Cosa succede quando acquisisci un marchio in difficoltà, oppure caduto in disgrazia
InViaggi e Teorema, Columbus e Marcelletti. Cos’hanno in comune questi quattro gloriosi tour operator? Caduti in disgrazia e praticamente cessata l’attività, i rispettivi marchi sono stati rilevati (spesso dai curatori fallimentari) da altri t.o., che mirano a rilanciarli. Questo solo negli ultimi tre anni. Val la pena acquisire un marchio, magari spendendo un sacco di soldi? Sono più i rischi o i vantaggi? Usciamo dal turismo e vediamo cosa è successo in altri settori. Il bilancio offre più ombre che luci e bisogna avere la pazienza di leggere fino in fondo.
Abbigliamento giovanile: Guru – La parabola del marchio di abbigliamento creato da Matteo Cambi a Parma, nel 1999, è balistica, ovvero dalle stelle alle stalle in una manciata di anni. Da zero ai cento milioni di euro del 2006, dalle prime magliette artigianali distribuite agli amici a milioni di T-shirt vendute in tutto il mondo: nei primi anni 2000 la margherita stilizzata a sei petali colorati, con contorni neri marcati, diventa un love-mark, indossato da calciatori e soubrette televisive, deejay e protagonisti del gossip da spiaggia. Nel 2008 il tracollo: 100 milioni di debiti, Matteo Cambi prima arrestato e poi condannato per bancarotta fraudolenta. Dal 2008 a oggi il marchio Guru passa di mano tre volte: acquisito dal colosso indiano Bombay Rayon Fashion Limited, nel 2016 la sua partecipata italiana, Brlf Italia, chiede il concordato preventivo; nel 2019 subentra la svizzera Ibs Sagl di Lugano, che però affida la commercializzazione alla monegasca Ghep, che nel 2021 diventa l’unica titolare di Guru. Oggi sul sito di Guru l’iconica T-shirt con la margherita si compra con 30 euro, ma chi se la ricorda più?
Sportswear: Sergio Tacchini, Fila, Ellesse – Negli anni ’70/’80 gli italiani erano i più bravi e innovativi creatori di abbigliamento sportivo nel mondo. Altro che Nike o Adidas. Limitandoci al tennis, Sergio Tacchini, marchio creato nel 1966 dall’omonimo tennista, vestiva Jimmy Connors e Ilie Năstase, Adriano Panatta e John McEnroe. Fila, fondata a Biella nel 1911, nel 1973 diventa Fila Sport e veste Guillermo Vilas e Björn Borg (che con l’iconica polo in cotone a costine vince cinque tornei di Wimbledon consecutivi). La perugina Ellesse, fondata nel 1959 da Leonardo Servadio, da cui prende le iniziali, nel 1975 comincia a produrre abbigliamento da tennis e veste Corrado Barazzutti, che nel 1976 vince l’unica Coppa Davis per l’Italia, in Cile. Sergio Tacchini, Fila ed Ellesse sono marchi tuttora presenti nello sportswear, ma – da molti anni e dopo innumerevoli vicende societarie – non appartengono più ai fondatori, né hanno sede in Italia. Dal 2019 Sergio Tacchini fa capo a due private equities americani, Twin Lakes Capital e B. Riley Principal Investments. Nel 2007 Fila viene acquistata dall’imprenditore sud-coreano Gene Yoon e a Biella rimane solo la Fondazione Fila Museum, che accoglie oltre 30.000 tra capi di abbigliamento, scarpe e accessori a marchio Fila. Dal 1994 Ellesse è un marchio della holding britannica Pentland Group, che controlla tra gli altri Speedo e Berghaus. Nessuno dei grandi tennisti italiani di oggi indossa questi marchi, ormai diventati “heritage brands”: Matteo Berrettini veste Boss, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti sono sponsorizzati da Nike sin da quando erano ragazzini.
