In Italia c’è una scuola dove si insegna il fallimento
Uno sbaglio sul lavoro. Un esame non superato. Un compito non portato a termine in azienda. Una frase detta male sui social o magari un pensiero non condiviso che scatena l’umiliazione pubblica. Quando si studia, si lavora o semplicemente si porta avanti la propria vita, la disfatta è dietro l’angolo. Solo che nessuno insegna solitamente come gestire un insuccesso e come trarne persino giovamento.
La Scuola di Fallimento, con sede a Modena, è la prima e unica realtà in Italia che si occupa di una delle esperienze più comuni e allo stesso tempo più temute: sbagliare. Ha i suoi alunni, lavora soprattutto con multinazionali e scuole, e possiede i suoi corsi e i suoi obiettivi: creare una “cultura dell’errore” che permetta a chi inciampa di non bloccarsi e di non colpevolizzarsi eccessivamente. A chi sta intorno, spetta invece il compito di creare una zona sicura, dove far fallire gli altri senza la paura del giudizio. Facile, no? Chi pensa che si tratti ‘solo’ di filosofia e di coaching non applicato è fuori strada. Perché imparare la sconfitta senza conseguenze drammatiche, significa dare alle aziende e alle persone la possibilità di innovare e sperimentare, quindi di crescere.
Chi sbaglia, cosa fa?
Intanto, il contesto. “Nella nostra società – racconta ad upday Francesca Corrado, fondatrice ed ex sportiva – c’è una profonda e radicata cultura della colpa e della critica. Osserviamo la difficoltà di chiedere scusa e di ammettere le proprie responsabilità per paura di essere giudicati o puniti. È una profonda paura di fallire che ostacola, per le aziende, la capacità di innovare e, per le persone, la capacità di innovarsi e reinventarsi. E poi percepiamo il bisogno latente di trovare uno spazio in cui condividere in modo non stigmatizzante i propri errori e di considerarsi di successo anche quando il successo non ha i connotati imposti dalla società dell’apparenza e dei social”. Perfezionismo da social che secondo un’indagine esporrebbe i millennial, i nati tra gli anni ‘80 e ‘90, a puntare al perfezionismo con conseguenze negative sulla salute mentale.
Perché se sbagliare è comunissimo, è tuttavia un fenomeno mal tollerato dalla nostra società. Sui social network l’errore altrui, e ci fermiamo ai casi in cui vengono contestate le parole o le dichiarazioni e non a quelli che riguardano strettamente offese e discriminazioni, scatena comportamenti come quelli della shitstorm, la tempesta di insulti di massa, o il boicottaggio e la vera e propria cancellazione di colui che sbaglia, senza seconda possibilità. Ma anche rimanendo in campo d’impresa, le aziende stesse fanno fatica a gestire il fallimento.
Imparare dalle sconfitte sportive
Francesca Corrado non la pensa proprio così rispetto alla possibilità di avere una seconda opportunità. Da ex pallavolista, rivela. “Lo sport mi ha aiutato moltissimo – dichiara- mi ha insegnato a ‘saper giocare’ in squadra; a sviluppare la persistenza: è finita solo quando è finita. Ma soprattutto ad accogliere la possibilità di perdere; ad accettare la sconfitta come uno degli ingredienti del gioco. Nel gioco come nello sport: a volte si vince, a volte s’impara”. A lei è capitato da vicino. “La Scuola è nata per l’appunto da una serie di fallimenti. Fino al 2014 avevo una start up innovativa, un contratto da docente universitaria, un fidanzato e una casa. Nei primi due mesi del 2015 ho perso tutto. A non rendere facile il periodo anche le condizioni di mio padre, malato di Alzheimer, che in quel periodo peggiorarono. Ed è stata proprio la malattia che mi ha permesso di guardare ai miei errori e fallimenti da una prospettiva diversa: non quella della colpa e della rabbia, ma quella dell’accettazione e della comprensione dei propri limiti e delle proprie fragilità”.
Le parole degli ex alunni
“Sono sempre stata una ragazza molto severa con me stessa – racconta ad upday Anna Romanini, studentessa di Scienze filosofiche e dell’educazione a Ferrara – ho sempre preteso molto e difficilmente perdonavo i miei errori. Ho imparato a vederli sotto una prospettiva diversa solo da poco. Con la scuola, ho imparato a capire cosa significa la frase “sbagliando si impara” e questo mi ha aiutata a essere meno severa con me stessa e a permettermi di fare i miei errori per imparare cose nuove e uscire dai momenti di crisi come una persona effettivamente diversa”.
Dagli studenti, ai professionisti, tutti tornano sui banchi. “In azienda – spiegano Daniele Righele e Manuela Beltrami, ex corsisti di Banca Credem – abbiamo vissuto l’esperienza di fallimento come uno stato di difficoltà, un ostacolo mentalmente difficile da superare, temendo il rischio di compromettere le relazioni altrui e la nostra autostima. Eravamo i primi a non tollerare i nostri errori, i nostri fallimenti e si faceva fatica anche solo a parlare di errori. Abbiamo avviato un percorso di cambiamento negli ultimi anni per una migliore sicurezza e cultura interna che possa permettere alle persone di esprimersi, provare, osare e sbagliare per il miglioramento e la crescita professionale e personale”. Anche se il successo è una parola da maneggiare con cura: “Insegniamo che il successo – conclude Corrado – è la capacità di far accadere le cose che si reputano di valore, di raggiungere gli obiettivi che sono coerenti con la propria visione e missione e i nostri migliori successi sono quindi le persone e le loro storia”. Guardandosi indietro c’è anche spazio per l’orgoglio. “Aver trasformato una paralizzante paura di fallire nella capacità di rimettersi in gioco con successo di un piccolo imprenditore, aver aiutato una studentessa a superare il blocco degli esami e trasformato la sua fragilità in un punto di forza sono senza dubbio i nostri migliori successi. Sapere di essere stati di supporto a qualcuno in un momento critico della propria vita è il primo indicatore che abbiamo fatto bene”.