Valentino, Anatomy of Couture: l’equilibrio dei corpi secondo Pierpaolo Piccioli
Quando si pensa alla Haute Couture, si immagina qualcosa che riguarda le donne e le donne soltanto. La nozione stessa di Couture, o di Alta Moda, è spesso fonte di malintesi. Non è raro, anche sulla stampa, leggere di ‘capi d’alta moda’ che in realtà di Alta Moda non sono, perché semplicemente c’è un’errata traduzione del termine inglese High Fashion.
Per fare chiarezza una volta per tutte, quello che in inglese viene definito High Fashion, da noi si traduce con mercato o moda del lusso.
Ed è a grandi linee il circuito che un tempo veniva anche definito prêt-à-porter. Abiti pensati per l’anno successivo e prodotti in serie che, pur con qualche eccezione, vengono presentati con delle sfilate divise per genere e per stagionalità. L’Autunno-Inverno a gennaio per l’uomo e a febbraio per la donna, mentre la Primavera-Estate a giugno per l’uomo e a settembre per la donna. Il tutto su quattro piazze principali, in ordine di calendario: New York, Londra, Milano e Parigi. Anche se esistono infinite realtà minori, come Copenhagen o Baku, che rendono virtualmente il ciclo di presentazioni delle nuove collezioni perpetuo e globale.
L’Haute Couture, o Alta Moda, a seconda di dove venga realizzata e presentata, se a Parigi o in Italia, è invece un circuito in cui vengono presentati abiti che sono pezzi unici, che non vengono venduti nei negozi, che impiegano materiali preziosi, sono realizzati interamente a mano con anche centinaia di ore di lavoro per un singolo capo e hanno prezzi che possono tranquillamente superare i centomila euro.
La Couture ha radici antiche, nasce nel 1850 a Parigi quando i sarti organizzavano per le celebrities del tempo presentazioni private delle creazioni più speciali perché lussuose, innovative o uniche.
Se questo ha riguardato per oltre un secolo solo le donne e il corpo femminile, negli ultimi anni all’interno delle collezioni couture di sempre più marchi sono presenti versioni maschili dello stesso approccio sia mentale che costruttivo all’abito: Dolce & Gabbana, Fendi, Balenciaga, Valentino sono tutti brand che realizzano abiti Couture anche per l’uomo.
Valentino Anatomy of Couture
Mercoledì nelle sale della sede parigina della maison, è andata in scena la collezione Haute Couture Spring Summer 2022, disegnata da Pierpaolo Piccioli per Valentino. La terza per il brand ad includere anche outfit maschili, dopo la collezione Valentino Des Atelier presentata a Venezia e Code Temporal presentata alla Galleria Colonna di Roma.
In questo capitolo, dal titolo esplicativo Anatomy of Couture, è il corpo al centro del discorso. Il corpo come modello, come spazio sufficiente e necessario attorno a cui l’abito viene costruito. Spazio che nella Couture è anche l’unico spazio possibile. Corpo a cui il vestito viene letteralmente cucito addosso.
Scardinare le forme -l’anatomia- del corpo come archetipo sacro e intoccabile è nella couture un’operazione che significa mettere in discussione oltre un secolo di storia. E in questo c’è concettualmente un’azione molto diversa rispetto a quella che ormai conosciamo come ‘inclusività’.
In questa sfilata il modello passa dall’ideale al reale, e quindi i corpi sono molteplici e diversi, per volumi, forme, età e per quelle specificità che per tradizione e cultura siamo soliti attribuire a un genere o all’altro.
Uno show che è un esempio di sfilata che riduce gli elementi spettacolari al minimo, e si rifà invece alla tradizione più classica: un tappeto bianco, nessuna scenografia, nessuna performance che non sia quella della moda stessa.
È interessante notare come le donne esprimano una consapevolezza dello spazio, del movimento e del colore con una presenza che appare corale e condivisa.
Gli uomini invece risultano affascinanti perché eterei, leggeri, quasi spaesati e carichi di una bellezza lucente e delicata che per abitudine attribuiremmo al femminile.
Ogni sfilata è la proposta di un mondo possibile e auspicabile e il senso di una sfilata couture è quanto di più teorico la moda possa offrire, non presentando abiti che sono pensati per diventare appetibili al grande pubblico.
È un racconto che, per la stragrande maggioranza di noi, esiste solo nel territorio della sfilata. Qualcosa da osservare come un corto cinematografico o uno spettacolo teatrale.
Vale quindi la pena non concentrarsi solo sugli abiti, ma sul senso della rappresentazione intesa come un intero.
Nel mondo messo in scena qui da Piccioli gli uomini, in outfit morbidi e neri, oppure neutri come quelli color cipria, oppure trasparenti e luccicanti perché coperti di pietre funzionano da contrappunto al succedersi di donne che si sono riappropriate del ruolo del loro corpo nel discorso della moda.
Non sono uomini privati della propria mascolinità, ma che hanno scelto la consapevolezza del proprio ruolo invece dell’affermazione del proprio potere.
C’è un senso di pace e di equilibrio tra i generi e i corpi. Forse tutta la sfilata parla di equilibrio a ben vedere, di uomini che cedono il passo e di donne con corpi reali e non più ideali che avanzano senza rabbia, che non hanno bisogno di sgomitare.
Ma cosa c’entra tutto questo con vestiti, maglie, pantaloni? Poco, forse niente. Ma come si diceva, nessuno di noi comprerà quei vestiti, ma una sfilata può essere lo spunto per una riflessione. I temi che vengono messi in campo nei 15 minuti di una sfilata, con un linguaggio che non è narrativo e non è quello di un saggio o di un editoriale, riguardano tutti. Ed è interessante provare a interpretarli e tradurli, anche nel quotidiano, nelle cose che anche noi, maschi, ci chiediamo quando la mattina ci guardiamo allo specchio e ci interroghiamo su quanto il nostro corpo, il nostro peso, la nostra età influisca su come gli altri si relazionano con noi e sul nostro ruolo di maschi nel mondo.