Gelati: Grom – L’Italia è considerata la patria del gelato e non poteva che nascere a Torino, nel 2003, l’avventura del manager ex PWC Federico Grom e dell’enologo Guido Martinetti. Occupa 25mq la prima gelateria Grom, a pochi minuti da piazza San Carlo: con un capitale di partenza ridottissimo, cui contribuiscono parenti e amici, si fonda su un’idea di marketing precisa, “Il gelato come una volta”. In un unico stabilimento nella cintura torinese e solo con ingredienti di prima qualità, a chilometro zero e da presidi Slow Food, vengono prodotti i semilavorati dei vari gusti: questi, confezionati e surgelati, sono distribuiti alle gelaterie per essere miscelati, mantecati e serviti al pubblico. Il prezzo di vendita è più quello di una pasticceria torinese, che di una gelateria su strada. La crescita è esplosiva: decine di Grom aprono in Italia e all’estero (New York, Londra, Hong Kong) e dopo i 16 milioni di euro di fatturato, nel 2009, si toccano i 23 milioni nel 2011. L’avventura imprenditoriale indipendente di Grom e Martinetti termina bruscamente nel 2015, quando – reduci da alcune difficoltà finanziarie – cedono Grom alla multinazionale britannico-olandese Unilever, che in portafoglio dispone già di vari marchi di gelati industriali, tra cui Algida e Magnum, Carte d’Or e l’americana Ben&Jerry’s. Da allora Grom sbarca nei supermercati con le classiche vaschette da frigo, chiude diversi punti vendita in Italia e dice addio all’artigianalità che l’aveva caratterizzata fino ad allora. Grom e Martinetti restano nel board per diversi anni, pur con sempre minore autonomia gestionale, ma sembrano non condividere più la strategia di Unilever: negli USA è la GDO a intermediare quasi il 97% delle vendite, lasciando alle gelaterie una quota residuale, e il gelato in vaschetta è consumato tutto l’anno. La gelateria con coni e coppette, aperta solo 6 mesi l’anno, non funziona più.
Formazione: Pegaso Università Telematica – Nel 2006 Danilo Iervolino, napoletano, classe 1978, figlio d’arte (il padre Antonio fonda le Scuole Paritarie Iervolino per far recuperare la bocciatura ai cattivi studenti) ha un’idea meravigliosa, ispirata da due accadimenti, uno pubblico e uno privato. Nel 2003 era stato emanato il decreto “Moratti-Stanca” che istituiva le università telematiche; Iervolino si era appena laureato in economia a Napoli e durante un soggiorno negli USA aveva scoperto la formazione a distanza e le nuove piattaforme tecnologiche che – grazie al boom mondiale di internet, si era nel 2002 – si stavano sviluppando. Nel 2006 nasce l’Università Telematica Pegaso, con la forma giuridica di società per azioni, della quale Iervolino è presidente del CdA e maggiore azionista: Pegaso ottiene l’accreditamento del Ministero dell’Istruzione e attiva i primi due corsi di laurea, in giurisprudenza e scienze della formazione. In un sol colpo, Iervolino rompe il monopolio statale (o privato, ma solo per eccellenze come Università Cattolica o Bocconi, Luiss o IULM) e impone il modello della formazione a distanza, basata sul PC e sull’interazione col docente. Il successo è immediato: i corsi di laurea si moltiplicano, sedi di esami si diffondono a decine in tutta Italia, a iscriversi e laurearsi (il titolo è equiparato a quello ottenuto in una università tradizionale) sono prima in migliaia, poi in decine di migliaia. La svolta arriva un anno fa, a settembre 2021: il private equity britannico CVC Capital Partners rileva l’intera proprietà della holding, a cui fanno capo Pegaso Università Telematica e l’Università Mercatorum, valutando l’asset – la cifra è ufficiosa – un miliardo di euro. Danilo Iervolino rimane nel board, ma investe i guadagni in nuove attività, comprando prima la Salernitana Calcio (e qui incrocia Gerardo Soglia ex CIT e Buon Viaggio Network), poi il settimanale L’Espresso da Gedi/la Repubblica.
Due note a margine: di tutte le imprese citate, l’unica a non aver ceduto proprietà/marchio causa difficoltà finanziarie o industriali è quella di Iervolino. Guru, Sergio Tacchini, Fila, Ellesse, Grom e Pegaso – tutte eccellenze italiane – oggi sono in mani straniere.
Conclusione, per i pazienti lettori arrivati fin qui: è costoso e complesso rilevare un marchio, soprattutto se questo è in difficoltà (o peggio). Per questo rimango perplesso sul rilancio di tour operator che hanno vissuto tempi migliori. Nel nostro settore, è un’eccezione: nessuno si è mai sognato di rilanciare marchi come Jolly Hotels o Motel Agip, CIGA o Metha Hotels; e tantomeno Alpi Eagles o Volare Airlines, AirOne o Gandalf. E neanche Alitalia, pensa te.