatori?

Uno degli assiomi della comunicazione afferma che “è impossibile non comunicare”. La comunicazione, sia negli aspetti informativi che negli aspetti relazionali, ha un ruolo fondamentale nella vita di qualsiasi persona, organizzazione o attività professionale. Cosa la renderebbe allora abilità “esclusiva” di pr e comunicatori? Da comunicatori che quotidianamente hanno il “diritto-dovere” di dimostrare la propria professionalità abbiamo voluto rifletterci sopra.
La comunicazione è un continente vastissimo e non esiste un paradigma universale che integri in una visione unitaria le varie discipline che la caratterizzano: dalla psicologia alla sociologia; dalla linguistica all’antropologia; dalla filosofia  all’economia (compreso il marketing e la scienza del management). Probabilmente ricondurre a sintesi e unità un argomento così vasto e trasversale non è neppure possibile. L’importanza di questo strumento nella vita quotidiana delle persone è sottolineata da alcuni dati sulle abitudini comunicative e sugli effetti da “cattiva comunicazione”sulle persone e sulle organizzazioni.
Per quanto riguarda i singoli, un’indagine svolta nel 2000 dal Ministero dell’Istruzione USA ha rivelato che l’80% delle persone con serie difficoltà a comunicare ha molti fallimenti in campo lavorativo. I datori di lavoro, intervistati nella stessa ricerca, hanno affermato che in un candidato all’assunzione l’abilità di comunicare e di relazionarsi con gli altri viene al primo posto rispetto alle competenze tecniche specifiche (che, affermano, possono essere apprese lavorando). Altre ricerche confermano che oltre l’80% dei licenziamenti non riconducibili a riduzione di personale sono dovuti a “problemi relazionali”. La capacità di creare “buoni rapporti” è presente nel 75% delle persone che fanno carriera e hanno successo e solo nel 25% dei dirigenti che perdono il posto di lavoro.
In riferimento invece agli effetti sulle organizzazioni la comunicazione è uno strumento che genera e sostiene relazioni, sviluppa fiducia e conoscenza, produce credibilità strategica e reddituale, contribuisce alla costruzione e alla diffusione della conoscenza. In altre parole la comunicazione concorre alla creazione e alla diffusione di valore per i clienti, per i business partner, per i dipendenti, per la comunità e per tutti gli stakeholders (della filiera economica e non). Questi fattori hanno una forte componente intangibile e il loro reale valore dipende da come vengono percepiti dai diversi pubblici. Il passaggio da un determinato livello di valore intrinseco ad un valore percepito superiore è dunque il frutto combinato di un “saper fare”, di un “far sapere” e di una consapevole e costante capacità di comunicare. Laddove questi processi si rivelano carenti, ilvalore percepito può essere inferiore al valore intrinseco e si verifica quindi una distruzione di valore potenziale. In sintesi, il successo e la credibilità delle persone e delle organizzazioni sono strettamente legati alle competenze – il saper fare – ma è sugli skills relazionali e comunicativi che si gioca la differenza.
Ma perché, se la comunicazione è così importante per le persone e per le organizzazioni (pubbliche e private, profit e non profit), nessuno – scuola, istituzione, famiglia – ci insegna a comunicare con efficacia? Come disciplina viene insegnata in alcune facoltà universitarie (lettere e filosofia, psicologia, sociologia, economia) e in alcuni corsi laurea (comunicazione e relazioni pubbliche in particolare), generalmente in modo teorico e astratto, spesso poco utile nella vita quotidiana.
Eppure, per formulare chiaramente i messaggi, per evitare ambiguità ed incomprensioni per capire e farci capire correttamente comunicando con efficacia abbiamo bisogno di:

  • skills relazionali per vivere all’interno delle organizzazioni e della comunità (decision making, empatia, problem solving, ecc);
  • competenze manageriali per governare le organizzazioni (lavorare per obiettivi, gestire i conflitti negoziare, motivare, coinvolgere, ecc.);
  • competenze personali di tipo trasversale (parlare in pubblico, presentare, esprimersi, ascoltare, ecc.).

Da alcuni anni, diversi studiosi e ricercatori, di provenienza accademica, manageriale e professionale stanno cercando di mettere a fuoco le caratteristiche e le abilità relazionali e comunicative, identificabili e misurabili, che ogni manager/professionista dovrebbe possedere per svolgere al meglio la propria attività.
Si tratta quindi di una serie di fattori più o meno innati, ma che comunque possono essere appresi, rafforzati, studiati in modo da generare un’accentuata sensibilità che di per sé fa da traino ad una competenza relazionale più efficace. Il fatto che siano questioni, aspetti, capacità che tutti sperimentiamo diventa spesso di ostacolo al riconoscimento del discrimine tra una comunicazione efficace ed una semplicemente sufficiente, o all’individuazione di un esigenza di miglioramento. Trovarsi per natura a comunicare non significa che siamo sempre in grado di dominare pienamente i messaggi che emettiamo e gli effetti che generano su chi li riceve, il quale li interpreta necessariamente all’interno del suo frame, del suo vissuto e delle sue abilità relazionali.
In un contesto comunicativo così variabile ed incerto, quindi, per costruire un forte capitale relazionale, per ottenere la fiducia dei propri pubblici, per garantirsi un allineamento tra identità e immagine percepita, per saper intrattenere relazioni reciprocamente positive con tutti i pubblici/stakeholders, per comunicare con efficacia il proprio valore intrinseco, lo sviluppo di tali competenze non può più essere lasciato alla casualità, alla buona volontà del singolo. Sta nel livello di consapevolezza relazionale di ogni singola persona il segreto della qualità dei suoi rapporti personali ed umani e dei suoi risultati professionali. In tal senso è compito di noi comunicatori far crescere e diffondere la cultura della comunicazione e della relazione, al di là dei luoghi comuni e del pressapochismo che ostacolano il riconoscimento delle nostre professionalità, così variegate e “sfuggenti” quanto lo sono le discipline della comunicazione.