Le chiavi della comunicazione aziendale del futuro
Le tendenze emergenti nella comunicazione aziendale includono autenticità, comunicazione multigenerazionale, gestione della reputazione e trasparenza. Le aziende devono personalizzare i messaggi, prevedere i rischi reputazionali e gestire efficacemente i social media, che possono sia costruire che distruggere reputazioni. La trasparenza e l’etica sono cruciali per il successo a lungo termine. Di tutto questo abbiamo parlato con Luca Poma, professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino
Quali sono le tendenze emergenti nella comunicazione aziendale che ritiene più rilevanti per il futuro?
«Sicuramente il tema dell’autenticità emerge sempre più prepotentemente, soprattutto le nuove generazioni sono stufe dell’agiografia e dei maquillage tipici del marketing. I casi Ferragni, distrutta proprio dall’assenza di autenticità, e Armani e Dior, entrambe in commissariamento giudiziario con l’accusa di sfruttare la manodopera quando fino al giorno prima incassavano a mani basse premi per la sostenibilità, sono solo gli ultimi di una lunga serie, e ci confermano che l’attitudine al lifting, a lustrarsi l’immagine per vendere di più a scapito della sostanza, sta mostrando la corda. Essere inautentici semplicemente rischia di distruggere valore».
Come può un’azienda comunicare in modo efficace con diverse generazioni di consumatori?
«Mettendosi l’anima in pace e accettando la complessità nella quale siamo immersi: non può esistere un solo piano di comunicazione, esiste una pluralità di pubblici e con ognuno di essi l’azienda dovrebbe dialogare con linguaggi messi a punti sartorialmente e su canali dedicati. Non possiamo chiedere a tutti i pubblici indifferentemente di raggiungere l’hub informativo dove l’azienda si parla magari addosso con un linguaggio univoco: dev’essere l’azienda ad andare a caccia dei suoi pubblici, dove essi già normalmente dialogano, costruendo una narrazione e personalizzando quanto più possibile i linguaggi, perché è anche tramite la semiotica che possiamo sintonizzarci sulla stessa frequenza del nostro interlocutore e risvegliare e catturare la sua attenzione, e poi conquistarci – con i fatti – la sua fiducia».
Quali sono le principali sfide che le aziende devono affrontare nella gestione della loro reputazione oggi?
«La previsione e mitigazione dei rischi. Un completo assesment reputazionale ha costi molto contenuti, io stesso con il mio team di ricerca ne ho messo a punto uno molto efficace: il perché le aziende italiane non mappino i rischi reputazionali, potenzialmente devastanti per la business continuity, e non facciano nulla per prevederli e mitigarli, arrivando così puntualmente impreparati all’ora “x” della crisi di reputazione, resta per me un mistero».
Qual è il ruolo dei social media nella costruzione e nella distruzione della reputazione aziendale?
«Rilevante, perché oggigiorno le persone sono sempre più libere di manifestare le proprie opinioni, si sentono “parte dell’equazione”, e possono influire sulla reputazione di aziende, istituzioni finanziarie, imprenditori e manager, e internet può rendere ogni crisi “globale”, un evento di portata locale può danneggiare un brand su scala planetaria, eventi poco significativi possono essere ingigantiti e situazioni che nulla hanno a che fare con l’organizzazione possono avere riflessi molto negativi sulle vendite e sul valore delle aziende. I social – grande conquista per la libertà di espressione – sono però anche i veicoli di contagio di questo “virus”. Eclatante il caso di BioOn, la straordinaria start up della plastica biodegradabile, arrivata a valere più di 1 miliardo di euro in Borsa Milano, distrutta proprio da un video diffamatorio veicolato sui social – ne parla BioOn Unfair Game, un interessante video-inchiesta pubblicata poche settimane fa, guardatela, dice tutto su come i meccanismi di visibilità social possono rivelarsi un’arma a doppio taglio».
In che modo la trasparenza e l’etica influenzano la reputazione aziendale?
«In tutti i modi, è acclarato da ormai 15 anni che introdurre preoccupazioni di carattere etico nel business fa guadagnare più soldi, e che per contro essere puramente marketing-oriented non necessariamente aumenta sul lungo termine il valore delle aziende. Gli imprenditori dovrebbero saper guardare oltre la trimestrale di bilancio, se desiderano lasciare una traccia: come diceva Francois Michelin, tra assemblare pietre e costruire cattedrali c’è una bella differenza».