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Le lobby nella “cura” della democrazia. L’intervento di Manfredi

Le lobby nella “cura” della democrazia. L’intervento di Manfredi

Non ci sono dati precisi su quanti siano gli esperti di relazioni pubbliche, public affairs e lobby che lavorano in Italia. Mentre alcuni famosi giornalisti parlano in televisione di lobbisti che “pascolano” in parlamento, potremmo azzardare una cifra: quasi centomila sono i professionisti delle relazioni pubbliche – non solo lobbisti – ma tutti quei professionisti che sono specializzati in comunicazione, una disciplina quindi della scienza del management, che si occupa della gestione delle organizzazioni complesse. La funzione delle relazioni pubbliche è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i suoi diversi segmenti di pubblico influente.

Un’immagine quella del pascolare in parlamento che non è offensiva per i relatori pubblici ma lo è per la democrazia, che come sistema complesso ha bisogno dei relatori pubblici e dei lobbisti per essere equilibrata e consapevole.

Dopo lo scandalo #Qatargate c’è una nuova tempesta perfetta nei confronti di una professione che anche i più informati continuano a non voler capire. La rappresentanza di interessi, etica e consapevole, è frutto di analisi, studio, approfondimento. Le tecniche del lobbying e del public affairs sono uno strumento manageriale evoluto che consente alle organizzazioni di essere consapevoli e pronte – all’interno della complessità sistemica – nel rispondere alle sollecitazioni e ai cambiamenti.

Rappresentare interessi legittimi, sebbene particolari, non ha nulla a che fare con i sacchi di banconote che faccendieri e delinquenti sono disposti ad accettare in cambio di non si sa quale processo di influenza. Tutti i professionisti del settore non rappresentano interessi e non analizzano i sistemi complessi in cambio di sacchi di banconote ma sulla base di contratti di rappresentanza regolati dal diritto civile. Certo ciò che manca è una regolamentazione della professione: non è certo colpa dei lobbisti se non si è mai riusciti ad arrivare ad una legge che regolamenti il sistema.

La questione è molto complessa: riguarda prima di tutto la trasparenza del processo democratico, la trasparenza del processo decisionale pubblico.

La Ferpi in quanto associazione di persone – che da più di cinquant’anni rappresenta i relatori pubblici, i comunicatori, i public affairs manager e i lobbisti – da sempre auspica che ci possa essere una legge che regoli il sistema di rappresentanza, una legge capace di riconoscere il valore della professione e della “cura” che i relatori pubblici apportano al processo democratico e al decision making. In questo la cura ha a che vedere con il trasferimento, sui tavoli negoziali, delle istanze e dei processi delle organizzazione per rendere il processo decisionale informato e consapevole e per dare alla collaborazione pubblico privato un contenuto strategico di creazione di valore duraturo e sostenibile.

I lobbisti seri, etici e consapevoli, che rispettano la legge e che sono orgogliosi di poter contribuire con la loro professionalità al processo democratico non hanno nulla a che vedere con criminali prezzolati. È arrivato il momento di cambiare questa narrativa che lede gli interessi delle organizzazioni e degli stessi paesi democratici. Non a caso, facciamo notare, i sistemi democratici prevedono la rappresentanza di interessi – regolata secondo norme diverse nei diversi paesi – mentre i paesi non democratici non prevedono la rappresentanza di interessi.

Anche l’OCSE nel suo rapporto sulla lobby afferma che la lobby è un modo per informare e influenzare i governi. È una attività lecita (anche quando non è regolata da norme specifiche) ed è parte integrante della democrazia da almeno due secoli. Strumento legittimo per influenzare le politiche pubbliche: è una attività che fa parte del più vasto insieme del public affairs, che a sua volta è una delle discipline delle relazioni pubbliche. Scrive l’Ocse: “Il lobbying può favorire la partecipazione democratica e fornire dati e analisi utili direttamente ai responsabili decisionali”. Se non c’è completa trasparenza e integrità ci potrebbero essere comportamenti elusivi delle norme di rappresentanza di interessi e distanziare il policy making dall’interesse pubblico generale. Ma è proprio questo il punto.

Rimettere al centro del dibattito il valore e l’efficacia delle relazioni pubbliche ci consente di “rallentare” lo sguardo, non lasciandoci ingabbiare dalla tentazione del breve termine e ci consente di dare all’ascolto, all’analisi – alla valutazione ex ante e alla rendicontazione ex post – lo spazio corretto. Porre al centro la costruzione di senso e di significato e non le urla scomposte, la velocità della comunicazione che invade, ma non crea, le tecniche ispirate solo dal profitto e non dalla creazione di valore. L’obiettivo delle relazioni pubbliche, come funzione di management, è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i suoi diversi stakeholder: orientare opinioni, atteggiamenti, comportamenti e decisioni degli stakeholder influenti e di tutti i soggetti che a vario titolo interagiscono con l’organizzazione.

Soggetti che possono ostacolare o agevolare il raggiungimento degli obiettivi di management e di governance perché dotati di specifici poteri decisionali o perché in grado di creare influenza. Non si annichilisce il dialogo o il rispetto fra le parti ma si creano i presupposti per una negoziazione sostenibile ed inclusiva. E da questo punto di vista gioca un ruolo cruciale il pensiero critico e l’intelligenza contestuale, una intelligenza emotiva che il relatore pubblico attua in quanto “ingegnere delle relazioni” e dei processi di cambiamento: analisi di contesto/scenario; definizione degli obiettivi di governance; sviluppo e implementazione della strategia; creazione e attivazione della tattica; valutazione costante e miglioramento continuo. Le relazioni pubbliche diventano una parte fondamentale della strategia complessiva dell’azienda.

Se consideriamo le relazioni pubbliche come espressione di molteplici funzioni di management – Corporate Reputation, Corporate branding e Identity, Brand Management, Public Affairs, Lobbying, Advocacy, Public Policy, Risk management, Issue Management, Crisis Management, Cause related marketing, e tante altre – forse è possibile capire allo stesso tempo la complessità della materia e le sue intersezioni strategiche in tutti gli ambiti di governance.

Le relazioni pubbliche sono una liturgia che sta al centro, tra leadership e potere, e procede per la risoluzione dei problemi complessi affinché il gioco non sia a somma zero, o che comunque ci possa essere, anche se in parte, soddisfazione per tutte le parti in gioco. Una relazione fatta di regole e trasparenza, di regolamenti complessi e di verifica sul medio lungo periodo delle decisioni in corso.

Noi lobbisti non abbiamo nulla a che fare con i faccendieri o con i delinquenti. È arrivato il momento che i nostri colleghi giornalisti esprimano la loro necessità di diventare edotti sul serio del valore strategico della nostra professione. Noi siamo disponibili.